GIUSY SCIACCA: INTERVISTA ALLA SCRITTRICE DEL ROMANZO “D’AMORE E DI RABBIA ”

Cari lettori e cari lettrici,

Bentrovati! L'ospite di questa nuova intervista è Giusy Sciacca. 
Giusy Sciacca, nata a Lentini (SR), vive oggi tra Roma e Siracusa.
Dopo aver conseguito a Catania la laurea in Lingue e Letterature Straniere, è autrice di narrativa e testi teatrali. Nel 2021 ha pubblicato Virità, femminile singolare-plurale (Edizioni Kalòs), dando voce a venti donne siciliane della mitologia e storia mediterranea. Scrive di libri e cultura per varie testate giornalistiche.
 

D. GIUSY PARLAMI DI TE E DEL TUO INCONTRO CON LA LETTERATURA…

R. In tutta sincerità non saprei da dove cominciare! Dovrei veramente guardarmi indietro, molto indietro, e ripensare al mio percorso da lettrice, da autrice, da ricercatrice anche. Non è semplice individuare un solo momento. Il mio incontro con la “pagina scritta” avviene sicuramente in tenera età, ho sempre letto e ho iniziato con “I ragazzi della via Pal” di Molnàr e “Piccole donne” di Louisa May Alcott. Leggevo anche in inglese perché è una lingua che sentivo (anche per motivi familiari) e parlavo già da ragazzina. La folgorazione è poi avvenuta negli anni con la letteratura siciliana, che mi ha nutrita nell’amore per la letteratura e la mia terra, e ancora nella letteratura straniera, anglo-americana e tedesca soprattutto, perché è il percorso di studi universitari che ho scelto. A quegli anni farei risalire l’inizio della mia passione per la ricerca storica e genealogica. Mai svolta in ambito accademico, ma per curiosità e passione, indagando soprattutto l’esperienza femminile nella storia mediterranea. Come autrice, credo che il mio incontro con la “pagina bianca” sia avvenuto invece davanti alla macchina da scrivere di mio padre, una vecchia Olivetti Lettera 32, che ho fatto restaurare e che ho su una mensola del mio salotto di casa. Lì, su quei tasti durissimi, ho cominciato a esercitare la fantasia con piccole storie sui fogli protocollo. Dopo molti anni, ho ritrovato anche quelli. 

D. ATTRAVERSO QUALI FASI PASSA LA SCRITTURA DI UN ROMANZO STORICO?

R. Il romanzo storico non può prescindere dalla ricerca, che è una fase propedeutica imprescindibile secondo me. Le autrici e gli autori di romanzi storici hanno una responsabilità nei confronti del pubblico: con la storia non si scherza. Si può reinterpretare, rileggere, ma non si può negare o reinventare. I fatti e i contesti devono essere rispettati, studiati per poter davvero offrire alle lettrici e ai lettori un’esperienza di lettura che è anche viaggio nel tempo per “atterrare” – volendo usare un termine che mi appartiene altrettanto per professione – riflettendo sul presente. Tutto questo utilizzando una lingua vicina ai contemporanei, sempre nel rispetto dei registri e delle ambientazioni. Non è facile, è molto sfidante davvero e la speranza è quella di riuscirci in qualche modo. Tutto questo lo faccio perché mi ascolto, risponde a una mia urgenza e mi appaga. Tornando a me, posso dire che finora la ricerca è sempre stata un’attività appassionante, avvincente, dalla quale poi è quasi difficile staccarsi. Tuttavia, giunge un momento in cui è giusto uscire dagli archivi e iniziare a scrivere per tessere quella trama di vissuto e di emozioni che molti documenti (a parte gli epistolari o altro tipo di documentazione personale) non riescono a renderci. A un certo punto la realtà e il rigore della ricostruzione storica cedono il passo all’immaginazione e alla finzione per fondersi insieme in armonia.

D. QUALI SONO STATE LE FONTI DI ISPIRAZIONE PER LA REALIZZAZIONE DI “D'AMORE E DI RABBIA”? 

R. Nel parlare di fonti potrei specificare delle differenze: fonti storiche, fonti letterarie, fonti affettive. Il romanzo trae spunto da un fatto di cronaca realmente accaduto, per cui direi che la storia è stata ed è sempre fonte di ispirazione e occasione di riflessione. Per le fonti letterarie, mi ripeterò, ma la grande tradizione letteraria siciliana, Verga soprattutto, checché se ne dica viste le recenti polemiche in riferimento ai programmi scolastici. Verga non si tocca, non si deve e non si può toccare. Ma anche la letteratura nazionale del Novecento, senza dubbio, anche se non ho mai smesso di guardarmi attorno e sbirciare la letteratura straniera. Esiste poi quello che definisco un patrimonio bibliografico immateriale che è il mio vissuto, quello della mia famiglia e il nostro passato. Non a caso, personaggi come Marianna Prato mi appartengono più di altri: era la mia trisavola per parte di mamma, la Locanda Prato è davvero esistita e il racconto mi è giunto attraverso i ricordi delle nonne e delle mie zie.

D. QUANTO TEMPO È STATO NECESSARIO PER LA REALIZZAZIONE DEL LIBRO?

R. In realtà si comincia a scrivere un libro ben prima di prendere la penna in mano. I miei scritti prendono forma quando comincia a delinearsi l’idea, quando – all’alba ancora assonnata o al semaforo bloccata nel traffico! – rifletto su come costruire una trama o che volto dare ai personaggi. E al tema che voglio sondare, che mi prende personalmente e che voglio portare all’attenzione del lettore. C’è un tempo per la ricerca delle fonti, dei documenti, e per lo studio di ogni aspetto dalla storia al costume, dall’arte alla gastronomia, la moda, la toponomastica. Tutto questo è necessario per me per immergermi completamente in un mondo distante dal mio. E poi si scrive sul serio. Per fare tutto questo e scrivere “D’amore e di rabbia” ho impiegato all’incirca due anni. 

D. ESISTE UN LIBRO CHE HA AVUTO UNA GRANDE INFLUENZA NELLA TUA VITA?

R. Ce ne sono stati molti. Sarei ingiusta a individuarne solo uno. Ho già citato Verga, “I Malavoglia” e le sue novelle, i capolavori della letteratura siciliana firmati da maestri come Tomasi di Lampedusa, Pirandello, Sciascia, Bufalino, Vittorini. Fino alla letteratura siciliana contemporanea, che è femmina e profuma di zagara, come qualcuno ha già fatto notare ipotizzando un vero e proprio filone. Inoltre, come dicevo, ho sempre guardato alla letteratura straniera. Per me “Orlando” di Virginia Woolf e “Le affinità elettive” di Goethe, la scrittura di Flannery O’Connor e “Stoner” di Williams sono state delle svolte nella mia vita come lettrice. E forse anche come autrice. 

D. C'È QUALCOS'ALTRO CHE VUOI AGGIUNGERE... CHE VORRESTI DIRE AI TUOI LETTORI?

R. Non smetto mai di ringraziare. Lo faccio sempre. Nel diluvio della produzione letteraria che inonda le librerie, nell’abbondanza dell’offerta, essere scelti è un privilegio. Dunque, grazie. 

D. PROGETTI PER IL FUTURO?

R. Scrivere. Come accennavo poc’anzi, la genesi di un romanzo non coincide con la prima parola nero su bianco. C’è quella di certo e ci sono già un paio di progetti in corso che impegnano le mie albe e le mie lunghe attese ai semafori del traffico romano. 

Ringrazio Giusy Sciacca per aver risposto alle mie domande.

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SINOSSI

Sicilia, luglio 1922. A Lentini, centro agricolo della provincia siracusana sotto il fiato dell’Etna, avviene un sanguinoso fatto di cronaca, poi sepolto dalla polvere. Tra i protagonisti anche Maria Giudice, fervente sindacalista di origine lombarda e madre della scrittrice Goliarda Sapienza. Alla vigilia della prepotente affermazione fascista, nella cittadina si consuma un’accesa lotta di classe tra la decadente nobiltà latifondista, arroccata nel palazzo baronale dei Beneventano della Corte, e i braccianti. In mezzo, sul confine di quei due mondi, c’è Amelia Di Stefano, una donna fuori posto. Un proverbio popolare siciliano recita che un uccello in gabbia non canta per amore ma per rabbia. Amelia è una donna in trappola. Catanese di nobili origini, ha pagato duramente un errore commesso da giovane. Ora, tradita dalla famiglia e dagli amici della Catania dei salotti, si ritrova in esilio a Lentini, dove oscilla tra la relazione clandestina che la vincola a Francesco, primogenito del potente barone Beneventano della Corte, e il carisma della fiamma ideologica di Mariano Fortunato, personalità di spicco del sindacalismo locale. Attorno a lei, il popolino, la putía di Santina, i dammusi umidi, i colori e le voci del mercato, le corse dei devoti a piedi scalzi, le vanedde strette, la Grotta dei Santi e i suoi miracoli. A confortarla saranno l’affetto di Enza, capociurma di campagna dalla forte personalità, il sorriso imperfetto di Tanino, l’amico artigiano, o ancora la presenza di Ciccio lo sciancato, ultimo tra gli invisibili, che c’è sempre. I due universi convivono, si intrecciano. E Amelia sempre in mezzo, sempre in bilico. Fino a quando non si imporrà l’imperativo di una scelta. E allora nulla sarà come prima.

COSA NE PENSO

Nel suo romanzo “D’amore e di rabbia” Giusy Sciacca trae spunto da episodi realmente accaduti nel luglio del 1922 a Lentini, in provincia di Siracusa, durante un comizio di Maria Giudice, (giornalista e attivista, madre della scrittrice Goliarda Sapienza) In cui la polizia e alcuni nobili latifondisti dai balconi sparano sulla folla uccidendo alcuni popolani due donne. Intervengono squadre armate di agrari e combattenti nazionalfascisti, comandate da un proprietario terriero le cui terre erano state occupate dai contadini nei mesi precedenti. Sin dalle prime pagine, l’autrice riesce ad ammaliare i lettori grazie a una narrazione avvincente e alla scrittura scorrevole. In questo romanzo, tra finzione e realtà, prevale il senso di rivalsa che arde prepotentemente nelle vene in ogni singolo personaggio. Da Santina, Alfio, Rosario, Tanino, Mariano Fortunato, Enza e Carmela, Eleonora, i baroni Beneventano fino alla protagonista principale Amelia Di Stefano. Una donna intrigante, riservata, tenace, determinata, dal passato turbolento convinta delle proprie idee e pronta a battagliare per esse, e con un'indiscussa carica umana. In conclusione, D’amore e di rabbia è decisamente un libro che vale la pena di leggere e che consiglio a tutti.


Intervista e recensione a cura di C.L

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