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18 giugno 2025

“GIALLO AL FEMMINILE” : LA PENNA BRILLANTE DI ROSA TERUZZI.


Cari lettori,

l’ospite di questa nuova intervista è una firma ormai amatissima nel panorama del giallo italiano: Rosa Teruzzi.
Vive e lavora a Milano ed è esperta di cronaca nera. Dopo aver guidato la redazione di Verissimo, è diventata caporedattrice della trasmissione televisiva Quarto grado e scrive romanzi e racconti di genere giallo. Per scrivere i suoi romanzi si ritira in estate presso un vecchio casello ferroviario a Colico, sul lago di Como. Un altro casello ferroviario, sito tra il Naviglio Grande e il Giambellino, ha ispirato la serie di romanzi I delitti del casello, editi a partire dal 2016, le cui protagoniste Vittoria, la mamma Libera e la nonna Iole, cercano di risolvere misteri tra Milano, la Brianza e il lago di Como. 
Con il suo stile vivace, i personaggi autentici e le trame avvincenti, Rosa Teruzzi ha conquistato lettori di ogni età. In questa chiacchierata esclusiva ci racconta del suo ultimo romanzo, del rapporto con le sue protagoniste — le “Miss Marple del Giambellino” — e ci svela qualcosa del dietro le quinte della sua scrittura.


D. COME È NATA LA TUA PASSIONE PER IL GENERE GIALLO?
 
R. Ho sempre amato leggere ma, nonostante il mio lavoro, o forse proprio per quello (da sempre faccio la giornalista di “nera”), in passato preferivo un altro tipo di libri, romanzi storici e feuilletton soprattutto.
E’ stata una straordinaria libraia milanese, Tecla Dozio, che avevo conosciuto mentre realizzavo a tempo perso la pagina della cultura del mio giornale, a farmi innamorare del genere e anche a spronarmi a scrivere.
Nella sua “Sherlockiana”, inizialmente vicina alla Statale di Milano e poi dalle parti dell’Arena, ho comprato quintali di libri, imparato ad apprezzare Simenon, Durrenmatt e Scerbanenco, il maestro di noi noiristi italiani, e incontrato alcuni degli scrittori che lei mi aveva fatto conoscere letterariamente, da Anne Perry, la maestra del mistery vittoriano, a Joe Lansdale, oltre a molti autori italiani che adesso incrocio per festival e presentazioni.
 

D. DA DOVE TRAI ISPIRAZIONE PER LE TUE STORIE?
 
R. Mai dai casi di cronaca che tratto nella trasmissione a cui lavoro, Quarto Grado, né dai giornali. Non mi piace rimasticare storie vere e mi fa rabbrividire l’idea di attribuire dialoghi o emozioni di fantasia alle vittime o ai carnefici reali di un crimine. Preferisco volare con l’immaginazione.
Le mie trame sono del tutto inventate, cosi come i miei personaggi, ma devo ammettere che più di trent’anni di frequentazione con investigatori in carne e ossa (carabinieri, poliziotti, magistrati) mi hanno regalato gli strumenti per rendere credibili le indagini delle mie protagoniste, una banda di eccentriche detective dilettanti composta da una fioraia, dalla sua bizzarra madre –una hippie mai pentita -e da una giornalista di cronaca nera.

 
D. COME BILANCI LA TRAMA CON LA COSTRUZIONE DEL SUSPENSE?
 
R. Le scuole di scrittura americane dividono gli autori di giallo tra architetti (che pianificano in ogni dettaglio la trama prima di iniziare a scrivere) e giardinieri, che mettono i loro personaggi in una situazione e poi li lasciano agire. Io appartengo a questa seconda categoria. Non sono metodica, né organizzata nella scrittura e anche per quanto riguarda i colpi di scena mi affido all’ispirazione.
Ma sono una forte lettrice e sono ipercritica. Quando una pagina mi annoia, la cancello senza pietà. Voglio essere la prima a emozionarmi e a sorprendermi di quello che leggo. Non ho mai creduto che fosse la quantità di delitti a fare di un giallo un buon giallo: sono più attratta dalla indagine e dal disvelamento dei segreti che da sangue e sparatorie.


D. COSA TI PIACE DI PIÙ DEL MESTIERE DI SCRITTRICE?
 
R. Fare la scrittrice non è un mestiere per me, è una passione. Quello che amo di più nell’esserlo è la libertà di creare in autonomia. E poi adoro parlare dei miei libri (e dei libri in genere) con i lettori.

 
D. CI SONO SCRITTORI CHE SONO PER TE FONTE D’ISPIRAZIONE? 

R. Sicuramente, nell’ambito del genere, il mio scrittore feticcio è Giorgio Scerbanenco: amo la sua Milano fragile e disperata e la malinconia feroce dei suoi personaggi.
Ma sono una lettrice onnivora. Tra i miei autori del cuore (impossibile stilare una classifica) ci sono Jane Austen, il Dumas del Conte di Montecristo, Edgar Allan Poe e Robert Stevenson. Ma sono anche una fan appassionata di Pia Pera e dei saggi meravigliosi di Stefano Mancuso.
Inoltre leggo tantissima poesia, anche se non la capisco e forse proprio perché non la capisco: la poesia ha una sua strada carsica che arriva dritta al cuore.


D. COSA VORRESTI CHE I TUOI LETTORI SAPESSERO SULLA SAGA DELLE SIGNORE DEL GIAMBELLINO?
 
R. Non amo le etichette, ma se dovessi definire i miei romanzi direi che sono commedie gialle con una vena noir, che hanno il loro cuore a Milano, in un romantico casello ferroviario nel quartiere periferico del Giambellino. Una piccola casa ai margini dei binari in cui vivono tre donne di una stessa famiglia, molto diverse eppure altrettanto legate. La più giovane di loro – una poliziotta – è l’unica a non indagare, e tenta – senza successo – di ostacolare le inchieste della mamma e della nonna, che sono segretamente a capo di un manipolo di “detective per caso", formato da una giornalista, dal suo burbero caporedattore, dal suo fotografo di fiducia e da un ex rapinatore con qualche scheletro nell’armadio. Tutti i miei personaggi hanno una ferita e un segreto. E questo, secondo me, li rende interessanti.


D. QUALI SONO I TUOI PROGETTI PER IL FUTURO?
 
R. Tra poco la trasmissione a cui lavoro chiuderà i battenti per la pausa estiva. A quel punto, come al solito, mi trasferirò nel casello ferroviario che è il mio luogo della scrittura, sulla sponda lecchese del lago di Como e lì inizierò la prossima avventura delle mie protagoniste. Ho già un’idea in testa, ma è ancora in fase embrionale. Riguarda comunque i battiti di un cuore malato. Ma sto pensando anche a un romanzo storico ambientato nel Quattrocento milanese ai tempi di Ludovico il Moro. E’ un periodo affascinante, creativo e sanguinario che ho studiato molti anni fa. E c’è un personaggio, una donna, che ogni tanto torna a sussurrarmi all'orecchio la sua storia.


Ringrazio Rosa per la sua disponibilità nel rispondere alle mie domande

 
In libreria e sugli store online dal 29 aprile 2025 Sonzogno Editori


SINOSSI 

Nella nebbia fitta della notte di Ognissanti, una misteriosa figura si muove nelle tenebre con un solo obiettivo: eliminare definitivamente Libera Cairati, la fioraia-detective del Giambellino. Dopo averla avvelenata con un mazzo di rose all’aconitina, l’aggressore si è dato un soprannome, l’Ombra, ed è pronto a colpire di nuovo. Dal rifugio del casello ferroviario in cui abita, Libera dovrà affrontarlo ad armi spuntate, costretta ad agire in gran segreto da Mimma Arrigoni, una pm che osteggia le sue indagini e insidia la relazione con il fascinoso commissario Gabriele. Ma quando il pericolo si fa più insidioso, Libera sa di poter contare sui complici di sempre – l’eccentrica madre Iole, la giornalista Irene e il burbero capocronista Cagnaccio –, una squadra affiatata a cui si uniscono due imprevedibili alleati: Diego Capistrano, ex rapinatore e amante di Iole, e Angelo Riva detto il Piè Veloce, un fotografo capace di rendersi invisibile e sparire nel nulla. Tra depistaggi, tentati omicidi e segreti nascosti, la caccia all’Ombra diventa un gioco letale, dove ogni mossa potrebbe essere l’ultima. In una Milano livida e battuta dalla pioggia, in cui tutti sembrano spiarsi a vicenda, Libera dovrà affrontare il suo nemico senza certezze – nemmeno quelle del cuore.


COSA NE PENSO

Con La giostra delle spie, Rosa Teruzzi firma un nuovo, brillante capitolo della sua celebre saga delle “Miss Marple del Giambellino”, un giallo dal ritmo serrato e dal cuore autentico, che si collega idealmente e narrativamente al precedente 'La ballata dei padri fedeli' (Clicca qui) .
Il lettore ritrova con piacere l’intero universo della Teruzzi: da Capistrano a Cagnaccio, dalla pittoresca Iole all’intensa Libera, personaggi ormai amati come vecchi amici eppure sempre capaci di stupire. Ed è proprio Iole, in questa nuova indagine, a brillare con una verve investigativa irresistibile, ironica, lucida, a tratti quasi commovente nella sua ostinazione.
Tra segreti sepolti e colpi di scena ben calibrati, l’intreccio si avvolge intorno a un’“ombra” che perseguita Libera, costringendola a confrontarsi con dubbi sempre più profondi e paure mai sopite. Ma La giostra delle spie non è solo un mystery avvincente: è anche un romanzo che sa toccare corde intime, in cui emerge con forza crescente il legame tra madre e figlia, quel filo invisibile e potente che unisce Iole e Libera nonostante le differenze, i silenzi e le scelte difficili.
Teruzzi, con la sua prosa precisa e la capacità tutta milanese di intrecciare ironia e malinconia, dipinge un affresco popolare ma mai banale. Il quartiere del Giambellino vive e respira tra le pagine, diventando quasi un personaggio esso stesso, con le sue contraddizioni, la sua vitalità e la sua umanità.
In conclusione, un giallo al femminile in cui il mistero si mescola all’affetto, alle fragilità e alla ricerca della verità. La giostra delle spie è una lettura appassionante, che conferma Rosa Teruzzi come una voce originale e riconoscibile nel panorama del noir italiano contemporaneo.
Consigliatissimo, buona lettura!

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27 maggio 2025

ELIO PECORA SI RACCONTA TRA SCRITTURA E VITA

Cari amici lettori,

Oggi ho l’onore di ospitare una voce raffinata e profonda della poesia italiana contemporanea: Elio Pecora.
Nato a Sant'Arsenio (Salerno) nel 1936, dal 1966 abita a Roma. Ha pubblicato raccolte di poesie, racconti, romanzi, saggi critici, testi per il teatro, poesie per i bambini. Ha curato antologie di poesia italiana contemporanea. Ha diretto la rivista internazionale “Poeti e Poesia” fino a giugno del 2024. Ha collaborato per la critica letteraria a quotidiani, settimanali, riviste fra i quali: La Voce Repubblicana, La Stampa-Tuttolibri, Il Mattino, La Repubblica-Mercurio, Reporter, L’Espresso, Tempo Illustrato, Wimbledon, Strumenti critici, Belfagor) e al secondo e terzo programma RAI.


D. COME E QUANDO NASCE LA SUA PASSIONE PER LA SCRITTURA?

R. Nasce nella prima adolescenza. Appartengo a una generazione che, fin dalle scuole elementari, imparava poesie a memoria. Inoltre fui assai presto un lettore accanito. Per me tanto la poesia che la narrativa sono stati e sono veri strumenti di conoscenza e di educazione dei sentimenti e ai sentimenti. Seppi presto quanto la parola della poesia chiamasse altre parole, schiudesse mondi ed emozioni, portasse in un altrove . 

D. QUALI EMOZIONI PROVA QUANDO SCRIVE UNA POESIA?

R. Sento di star riuscendo a esprimere la parte più vera e necessaria di me, del mio sentire, del mio stare nel mondo: insieme vigile e appassionato. 
            
D. DA QUALE IDEA, SPUNTO, ESIGENZA O FONTE DI ISPIRAZIONE, È NATO IL SUO NUOVO LIBRO, L'ACQUARIO?
 
R. L’aquario s’è andato componendo lungo diversi anni. Nemmeno più ricordo quale fu il primo episodio, se ne aggiunsero altri, poi venne chiara la struttura del tutto e quindi la premessa. Scrivevo di momenti e vicende che avevo vissuto o a cui avevo assistito o che mi erano stati raccontate e che reinventavo. Ne è venuto un polittico, un teatro con molte voci e tante diverse realtà.  

D. QUALI AUTORI L'HANNO MAGGIORMENTE  INFLUENZATA?
 
R. Anzitutto i grandi poeti latini, come Lucrezio e Orazio, poi di sicuro Leopardi, e fra gli autori del Novecento Auden, Eliot, Borges, Montale, Saba. Questi fra i poeti, E fra i prosator Stendhal, Tolstoj, Virginia Woolf, Anna Maria Ortese, Lalla Rimano, Giuseppe Pontiggia. E mi limito a questi fra i tanti che ho amato e che rileggo. E non posso non nominare i saggi di Montaigne, gli scritti sull’estetica di Croce e di Giorgio Colli e i diari di Max Frisch.   

D. QUALE È IL MESSAGGIO CHE VORREBBE TRASMETTERE AI LETTORI CHE HANNO LETTO O LEGGERANNO L'ACQUARIO?

R.Vorrei che dalla lettura del mio romanzo venisse chiaro che essere e rendersi vivi comporta il sapere di star compiendo un cammino con tanti altri e che questi altri, come noi, si aspettano vicinanza e comprensione. E ancora che la vita è un’avventura difficile e meravigliosa e in cui vale restare.  

D. CHE COSA CONSIGLIEREBBE A UN SUO LETTORE CHE VOLESSE SCRIVERE UN LIBR0?

R. Esprimersi con la scrittura richiede la buona conoscenza del suo uso, per questo conta soprattutto la lettura dei grandi narratori, quelli consegnati alla durata. Ma non basta la qualità formale, pure necessaria. Occorre tanto al poeta che al narratore la capacità di guardarsi dentro e intorno e di farlo con compassione e insieme con spietatezza, quindi lasciarsi portare dal demone della narrazione. 


Desidero ringraziare il Maestro Pecora per la sua gentile disponibilità e per l’attenzione riservata alle mie domande.



In libreria e sugli store online dal 11 aprile 2025 Neri Pozza


SINOSSI 

Chi può parlare di verità? Della verità che non si dice neanche a sé stessi, quella che qualcuno va a cercare dai curatori dell’anima, impastata di facili bugie, di articolate menzogne. Carlo, Giacomo, Anna, Laura, Lorenzo e gli altri che camminano in queste pagine, e per un poco le abitano, le loro verità invece vanno raccontandole, a noi e fra loro, facendone un teatro. Parlano delle loro giornate, di assilli, di ritorni, di assenze. Raccontano, si raccontano. Perché la vita, quella in cui si muovono vigili e inquieti, non basta. Così va narrata, anche nell’imprecisione. Con il risultato di fornire a chi ascolta mappe intricate di percorsi, in gran parte inesplorabili, tanto che all’uno e all’altro, chi racconta e chi ascolta, restano in dono particelle di un corpo sconosciuto. Forse per questo continuano a cercarsi, ad ascoltarsi, e quel che è prima parso intricato, confuso, si fa più chiaro, sicuro: fino al piacere di consegnare, di consegnarsi. E nell’età della scontentezza e dell’ansia, dove la solitudine è tacitata dal frastuono, forse un’ultima speranza di salute può venire dal sapersi uguali nel raggiro, compagni nella confidenza. Come munirsi di una mappa, e per quella aggirare la paura di smarrirsi, forse di condividere.


COSA NE PENSO

In queste pagine si cammina, sì, ma non con i piedi: si avanza con l’anima, a piccoli passi, dentro vite che non ci appartengono e che pure, misteriosamente, ci somigliano. Carlo, Giacomo, Anna, Laura, Lorenzo e gli altri , figure appena accennate o profondamente indagate  abitano il libro come si abita un sogno condiviso, uno di quelli da cui ci si sveglia con una domanda in più e qualche certezza in meno.
La scrittura, intessuta di cura e verità, non si accontenta del reale. Lo interroga, lo scava, lo traduce in parola narrante. I personaggi non fanno che raccontarsi, e nel farlo costruiscono un teatro dell’anima, un palcoscenico fragile e prezioso dove ogni gesto ha il peso di una confessione. Parlano di giorni che si assomigliano, di ritorni attesi o solo immaginati, di assenze che fanno più rumore delle presenze. Ma è proprio in questo continuo rivelarsi che si apre un varco: la narrazione si fa cura, il racconto diventa rifugio.
Ho letto queste pagine con un senso di gratitudine crescente, come si ascolta una voce che non alza mai il tono, eppure ti arriva addosso come una folata piena. L’imprecisione, lungi dall’essere un difetto, è qui un gesto d’amore verso la complessità umana. Non si cerca la perfezione, ma l’autenticità: quella che ci disarma e ci rende veri.
E così, tra intrecci e confessioni, ci si ritrova ad accogliere una nuova consapevolezza: che siamo tutti, in fondo, esploratori di mappe interiori, in gran parte ignote. E il racconto  questo racconto ci tende la mano e ci accompagna a decifrarle. Non si esce indenni da questo libro, ed è un bene. Perché c’è un momento, durante la lettura, in cui si sente con chiarezza il passaggio: da spettatori a partecipi, da lettori a testimoni.

«Bisogna badare all' essenziale».

In conclusione, lo consiglio a chi cerca nella letteratura un luogo di incontro, non di evasione. A chi, stanco della superficialità del rumore, desidera finalmente ascoltare. Perché forse, come suggerisce l’autore, la vera speranza sta proprio qui: nel riconoscerci compagni, fragili e veri, dentro una narrazione condivisa.Leggetelo. Rileggiamolo. Buona lettura!


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14 maggio 2025

CONOSCIAMO ROSITA MANUGUERRA AUTRICE DEL LIBRO “MALANIMA”


Bentrovati amici lettori,

L'ospite di oggi è Rosita Manuguerra.
Rosita è cresciuta a Favignana, un’isola nell’isola dove ha imparato che, tra il dire e il fare, c’è davvero di mezzo il mare. Quando era piccola qualcuno le ha suggerito che il modo migliore per ritrovarsi è scrivere. Da allora, e dopo una lunga parentesi a Torino e la formazione alla Scuola Holden, racconta storie. Malanima è il suo primo romanzo.

D. QUANDO È NATA IN TE LA PASSIONE PER LA SCRITTURA?

R. Nasco come lettrice. Da piccola leggevo di tutto da che ho imparato a farlo. A Favignana ai tempi c’era solo una piccola edicola, dove arrivavano fumetti e pochi bestseller. Centellinavo i soldi della paghetta e compravo i libri più voluminosi, così che durassero di più. Proprio per questa passione per la lettura, a un certo punto qualcuno, forse una maestra, mi chiese perché non scrivessi io. Mi sembrò bizzarro, per me non erano due cose consequenziali. Ma da allora iniziai a leggere smontando i libri, per capire com’erano fatti. E cominciai a scrivere.

D. C'È  UN EPISODIO IN PARTICOLARE CHE TI HA ISPIRATA PER “MALANIMA”?

R. Non uno. Direi piuttosto che in “Malanima” sono confluiti tanti piccoli frammenti di cose ho vissuto, osservato, sentito. Che, messi su pagina, hanno iniziato a vivere di vita propria, sorprendendomi.

D. A QUALE DEI PERSONAGGI DA TE SCRITTI IN QUEST'OPERA SEI PIÙ LEGATA?

R. Sono legata a tutti i personaggi in modo diverso perché ognuno di loro rimanda per me a qualcosa: alcuni al momento in cui sono stati scritti, altri a un’azione che hanno compito e mi ha stupita. Ma se dovessi sceglierne tre su tutti sarebbero il pescatore Nunzio, la magara Amalia e Nietta, la zia di Mia. Quanto alle due protagoniste, Mia e Marina, le amo in un modo tutto mio che non contempla competizioni con altri personaggi.

D. RIASSUMI IN POCHE PAROLE COSA HA SIGNIFICATO PER TE SCRIVERE QUESTO LIBRO?

R. Scrivere questo libro ha significato per me iniziare un percorso di crescita interiore che prosegue tuttora. Riuscire a imprimere su carta l’istinto ad andare e quello a tornare nella mia piccola isola e questo Malanima (sì, al maschile) che ho sempre visto negli occhi di tanti isolani e anche in quelli di chi dell’isola si era innamorato per qualche motivo. Nella finzione del romanzo il Malanima è il sentimento, anzi, più il malanno, che affligge chi sente di trovarsi in un posto in cui non dovrebbe stare. Questo posto non è necessariamente un luogo geografico, ma più una fase di vita nella quale ci forziamo perché la percepiamo senza via d’uscita. Scrivere questo romanzo mi ha aiutata a comprendermi meglio, ed è incredibile come si possa riuscire a farlo tramite un’opera di finzione.

D. COSA SI PROVA A VEDERE IL PROPRIO ROMANZO PRENDERE CORPO E DIVENTARE LIBRO?

R. È indescrivibile. Non credo che mi abituerò mai. La prima volta che l’ho visto ero a Milano in casa editrice. Anche avendolo fra le mani non sono riuscita a convincermi che fosse reale.

D. C'È UN LIBRO DI UN ALTRO AUTORE CHE VORRESTI AVER SCRITTO TU?

R. “Fuochi fiammanti a un’hora di notte” di Ermanno Rea. Non avrei potuto scriverlo io, ma mi ha dato una direzione a cui aspirare. 

D. PROGETTI PER IL FUTURO?

R. Continuare a leggere, a scrivere. Viaggiare, respirare vita. Crescere. 

Ringrazio Rosita per la sua disponibilità nel rispondere alle mie domande


In libreria e sugli store online dal 8 aprile 2025 Feltrinelli Editore


SINOSSI

Sull’isola non tutti vanno e vengono allo stesso modo. Ci sono quelli che arrivano con il sole di maggio e ripartono con le prime piogge di settembre. C’è chi fa avanti e indietro ogni giorno, senza più chiedersi a quale riva appartenga davvero. E poi ci sono quelli che, messi dalla vita davanti a un bivio, hanno dovuto scegliere se restare o imbarcarsi per una partenza che può valere un addio. Entrambe le scelte lasciano un segno invisibile e profondo. Mia lo ha imparato da bambina attraverso la storia della sua famiglia – la madre Teresa è rimasta, nella convinzione che l’isola fosse l’unica realtà possibile, mentre la zia Nietta è andata via appena ha potuto – e continua a vivere questi conflitti da adolescente insieme a Giulia, Anna e Nello, gli amici di sempre. Adesso però a portare scompiglio è arrivata Marina, la ragazza di città che non se ne andrà con le piogge di settembre. Così diversa e a tratti scostante, Marina attira su di sé sentimenti contrastanti: dalla curiosità al disprezzo, dall’attrazione all’invidia. Mia, invece, in lei vede soprattutto il fascino di chi proviene da un altrove lontano. Eppure Marina si trascina dietro legami ancestrali – sua madre Lia è legata a filo doppio con l’isola da un trauma e dall’antica amicizia con Teresa – e sembra destinata a riportare a galla segreti inconfessabili. 


COSA NE PENSO

La malanima del cuore corrisponde al canto antico del mare, tanto esso è più profondo tanto la malinconia assale gli isolani del romanzo Malanima.
Amo le storie di formazione che percorrono intere vite e qui di vita c'è ne sono tante.
Marina, Mia,Aldo,Nello,Anna, Giulia, Totò.
L'adolescenza non è mai stata facile per nessuno, soprattutto per questi ragazzi che vivono in un' isola. Il mare è tutto ciò che conoscono e adesso devono fare i conti con una nuova realtà. I cambiamenti sono dietro l'angolo per ciascuno di loro, i sogni di Mia sono in bilico, l'amicizia con Marina subisce fasi altalenanti e anche le sue vecchie conoscenze vacillano e rischiano di finire.
Un passato che torna imperterrito a minacciare il presente di Marina.

«Il patto fra noi era che io quelle ferite non le guardassi,non le nominassi, fingessi che non esistevano. Se invece ne avessi parlato,lei sarebbe scappata via da me come acqua fra le mani.»

Molte domande, poche risposte, nel passato di Marina,un' anima inquieta che si aggira tra le cave di tufo dei suoi antenati. Bel personaggio, davvero!
In conclusione, Malanima è una storia ben strutturata. I colpi di scena sparsi qua e là,  accompagnano il lettore alla scoperta di segreti sorprendenti, scrittura scorrevolissima. Dal mio punto di vista, il messaggio che l'autrice vuole fare arrivare ai suoi lettori riguarda il cambiamento interiore in ognuno di noi, l’anima muta le sue corrispondenze relazionali che ci piaccia o no. Un libro che mi ha pienamente soddisfatta! Consigliato.Buona lettura.


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24 aprile 2025

“LA GRANDE SETE DI LIBERTÀ: ERICA CASSANO SI RACCONTA”



Cari amici lettori,
oggi vi presento Erica Cassano, autrice esordiente che si affaccia con entusiasmo e talento nel mondo della scrittura. Conosciamola insieme.
Erica Cassano nasce nel 1998 a Maratea.
Dopo il liceo classico, ha conseguito la laurea triennale in Lettere Moderne e la magistrale in Filologia Moderna presso l’Università Federico II di Napoli. Ha inoltre frequentato un master in Scrittura e narrazione. Oltre ai libri, ama l’arte, la fotografia e i gatti, di cui si è sempre circondata. La Grande Sete è il suo romanzo d’esordio, pubblicato da Garzanti nel 2025.


D. CHI È ERICA?

R. Prima, una ragazza che amava tanto scrivere, ora una scrittrice. 
Ma ero tante cose anche prima di questo libro. Ho moltissime passioni, le elencherò brevemente perché credo possano dare un’idea del tipo di persona che sono.
Amo i musei e tutto ciò che ha a che fare con l’arte di ogni epoca e proveniente da ogni luogo del mondo. Sono una “gattara” e ho due gatte, Clio e Linda che mi mancano moltissimo quando sono lontana da loro, e lo stesso vale per il mio cane, Blu. Sono sempre, in ogni contesto, la fotografa del gruppo. Tutti i miei amici sono affezionati alla mia ormai anziana reflex e la chimano per nome, Nadia (sì, anche la mia macchina fotografica ha un nome). Non so se si può definire passione, sicuramente il mio portafoglio non ne sarebbe felice: adoro fare shopping, soprattutto di abiti e scarpe. Ahimè, anche gli scrittori sono vittime del capitalismo. Leggo moltissimo ma, anche se mi duole dirlo, tendo ad abbandonare crudelmente i libri che non mi piacciono da subito dopo le prime pagine. 

D. CHE COSA TI HA FATTO APPASSIONARE ALLA SCRITTURA? E DA QUANTO TEMPO
SCRIVI?

R. La risposta è semplice quanto banale: da sempre. Non ho memoria di un momento della mia vita in cui non abbia voluto fare la scrittrice. Mi sono appassionata alla scrittura, credo, leggendo: mi immergevo del tutto nei miei libri preferiti (quelli che non ho abbandonato)  e pensavo che anche io volevo scrivere delle storie così. In più ha contribuito anche la scuola. Sin dalla scuola primaria, quando il compito a casa comprendeva il dover inventare una storia oppure scrivere un tema, la mia testa si illuminava, non vedevo l’ora di mettermi all’opera. 

D. DOVENDO RIASSUMERE IN POCHE RIGHE IL SENSO DEL TUO NUOVO LIBRO “LA GRANDE SETE”, COSA DIRESTI?

R. La Grande Sete è un romanzo che inizia con un miracolo: mentre in tutta Napoli manca l’acqua, in un piccolo appartamento, al mezzanino di un condominio a Chiaia, l’acqua continua a scorrere. Intanto il popolo, stremato, combatte per cacciare i Nazisti dalla città. Siamo nel 1943 e Napoli sta per liberarsi da sola, prima città in Europa, dall’oppressore. La protagonista, Anna, è una ragazza che deve diventare donna, nonostante gli squilibri della guerra. Mentre tutti provano una sete fisica, Anna prova un altro tipo di sete, difficile da soddisfare, che ha a che fare con la volontà di creare un futuro migliore per se stessa e per la propria famiglia. Il senso della storia forse si trova tutto qui: nei limiti che si riescono a superare per soddisfare la propria sete. 

D. UNA SCENA DEL LIBRO CHE TI PIACE PARTICOLARMENTE?

R. La mia scena preferita arriva verso la fine del romanzo, nel capitolo intitolato “ ‘O sole mio”. La protagonista si trova al teatro San Carlo di Napoli. Prima dell’opera, il Rigoletto, l’orchestra intona due inni, quello inglese e quello americano. Un signore, dalla platea, si alza per chiedere al console americano, seduto nel palco reale, che anche il popolo italiano presente venga rappresentato dal proprio inno. La risposta del console è sarcastica, ferisce nell’orgoglio sia l’uomo che ha parlato che quelli che non hanno osato protestare. Non vi resta che leggere per scoprire la reazione dell’uomo e di tutte le persone italiane in platea…
Posso dire però che amo particolarmente questa scena perché è una delle prime che ho immaginato di scrivere e anche una delle più commoventi!

D. QUAL È IL MESSAGGIO CHE VORRESTI TRASMETTERE AI LETTORI CHE LEGGERANNO IL TUO LIBRO?

R. Ci sono molti messaggi che vorrei trasmettere, ma il più importante credo sia questo: tutti abbiamo il diritto di non arrenderci, di scegliere quello di cui abbiamo bisogno, senza lasciarci scoraggiare dalle condizioni esterne e senza farci intimorire da quello che gli altri si aspettano da noi. 

D. CI SONO SCRITTORI CHE SONO PER TE FONTE D’ISPIRAZIONE?

R. Quando si scrive è quasi inevitabile sentire l’influenza di tutto ciò che si legge. Mi viene da rispondere che tutte le autrici e tutti gli autori a cui mi sono approcciata, in parte, sono stati una fonte di ispirazione. Per scrivere “La Grande Sete”, però, ho avuto bisogno di guide che mi aiutassero a creare con precisione il mondo in cui volevo il lettore si immergesse. Queste guide le ho trovate in Curzio Malaparte, che con La pelle offre infiniti tableau vivant di Napoli nei giorni dell’occupazione americana; in Elsa Morante, da cui ho imparato come gestire l’irrompere della storia sulla pagina e infine in Elena Ferrante, che con la sua scrittura trascinante mi ha insegnato a creare una storia coinvolgente. 

D. PROGETTI PER IL FUTURO?

R. Spero di avere l’opportunità di continuare a scrivere per sempre le mie storie.

Ringrazio Erica per la sua disponibilità nel rispondere alle mie domande

In libreria e sugli store online dal 4 marzo 2025 Garzanti


SINOSSI

Anna ha sete. Tutta la città ha sete, da settimane. C’è chi li chiamerà i giorni della Grande Sete, e chi le ricorderà come le Quattro Giornate di Napoli. È il 1943 e l’acqua manca ovunque, tranne che nella casa in cui Anna vive con la sua famiglia. Mentre davanti alla Casa del Miracolo si snoda una fila di donne che chiede quanto basta per dissetarsi, lei si domanda come mai la sua sete le paia così insaziabile. Perché quella che Anna sente è diversa: è una sete di vita e di un futuro di riscatto. A vent’anni vorrebbe seguire le lezioni alla facoltà di Lettere, leggere, vivere in un mondo senza macerie, senza l’agguato continuo delle sirene antiaeree. Ma non c’è tempo per i sogni. Il padre è scomparso, la madre si è chiusa in sé stessa, la sorella e il nipote si sono ammalati. Il loro futuro dipende da lei. Così, quando ne ha l’opportunità, Anna accetta un impiego come segretaria presso la base americana di Bagnoli. Entra in un mondo che non conosce, incontra persone che provengono da una terra lontana, piena di promesse, che incanta e atterrisce allo stesso tempo, come tutte le promesse. La cosa più semplice sarebbe scappare, lasciarsi alle spalle gli anni dolorosi della guerra. Ma Anna non vuole che qualcun altro la salvi. Come Napoli si è liberata da sola, anche Anna deve trovare da sola la sua via di salvezza. La grande sete non è facile da soddisfare. Viene da dentro e parla di indipendenza e di amore per il sapere e, soprattutto, parla del coraggio necessario per farsi sentire in un mondo che non sa ascoltare.

COSA NE PENSO

Dire soltanto che si tratta di una vera rivelazione sarebbe riduttivo, considerando che si tratta di un libro d'esordio. La trama si mantiene interessante dall' inizio alla fine. La Grande Sete, narra gli aspetti più importanti di una persona,la famiglia, le amicizie, il battersi per i propri ideali, e ciò ne fa di Anna la protagonista di questo romanzo una vera eroina. 
Ottima la stesura, personaggi credibili all' interno di un contesto storico di fame e miseria che ha visto Napoli ed il resto del nostro paese morire per la seconda guerra mondiale, per poi risorgere più forte di prima in mezzo alle macerie. 
Napoli con i suoi vicoli stretti,i bassi, il mezzanino dove vive Anna insieme alla sua famiglia, la solidarietà della gente in momento di grande miseria, il miracolo perché Napoli vive di miracoli nonostante tutto.

«Dare da bere agli assetati, c'era scritto pure nella Bibbia. Quanta gente aveva evitato la morte in quei giorni, grazie a noi. Avrei dovuto sentirmi pulita,mondata di tutti i peccati. Invece continuavo a sentire una grande pesantezza.»

La rabbia abita nei personaggi, un' altra protagonista che secondo il mio punto di vista va attenzionata è Carmela, la sua storia colpisce perché il suo vissuto è avvolto in una nube di malinconia e nell' inganno.
La rivalsa di Carmela diventa un filo sottile pronto a spezzarsi, ma poi tutto cambia e questo dà la vera svolta ad uno dei personaggi più belli del libro, citare tutti gli altri non basterebbe una sola pagina, ma i genitori di Anna sono entrambi, due menti e due anime che reggono il peso del dolore, senza che esso possa scalfire le loro forti personalità.
In conclusione,La Grande Sete è un grande insegnamento per tutti noi, mai arrendersi, bisogna invece, cercare conforto l'uno nell'altro e mai perdere la speranza, i miracoli esistono basta solo crederci. La voglia di Anna di fare della sua vita quello che sente la rendono uno dei personaggi più belli letti nell' ultimo periodo. 
L'onestà di questa ragazza convince,piace e soprattutto stimola di continuo la mente di chi legge la sua storia.Lettura super consigliata.Buona lettura!


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04 aprile 2025

IL CORAGGIO DI ESSERE: DIALOGO CON STEFANO FERRI




Miei cari lettori,

È un'onore, oltre che un piacere ospitare nel mio blog Stefano Ferri. Stefano è nato a Milano nel 1966, vive a Milano dove è giornalista e consulente in comunicazione.
Nel 2004 ha ricevuto il Premio Hilton per il giornalismo specializzato in turismo d’affari e nel 2006 il Premio Italia for Events per la stampa di settore. Da molti anni è attivo a sostegno dei diritti civili, dando testimonianza, su giornali, tv e social media, della sua condizione di crossdresser.
Parla inglese (bilingue) e tedesco, conosce l’arabo e il russo e nel tempo libero si diletta di chitarra classica (tra gli autori interpretati Bach, Sor, Villa-Lobos, Yepes).
Inoltre, Stefano è il direttore generale di
Meritocrazia Italia , associazione no-profit a carattere socio-culturale, che sta rapidamente crescendo e diffondendo la sua voce in giro per l’Italia. Mossa dalla volontà di conferire forza “all’Italia che Merita”, ossia riaffermare il valore del merito, dell’impegno e dell’equità sociale.
Per chi vorrà aderire (solo TRE euro) Clicca qui


D. STEFANO, COM'E' NATA LA TUA PASSIONE PER LA SCRITTURA?

R. Da un’incessante ricerca su me stesso. Chi mi conosceva bene aveva capito già dalla mia prima giovinezza che potevo essere uno scrittore (un mio cugino me lo disse che avevo solo 19 anni!), ma io bene non mi conoscevo, ho avuto un percorso parecchio lungo e arduo, come chi ha sentito parlare di me sa, e ciò si è riflesso negativamente sull’identificazione della “carriera” giusta. Che poi tanto carriera non è, né è solo legata alla scrittura. L’altra mia anima è quella legata alle PR, ai lavori di rappresentanza, alla consulenza di marketing. I romanzi restano la mia grande passione, e come tanta altra gente mi cimento nel crearne di nuovi. Dico sempre che scrivo i romanzi che vorrei leggere.

D. COSA TI AIUTA A CONCENTRARTI MENTRE SCRIVI?

R. Il silenzio. Ammiro quanti si concentrano con la musica. Io amo la musica, non smetterei mai di ascoltarla, ma se metto su una delle mie playlist non riesco a buttar giù una riga.

D. CHE SENSAZIONE SI PROVA DOPO AVER SCRITTO UN LIBRO?

R. È un’emozione che porta con sé due sentimenti opposti: liberazione – per la grande fatica che finisce (scrivere è una fatica nera, ricordatelo sempre) – e nostalgia per i personaggi che non vedrai mai più crescere, vivere, gioire e piangere nella tua testa.

D. CHE MESSAGGIO HAI VOLUTO LANCIARE CON IL LIBRO “DUE VITE UNA RICOMPENSA”?

R. Due vite una ricompensa intende mostrare una delle più profonde e amare regolarità dell’esistenza umana, ossia che se da un lato non è vero in assoluto che chi la dura la vince, dall’altro è sempre vero che un sacrificio onesto e amorevole lascia un segno, per quanto eventualmente diverso dall’intento originario, come un seme che porta frutto ai posteri e non a chi lo ha piantato.

D. QUALI SONO GLI AUTORI O I LIBRI CHE HAI AMATO DI PIU' O CHE MAGGIORMENTE TI HANNO INFLUENZATO?

R. In assoluto Stephen King, il più grande genio letterario del XX Secolo, tuttora colui che sa maneggiare la penna meglio di chiunque altro. Ho imparato da lui la descrizione precisa di quanto sta intorno alla scena principale, come una cartolina che vive di parole e non di immagini. Sempre da lui ho imparato l’introspezione psicologica dei personaggi, vero tallone d’Achille di tanti scrittori, specie italiani. Ho molto amato anche Andrea Camilleri, Paolo Giordano e il primo Ammaniti.

D. COSA DIRESTI ALLO STEFANO DI 20 ANNI E VICEVERSA?

R. Lui mi parlerebbe per primo esclamando «Come ti sei ridotto!» e io gli risponderei «Come tu stesso vorresti ridurti» raccomandandogli di non avere paura e di non aspettare altri vent’anni per lasciarsi andare.

D. STAI LAVORANDO A QUALCHE PROGETTO FUTURO CHE TI PIACEREBBE CONDIVIDERE CON NOI?

R. L’ho già annunciato sui social, volentieri lo ripeto qui: mi sono dato alla cittadinanza attiva divenendo direttore generale dei Ministeri di Meritocrazia Italia, associazione culturale a-partitica (nel senso che non ha vincoli ideologici e si interfaccia con tutti) volta a propugnare una società fondata soltanto sul merito. Obiettivo nobile e arduo, visto il punto di partenza che sappiamo e di cui si vedono i ben tristi risultati. Ha un'organizzazione capillare, sia sul territorio sia nella dirigenza, articolata essenzialmente in Ministeri recuperando il senso etimologico della parola (da "minus", "meno", contrapposto a "magis", "più", laddove in origine i ministri erano gli esecutori pratici degli ordini dei magistrati). In sei anni ciò si è rivelato molto funzionale all'interlocuzione con le istituzioni, perché ne adotta lo stesso linguaggio.
Come sapete, da un decennio do testimonianza a favore di una società senza discriminazioni, proprio per averne subite a bizzeffe, anche da gente insospettabile. Non immaginerei modo migliore per festeggiare il decimo compleanno del mio attivismo pubblico se non questa grande occasione per potenziarlo all'infinito.

In libreria e sugli store online dal 26 settembre 2024 Mursia  anche in formato Kindle. 


SINOSSI 

«Era la voce del cardinale che proclamava: 
“Un giorno tutto il mondo farà così”.»

Anno Mille. In uno sperduto feudo del Regno di Lombardia la routine del contadino Guglielmo viene funestata dall’improvvisa – e gravissima – malattia della giovane moglie Rosa. Deciso a non rassegnarsi all’idea di perderla, mentre sacrifica tutto il raccolto a un viaggio della speranza allo Spedale di Milano, s’inventa un modo per non togliere il cibo di bocca ai suoi bambini: una pietanza sconosciuta chiamata riso, insaporita col contenuto dell’osso grande del bue.
È la stessa pietanza che ritroviamo secoli dopo nella Milano di San Carlo Borromeo, tinta di giallo zafferano da un pittore del cantiere del Duomo, e che dopo la peste del 1576-77 lascerà una traccia perenne nei miti e nei riti dell’amore.
Una storia emozionante, indicativa del senso della vita quant’altre mai.


Photo by Anna Gugliandolo

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27 marzo 2025

INTERVISTA A NOVITA AMADEI AUTRICE DEL LIBRO “DA SOLO”



Cari miei lettori,

Bentrovati! L'ospite di oggi è Novita Amadei. Nata a Parma e vive in Francia. Lavora come consulente nel campo dell’asilo politico e delle migrazioni internazionali, e anche la sua attività da giornalista pubblicista è relativa a questi temi. Dentro c’è una strada per Parigi (Neri Pozza 2014), il suo romanzo d’esordio, è stato finalista alla prima edizione del Premio Nazionale di Letteratura Neri Pozza e anche ai premi Bottari Lattes Grinzane e Corrado Alvaro e ha vinto il XXVIII Premio Massarosa. Sempre presso Neri Pozza sono usciti i romanzi Finché notte non sia più (2016) e Il cuore è una selva (2020), le raccolte di racconti Ragazze di Parigi (2018) e Operazione umanitaria (2019), oltre a un contributo nell’antologia L’allegra brigata (2020).


D. QUANDO HAI INIZIATO A SCRIVERE?

R. Quindicenne, scrivevo poesie. Più avanti, viaggiando per studio e per lavoro, ho iniziato a scrivere racconti su persone che incontravo o incrociavo soltanto, pezzetti di storie, volti e dialoghi trattenuti in una sorta di fotografia a parole. Col moltiplicarsi dei racconti, mi sono resa conto che la scrittura era un “posto” dove stavo bene, la “room of one’s own” di Virginia Woolf, e mi sono misurata col formato del romanzo, che non ho più lasciato (anche se il mio primo - Dentro c’è una strada per Parigi - rimane ancora una via di mezzo fra il racconto lungo e il romanzo breve). 
Faccio fatica a datare con precisione il momento in cui ho iniziato a scrivere, forse, per il piacere e l’impegno che ci mettevo erano già una forma di scrittura in nuce i biglietti di Natale, i diari delle vacanze, le lettere alle amiche, i temi delle medie... 
Oggi, comunque, posso dire con certezza che la scrittura mi abita e condiziona il modo stesso in cui penso, in cui trattengo certe immagini, certe storie o solo dettagli, e il modo in cui si ricompongono, poi, sulla pagina scritta.  

D. IL TUO ROMANZO “DA SOLO” È TRATTO DA UNA STORIA VERA. 
QUAL È STATO IL MOMENTO PIÙ SIGNIFICATIVO DURANTE IL PROCESSO DI SCRITTURA? 

R. La scrittura di questo libro è stata “fisica”, fatta di scambi con altre persone e di viaggi, in un rimando continuo, e concreto, fra il mondo e la pagina, la realtà, l’immaginazione e la parola. Da solo, infatti, non è stato nato fra me e me, alla scrivania, ma mi ha richiesto di recuperare interviste e contatti di migranti ucraine con cui avevo lavorato agli inizi degli anni 2000 - oltre alla scrittura, mi occupo di asilo politico e migrazioni internazionali – e di viaggiare in Ucraina, nelle terre da dove viene il mio personaggio, attraversando poi il Paese in treno, da ovest a est, come aveva fatto lui nel mettersi in salvo. Dopo aver finito di scrivere il libro, mi sono messa alla sua ricerca, alla ricerca del bambino vero a cui la storia è ispirata. Mi scoraggiava il numero di rifugiati ucraini Europa (otto milioni dichiarati e ventiquattro le persone uscite dal Paese), invece l’ho trovato, a Bratislava, con la sua famiglia. E devo dire che questo incontro, insieme alla visita delle zone di guerra con la gente del posto, sono state emozioni grandissime.

D. TRA LA TRAMA E I TUOI PERSONAGGI, COSA È ESSENZIALE PER TE? PERCHÉ?

R. Senza dubbio i personaggi, sono loro a portare la trama. Inizio spesso a scrivere una storia senza avere un plot ben definito, ma non sarei in grado di buttare giù nemmeno una riga senza avere in testa il protagonista e uno o due altri personaggi principali. 
Ogni personaggio è portatore di filiazioni, relazioni, aspettative e panorami, ognuno ha un suo profilo, un suo movimento, una storia che, incrociata con quella degli altri, suggerisce di per sé la trama o, perlomeno, vi dà la direzione. Capita che non debba nemmeno decidere perché, per come sono, i personaggi condizionano certe scelte, le dettano proprio. La convinzione che l’autore sia un deus ex machina che decide di ucciderli o crescerli, di essere violento o lascivo con loro, folle o amaro, è solo un’illusione. L’autore non è che un prestanome.

D. HAI DELLE ABITUDINI QUANDO SCRIVI? PREDILIGI DEI LUOGHI PARTICOLARI DOVE SCRIVERE?

R. Scrivo a casa, quando la casa è vuota. Pantaloni della tuta e con una finestra accanto. L’occhio che s’allontana aiuta il pensiero.

D. A QUALE SCRITTORE TI SENTI PIÙ VICINA PER GENERE O SCRITTURA?

R. Non so se posso definirmi “vicina”, ma sento di condividere la sensibilità di Alice Munro nella ricerca di una lingua esatta e nella narrazione di vicende dalla quotidianità spiazzante, attraversate da crudeltà e felicità con cui tutti prima o poi ci misuriamo.

D. COSA VORRESTI CHE I TUOI LETTORI SAPESSERO?

R. La scrittura narrativa non mente, non inganna, non accetta compromessi. Richiede ostinazione e fiducia. Abnegazione. Nelle sue vertigini, si nascondono i confini del proprio io, le stanze di una casa, mondi senza fine, misteri che generano altri misteri che si vogliono senza spiegazione né regole immutabili e oggettive, ordine e riposo, frastuono, una foresta di terminazioni nervose, un chiodo fisso, una falda sotterranea... Non è un insegnamento, questo, nessuna spiegazione, solo l’augurio che i lettori sentano tutto ciò nelle pagine di un libro. 

D. QUALI SONO I TUOI PROGETTI PER IL FUTURO? 

R. Intanto, vorrei che il neonato Da solo si facesse strada con la stessa ostinazione e lo stesso coraggio del bambino e della madre di cui racconta. Poi, è già prevista l’uscita di un altro romanzo nel 2026 e una nuova storia mi sta covando in testa. Il mio progetto per il futuro, insomma, è continuare a coltivare questa tensione: l’equilibrio fra la scrittura e tutto il resto.

Ringrazio Novita per la sua disponibilità nel rispondere alle mie domande

In libreria e sugli store online 21 febbraio 2025 Neri Pozza


SINOSSI 

In tempo di guerra cambia ogni cosa, anche per chi non combatte in prima linea: i gesti, le parole, gli sguardi, i sogni non sono più gli stessi. In tempo di guerra ci sono bambini che, nello spazio stretto di una notte, si trasformano in piccoli uomini che devono affrontare e comprendere il mondo da soli. E ci sono madri che, nella speranza di proteggere i loro figli, li lasciano andare condannandosi a vivere con solo mezzo cuore. Questa è la storia di Jarek che, pochi giorni prima dei suoi dieci anni, pochi giorni dopo l’invasione russa dell’Ucraina, attraversa il Paese da solo per cercare rifugio a Bratislava, a migliaia di chilometri da casa. Parte con la destinazione scritta sulla mano e giochi d’immaginazione nella testa, a cui ricorre istintivamente per dare un senso a ciò che senso non ha. Sua madre Hanna lo ha lasciato nella folla di fuggitivi alla stazione di Zaporižžja, restando a casa con Olena, la nonna invalida, e scegliendo per lui un insidioso viaggio nell’ignoto come alternativa al vivere per sempre con l’orrore negli occhi o al diventare un bersaglio. Lo ha portato in stazione con l’inganno e non ha voluto aspettare la partenza del treno. A dimostrazione del fatto che anche gli animi più impauriti possono generare atti di grande coraggio.

COSA NE PENSO

Un libro emotivamente profondo che spacca in due il cuore. L'abbandono visto da occhi diversi. Addii non pronunciati,anime ferite e occhi che si cercano ma non si trovano.
Sono 3 i personaggi principali della storia, Jarek un bambino di appena dieci anni,sua madre Hanna, e la nonna di Jarek, Olena.
La forza dell' amore raccontata con quella sensibilità dovuta alle vittime della guerra in Ucraina, toglie il respiro ogni volta che il racconto va avanti e procede senza interruzioni perché una pagina tira l'altra in quel susseguirsi di curiosità vissuta nel dolore.
L'orrore della guerra,la sola idea di una madre che tenta di proteggere e di salvare suo figlio lascia sgomenti chiunque. Leggere questo libro è molto importante perché ci mette davanti alla realtà, che accade proprio nella porta accanto.

«Rieccoli,i miei pensieri senza capo né coda e l'impossibilità maledetta di parlare a Jarek come ho sempre fatto,con misura e giudizio,ma schiettamente. Più me lo riprometto, più mi sento confusa. Eppure,la scelta da prendere è semplice: restare o partire...»

In conclusione, a fine lettera, si ha una percezione diversa di come eravamo all'inizio lettura, tutto cambia dentro di noi, e niente sarà più come prima, un libro che ci scuote fin dentro le viscere.
Dire che si tratta di un bel libro sarebbe scontato è molto di più. L'unico consiglio che io vi possa dare è leggetelo,leggetelo,leggetelo.
Buona lettura!

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18 marzo 2025

L'URLO DEI GATTOPARDI – LIANA ZIMMARDI, TRA STORIA E PASSIONE.






Cari lettori,

L'ospite di oggi è Liana Zimmardi.
Nata a Palermo, città dove vive con il marito e due figli. Si è laureata in Economia e Commercio ed esercita la professione di commercialista, ma sin da bambina la sua più grande passione sono la letteratura e la storia. È autrice di romanzi e saghe storiche pubblicati in self-publishing, L'urlo dei Gattopardi segna il suo esordio in tutte le librerie italiane.


D. CHI È LIANA?

R. Sono una persona tranquilla, ordinata e metodica, con una buona dose di vivacità che spero non mi renda noiosa. Mi piace circondarmi di persone esuberanti e brillanti, purché non siano mai arroganti o aggressive. Le cose che amo di più al mondo sono il cioccolato, i libri e la mia famiglia, non necessariamente in quest’ordine. 
Sin da bambina sono stata una discreta divoratrice di romanzi di ogni genere, spaziando da quelli d’amore alla fantascienza, dagli storici, all’avventura fino ai grandi classici. Ho la fortuna di provenire da una famiglia serena e di averne costruita una altrettanto stabile e amorevole. Circondata dall’affetto, ho potuto coltivare la mia grande passione per la lettura e, grazie al costante sostegno di mio marito, negli ultimi anni ho potuto dedicarmi a una nuova passione: la scrittura. 
Nella vita sono mamma di due splendidi ragazzi, il mio orgoglio e la mia gioia; sono moglie di un collega commercialista, la mia forza e il mio grande amore, con cui condivido vita e lavoro; infine, sono autrice di romanzi sentimentali storici, in netto contrasto con la mia laurea in Economia e Commercio. Credo che quest’ultima rappresenti il lato concreto dalla mia personalità, mentre i libri ne incarnino quello sognatore.

D. COME E QUANDO NASCE LA TUA PASSIONE PER LA SCRITTURA?

R. Non dirò che scrivo da quando ero bambina perché non sarebbe vero. Anzi, fino al 2020 non avevo scritto altro che i temi a scuola. Nei mesi precedenti al lockdown ho attraversato un momento difficile, di apatia e paura. Ero profondamente scossa dalla perdita di un’amica e dalla morte di una bambina, compagna di classe di mio figlio. Poi iniziarono ad arrivare le terribili immagini dalla Cina, che aggiungevano nuovo terrore al mio animo provato, mentre attorno a me percepivo una grande indifferenza al problema. 
Sentivo il bisogno di evadere, ma non trovavo ristoro neanche nella lettura, nulla riusciva a soddisfarmi. Così decisi di scrivere la storia che avrei voluto leggere. Mi resi conto che era un’esperienza terapeutica. Il mio animo si rasserenava e riuscivo a vincere le mie paure. Quando ci chiusero in casa, avevo già completato la prima bozza del mio romanzo. Era terribile, perché non avevo alcuna conoscenza delle tecniche di scrittura, ma avevo dimostrato a me stessa di saper orchestrare una trama e portarla a termine. 
Approfittai del lockdown per studiare e revisionare il libro, affinché raggiungesse una forma più dignitosa. Al contrario di quello che successe a molti, in quel periodo ho trovato la liberazione. Tutte le persone che amavo erano al sicuro in casa e, in più, avevo scoperto un mondo, quello della scrittura, che mi affascinava e mi donava nuova stabilità.

D. IN QUALE MOMENTO DELLA GIORNATA PREFERISCI SCRIVERE?

R. Il momento migliore per me è l’ora di pranzo. Preparo da mangiare per i miei ragazzi, poi li lascio a tavola e mi ritiro in salotto per dedicarmi alla scrittura per almeno un’ora e mezza, senza interruzioni. La sera, di solito mi concedo una mezz’ora per rileggere e sistemare ciò che ho scritto durante il giorno, ma senza attardarmi troppo, perché quello è anche il momento che considero sacro per leggere i libri degli altri, di cui sono sempre avida.

D. DOVENDO RIASSUMERE IN POCHE RIGHE IL SENSO DEL TUO ROMANZO, L’URLO DEI GATTOPARDI, COSA DIRESTI?

R. Era il 12 gennaio del 1848 e i siciliani decisero di fare la festa al re. Infatti era il compleanno di Ferdinando di Borbone e un gruppo di nobili e borghesi siciliani, che tramavano da tempo contro l’odiato despota, la festa la fecero davvero. Ma chi erano? 
Per noi sono solo nomi di vie o di piazze, di larghi e di vicoli. Sono nomi e soprannomi, nomi storpiati e dimenticati. Già, dimenticati… Dicevo, era il 12 gennaio del 1848. Era il giorno del compleanno di un re molto odiato. Così, scoppiò una rivoluzione, che nei mesi successivi si propagò al resto d’Europa, dando il via alla Primavera dei popoli. 
Ruggero Settimo, Rosolino Pilo, Giuseppe La Masa, Giuseppe La Farina, Emerico Amari, Francesco Crispi e tanti altri comprese le donne siciliane, fervide patriote e poetesse che, oltre a battersi per la libertà, si battevano già per quello che nel resto del mondo solo parecchi anni dopo sarebbe diventato il femminismo. 
Eppure oggi sono solo piazze e vie, ma un tempo furono i Gattopardi che urlarono la loro libertà. 
Il mio romanzo vuole ricordarli e omaggiarli, e lo fa attraverso una storia d’amore che tra intrighi e tradimenti ci trasporterà nella Palermo dell’Ottocento.

D. UNA SCENA DEL TUO LIBRO CHE TI PIACE PARTICOLARMENTE?

R. È ambientata nella cripta delle Repentite, un luogo avvolto nel mistero, che ho potuto visitare solo di recente. Un tempo era la sepoltura delle monache, ex prostitute, di un convento ormai scomparso. Quando sono scesa nella cripta, ho avuto la sensazione di vedere i miei protagonisti prendere vita, fronteggiandosi nel duro scontro che avevo descritto. È stato emozionante.

D. UN LIBRO CHE NON TI STANCHERAI MAI DI RILEGGERE?

R. Orgoglio e pregiudizio, primo fra tutti, che ho già letto quattro volte e che medito di rileggere per la quinta. Anche Ragione e sentimento, letto tre volte, ed Emma, solo due, meriterebbero nuove attenzioni. E poi, ce ne sarebbero tanti altri: tutta la saga de Il cavaliere d’inverno, che ho letto solo un paio di volte, i libri di Natoli e, perché no, i simpaticissimi Bridgerton. 

D. QUALI SONO I TUOI PROGETTI PER IL FUTURO? 

R. Nella mia mente le storie nascono e si rincorrono velocissime, molto più di quanto io riesca a scriverle, quindi di progetti non me ne mancano. Al momento sto terminando il mio primo romanzo medievale, che, tra l’altro, è anche la prima storia vera che racconto… o quasi, perché la sto romanzando parecchio. Poi devo revisionare altri due libri scritti tempo fa, che necessitano di qualche cura, e rimettere mano a una novella che ho trascurato. Insomma, tanto lavoro!


Ringrazio Liana per la sua disponibilità nel rispondere alle mie domande


In libreria e sugli store online dal 29 gennaio 2025 Giunti Editore


SINOSSI 

Palermo, autunno 1847. In città l’aria è incandescente: il popolo sta tramando contro i Borboni, e la rivolta è ormai incombente. La marchesina Isabella di Cabrera arriva da Messina carica di speranze e aspettative. Nonostante alla sua famiglia interessi solo che combini un buon matrimonio, lei freme per entrare nei salotti bene e convincere gli intellettuali che l’insurrezione deve servire anche a difendere i diritti delle donne. George Seymour ha lasciato Londra per amministrare le proprietà di famiglia in Sicilia, e adesso è inebriato dalla vitalità, dai profumi, dalla magia di quella terra. Stringe una profonda amicizia con i fratelli Alberto e Leonardo de Martini, che lo introducono alla nobiltà cittadina e agli ideali dei ribelli. George sposa la causa e si lascia travolgere dalla passione per la locandiera Cettina, verace e ardente. Quando però conosce Isabella, amata anche da Alberto, capisce che quella ragazza colta, intelligente e indocile cambierà per sempre il suo destino. Mentre i due si dibattono fra i rimorsi verso Alberto e la nascita di un sentimento ormai impossibile da reprimere, esplodono i moti, travolgendo i destini di tutti i protagonisti nell’inesorabile avanzare della Storia.


COSA NE PENSO

Ho finito di leggere o meglio di "divorare L'urlo dei Gattopardi" in appena ventiquattrore.
Un romanzo a dir poco sublime, scritto con una tale grazia e dialettica perfetta, che si legge tutto d'un fiato. 
Storie e vite che si intrecciano quelle di George, Alberto, Isabella, e Cettina, dei "cuori ribelli" impavidi e innamorati della vita come della rivoluzione che insorge a Palermo. Isabella la si ama da subito, forte e determinata com'è, esattamente come lo scanzonato e contradditorio George, l'uomo dalle azioni sconsiderate. Cettina è l'antagonista perfetta, perché esprime l'idea dell' amore nella sua più reale grandezza in quel vortice di perdizione tra gelosia e orgoglio.
Per quanto concerne, Alberto, bè, un personaggio ben costruito, vendicativo quanto basta, uno che non ti aspetti, ma che poi ti porta a farti cambiare opinione su di lui, come spesso accade anche nella vita di tutti noi ogni giorno. 
Tutti personaggi convincenti che non stancano mai di stupire nello sfondo delle tristi vicende della rivoluzione Siciliana conosciuta anche come la "Primavera dei popoli" del  1848 quando molti palermitani si radunarono per le vie della città, dove nei giorni precedenti erano stati diffusi manifesti che incitavano alla rivoluzione guidata da dei nomi che poi hanno fatto la storia della Sicilia: Ruggero Settimo, Emerico Amari, Mariano Stabile, Rosolino Pilo, Giuseppe La Masa, Francesco Crispi, Giuseppe La Farina e tanti altri. Ma l'aspetto più interessante sta nel ricordare le figure femminili che hanno fatto la storia, dando voce a tutte le donne oppresse dal dominio Borbonico. Giuseppina Turrisi Colonna spesso citata nel libro, che per prima parlò di dignità conforme anticipando di oltre vent'anni il saggio sull' assoggettazione delle donne di John Stuart Mill. Insieme ad altre donne, dalla Principessa di Butera e la scrittrice Rosina Muzio Salvo fondatrici della "Legione delle pie sorelle". 

«Questa non sarà una rivolta ma una vera rivoluzione,e i Borboni non avranno scampo. Non staremo più a guardare un sovrano che affama il suo popolo e lo tiene nell' ignoranza e nella miseria.»

In conclusione, "L'urlo dei Gattopardi" un romanzo storico e d'amore super consigliato!

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09 marzo 2025

INTERVISTA A MARIA COSTANZA BOLDRINI AUTRICE DEL LIBRO: GLI ANNI DELL' ABBONDANZA



Cari lettori,

Ben ritrovati! L'ospite di questa nuova intervista è Maria Costanza Boldrini. 
Maria Costanza è laureata in Lingue e specializzata in Giornalismo. Vive in Francia, dove lavora come traduttrice freelance e redattrice per Una parola al giorno, sito di approfondimento linguistico ed etimologico. Gli anni dell’abbondanza è il suo romanzo d’esordio.

D. MARIA COSTANZA, COM'È NATA LA SUA PASSIONE PER LA SCRITTURA? 

R. La passione per la scrittura è nata da quella per la lettura. Le due cose sono andate di pari passo. Il primo libro che mi catturò, da bambina, fu Pippi Calzelunghe, scritto da Astrid Lindgren. Ricordo di aver pensato che essere capace di costruire una storia così era un vero prodigio, una meraviglia, e di aver desiderato intensamente, dal profondo del cuore, di poter diventare autrice di una tale prodezza. Ricordo di aver provato a scrivere un romanzo giallo in terza elementare, ma non avevo capito il principio del poliziesco, per cui mi ero messa a raccontare la vita dell’assassino. Rileggendo mi resi conto che qualcosa non quadrava, quindi sono passata a scrivere commedie e tragedie teatrali, spinta soprattutto dall'altra mia grande passione, quella per la recitazione. Amavo creare personaggi che, nel mio spirito infantile, consideravo ‘shakespeariani’. In realtà erano macchiette, nullità, e purtuttavia hanno costituito delle prove generali molto utili per lo sviluppo delle mie capacità inventive che si sono consolidate più tardi.

D. DOVENDO RIASSUMERE IN POCHE RIGHE IL SENSO DEL SUO ROMANZO, “GLI ANNI DELL' ABBONDANZA”, COSA DIREBBE?

R. È un romanzo sul talento e le capacità che ci sono proprie, sul saperlo riconoscere, accettare, amare e mettere a frutto con umiltà e dignità. È un romanzo sullo scorrere della vita, coi suoi duri colpi, e sulla Storia, che ha investito le vite di tutti in modi molto diversi. È anche un romanzo di fede, speranza, in cui ho voluto affrontare, in maniera sicuramente troppo superficiale per l'enormità del tema, anche l'argomento del peccato. Il peccato, l’esistenza e la giustificazione del male sono materie che negli anni hanno preso sempre più spazio nelle mie riflessioni.

D. C'È UN EPISODIO IN PARTICOLARE CHE L' HA ISPIRATA PER QUESTA STORIA? 

R. I racconti della mia bisnonna e di mio nonno che, di fatto, si trovano tutti nel testo. Soprattutto il racconto dell'infanzia atroce del mio trisnonno.

D. CON QUALI COLORI DESCRIVEREBBE I PERSONAGGI?

R. Beata è color tabacco, per ovvi motivi. Ettore è ceruleo. Clarice un lavanda con accenni purpurei. Emilio il giallo dell'alba. Antonia è il pallido avorio, Ernesto è il blu di una tuta da lavoro.

D. ESISTE UN LIBRO CHE HA AVUTO UNA GRANDE INFLUENZA NELLA SUA VITA?

R. Come ho scritto nella postfazione, ‘Cent’anni di solitudine’ di Gabriel Garcia Marquez mi folgorò. Avevo dodici anni quando lo lessi, ne rimasi completamente abbacinata.

D. C'È QUALCOS'ALTRO CHE VUOLE AGGIUNGERE.. CHE  VORREBBE DIRE AI SUOI LETTORI?

R. Certe storie hanno bisogno di narrazioni più pacate, le cui corde vibrino al ritmo di parole antiche e senza sentimentalismi a buon mercato. Credo che ‘Gli anni dell'abbondanza’ sia tra queste. Il lessico è stato scelto con cura per dei motivi precisi, non c'è niente di forzato. Eleggere con attenzione le parole che si usano è un gesto di cura per la storia ma anche per il lettore e non deve essere liquidato come un vezzo dello scrittore. La lingua possiede parole precise per cose precise. Vanno usate, perché permettono di salvare le sfumature, i semitoni. Non può essere tutto estremo e superlativo. Paradossalmente, con questa esasperazione del grado massimo che ha pervaso la lingua e l'espressività contemporanea, si tende ad appiattire tutto su un unico livello omogeneo. Distinguere le intensità e restituire al medio, al tiepido, al moderato i loro giusti posti nella sensibilità dei lettori è a mio avviso fondamentale.

D. PROGETTI PER IL FUTURO E SOGNI?

R. Continuare a scrivere, con cura, amore, passione, e poterne vivere dignitosamente.

Desidero ringraziare Maria Costanza per aver risposto alle mie domande.


In libreria e sugli store online dal 10 gennaio 2025 Nord Editore


SINOSSI

In un piccolo paese dell'Italia del '900, vive un'umile famiglia come tante. Eppure le sue donne hanno un dono speciale. I Contini sono una famiglia come tante, lì a Valchiara, un piccolo paese del centro Italia affacciato sul mare. Benvoluti e gran lavoratori, conducono un'esistenza povera ma dignitosa. Poi qualcosa cambia quando la giovane Beata, a dispetto delle proteste della madre, decide di farsi assumere alla Regia Fabbrica dei Sigari. Perché un misterioso miracolo si produce in lei: è la sua abbondanza, un dono che la rende la beniamina delle colleghe zigarare e il bersaglio dell'occhiuto sospetto dei controllori della fabbrica. E dopo di lei anche sua figlia Clarice e la nipote Antonia saranno benedette e maledette da questo prodigio, ciascuna a modo suo. Tuttavia l'abbondanza non è per sempre, può sparire da un momento all'altro a causa di un grande dolore. E di dolori ne vivranno tanti, Beata, Clarice e Antonia, vittime della violenza della Storia ma capaci di affrontare e superare ogni difficoltà, anche grazie a un'altra benedizione, l'amore puro e incondizionato dei loro adorati mariti.

COSA NE PENSO

Per essere un romanzo d'esordio è stato proprio una bella scoperta, sotto tanti punti di vista.
Iniziando dalla scrittura semplice e realistica.
Un romanzo scritto meravigliosamente, che mette in luce le caratteristiche della natura umana dei personaggi.
Ho amato ognuno di loro dalla zia Miranda ad Assunta, Enrico solo per citarne alcuni.
“L'abbondanza” arriva in Beata, in Clarice, e in Antonia, in modalità e in tempi differenti e fa appello a tutta la loro forza interiore, una litania impercettibile ma potente, fondamentale per la loro sopravvivenza, e per quella dell'intera comunità in cui vivono,tra magia e superstizione, gioie e dolori, “l'abbondanza” si rivelerà in un certo qual senso un' amica fedele per ognuna di loro tre. 

«Da sempre prestava orecchio agli oggetti che le bisbigliavano storie, e in silenzio assorbiva quelle narrazioni..»

A lettura ultimata ho subito pensato che Maria Costanza Boldrini possa rivelarsi ben presto, una tra le più grandi voce letterarie contemporane per stile e originalità.
In conclusione, si tratta di un racconto collettivo che ha influenzato l'intera società del nostro paese nel tempo. 
Consigliatissimo. Buona lettura!

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05 marzo 2025

IL RACCONTO DI SÉ NELLA VOCE DI CHIARA BONI


E' un'onore, oltre che un piacere ospitare nel mio blog una delle più note stiliste italiane nel mondo, Chiara Boni, creatrice del marchio Chiara Boni (La Petite Robe). Ha anche disegnato costumi teatrali e lavorato con i più grandi fotografi. Appassionata di arte, ha sempre considerato la moda come libera forma di espressione.
Ha collaborato in qualità di conduttrice ed autrice alla produzione de Il Dilemma, programma di Giovanni Minoli, al fianco dell'ex marito Vittorio Maschietto.Cura una rubrica all'interno del rotocalco televisivo Domenica In, nelle edizioni curate da Gianni Boncompagni. Nell'autunno 2006 partecipa come concorrente alla terza edizione del talent show di Rai Uno Ballando con le stelle, condotta da Milly Carlucci, al fianco del ballerino professionista Samuel Peron: il duo Boni-Peron ottiene il dodicesimo posto, su 14 coppie in gara. È stata assessore alla Comunicazione e Informazione della Regione Toscana.
Nel 1987 ha pubblicato insieme a Luigi Settembrini Vestiti, usciamo:l'eleganza femminile e la seduzione.
Nel 2023 pubblica per Baldini+Castoldi la sua autobiografia Io che nasco immaginaria a cura di Fedi Daniela milanese, città in cui vive quando non è in giro per seguire moda, bellezza, società e costume. Ne scrive dal 1980. E adora farlo.

D. CHIARA COME NASCE “IO CHE NASCO IMMAGINARIA?

R. Nasce perché casualmente un giorno raccontavo un pezzo di vita alla mia amica Elisabetta Sgarbi e lei ha deciso che doveva diventare un libro. Ha considerato la mia vita un attraversamento di un pezzo di storia del nostro paese, visto non soltanto attraverso l’occhio della moda.

D. CHE COSA TI FA STARE BENE?

R. Mi fanno stare bene le cose che amo.

D. HAI UNA FRASE PREFERITA,CHE TI RIPETI SPESSO?

R. Assolutamente non ho nessuna frase preferita che mi ripeto spesso, l’unica costante della mia vita ma che non ho bisogno di ripetere a me stessa è di raggiungere i miei obiettivi. 

D. COM'È CAMBIATA LA MODA DAI TUOI INIZI?

R. La moda dagli anni 70 ad oggi ha avuto moltissime rivoluzioni e fasi diverse che hanno sempre un po’ rispecchiato i cambiamenti della società. Ho scritto anche nel mio libro che la moda è un bel buco nella serratura per capire certi momenti storici. Oggi tende un po’ a ripetersi, non vedo attorno a me degli stili così precisi, se non i pantaloni portati anche da tutte le donne e i piumini d’oca.

D. COSA SIGNIFICA OGGI FEMMINILITÀ?

R. Per me la femminilità è sempre la stessa una cosa molto sottile e molto percepibile perché la gente si volta anche se sei vestita con un saio.

D. DI TUTTI I RICONOSCIMENTI CHE HAI RICEVUTO, QUALE TI HA RESO PIÙ FELICE?

R. Forse dico una cosa ovvia, ma ovviamente la nomina di Cavaliere del Lavoro ricevuta dalle mani del Presidente Mattarella mi ha molto commossa e resa anche fiera.

D. CHE LIBRO HAI SUL COMODINO?

R. Dipende dai periodi. In questo momento ho Processi (su Franz Kafka) di Elias Canetti.

D. QUALI SONO I TUOI PROGETTI PER IL FUTURO?

R. Talmente tanti e confusi in questo momento che non saprei da che parte cominciare. Ve ne racconto solo uno: a giugno sto organizzando una sfilata con “Corri la Vita” nel salone del 500 a Palazzo Strozzi con vestiti di archivio di grandissimi stilisti. 


Desidero ringraziare Chiara per aver risposto alle mie domande


In libreria e sugli store online dal 21 novembre 2023 Baldini+Castoldi

SINOSSI

A Chiara le donne piacciono davvero quando sanno fare squadra.» Non è l'incipit della storia di questa donna eclettica e resiliente, ma le donne, di certo, occupano un posto importante nella vita della stilista toscana. Le amiche sono al suo fianco sin dall'inizio, quando seguiva la mamma in sartoria a Firenze, dove quest'ultima provava modelli e lei, bambina, già imparava i trucchi del mestiere. Poi nella stagione dei balli, o quando Chiara, appena diciottenne, parte per Londra, la città che le insegna a vestirsi libera da qualsiasi condizionamento. Anni dopo, in Italia, l'incontro con Titti, il suo primo marito, la politica, un figlio. Le prime «cose» create e vendute, l'avanguardia architettonica degli UFO - di cui Titti era ideatore - l'influenza dell'arte, del cinema, della musica. E poi la Milano degli anni Ottanta, quando è una giovane donna separata alle prese con una carriera in ascesa. La sperimentazione con il Collettivo Moda Nostra e il successo che arriva quando il suo marchio entra nel GFT, il Gruppo Finanziario Tessile, e lei sceglie di usare un unico tessuto, un jersey elastico, e un unico colore, il nero. Nasce così la sua petite robe, un abito adatto a tutte, che si può ripiegare in una bustina e che rappresenta la sua concezione della moda e della bellezza: un vestito che possa farsi interpretare da ogni corpo, dando a ogni donna la possibilità di esprimersi. Tante persone attraversano la sua vita privata e lavorativa, e amori appassionati - da Cesare Romiti ad Angelo Rovati, a Fabrizio Rindi. E, ancora, il sogno americano, con lo sbarco negli Stati Uniti, seguendo un itinerario funambolico di Stato in Stato, e una vita che mai si ferma, riservandole anche prove dolorose. Questa autobiografia, scritta con Daniela Fedi, si snoda parallela al racconto di un'Italia che cresce e cambia nelle vicissitudini politiche, negli scontri generazionali, nella trasformazione dei costumi. Chiara Boni si svela come donna e come stilista, lasciando che le pieghe più intime del proprio vissuto esprimano sempre un'idea della moda che da quel vissuto origina, rilanciandone un invincibile senso di gioiosa libertà. 


Caterina Lucido

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14 febbraio 2025

TRA MUSICA E PENSIERO. CONVERSAZIONE CON GIORGIO DE MARTINO.



Buongiorno miei cari amici lettori,

L'ospite di questa nuova intervista è Giorgio De Martino. 
Giorgio è uno scrittore e pianista. La sua firma è comparsa continuativamente sul quotidiano
“Il Secolo XIX” per oltre vent’anni. Per la Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova, dal 1993 al 2018, ha tenuto centinaia di conferenze. 
Ha pubblicato saggi e volumi di narrativa. Tra i suoi ultimi libri, La gloria e la prova (Baldini+Castoldi, 2022, scritto con Totò Cascio) e Andrea Bocelli – Essergli accanto (Gruppo Albatros Il Filo, 2023).

 

D. CHI È GIORGIO?

R. I primi trent’anni, era un ragazzo irrequieto e con una dote speciale nel dissipare ogni proprio talento. Il guaio è che sulla carta si dovrebbe dismettere l’infanzia intorno ai diciotto anni, mentre nel mio caso, per la mole di disvalori e di sciocchezze di cui la mia generazione (e temo quelle successive) si è cibata (io, in prima fila), pervenire all’età adulta è un traguardo che rischia di non essere conquistato. Ed è tragico, perché i bambini-adulti hanno solo bisogni e sono, in una parola, il flagello dell’umanità. Nei miei secondi trent’anni ho cercato di mettere ordine (e di fare esperienza di un’esistenza non filiale ma adulta e per quanto possibile responsabile, meno nevrotica, meno narcisistica). Ho trovato – all’altro lato del mondo – la mia compagna per la vita, ho messo da parte uno strumento pericoloso che frequentavo quasi professionalmente (il pianoforte), ho messo da parte un’attività che ritengo disonorevole (critico musicale per un noto quotidiano) e nella collaborazione con un celebre cantante – sia lirico che pop – ho trovato il mio posto sulla terra e anche un modo di pagare le bollette. Quanto al cielo, ho i voli che mi permette la scrittura, ho un figlio più intelligente di me e pure una cagnetta “diversamente intelligente”, da portare a fare pipì.

D. QUANDO HAI COMINCIATO A SCRIVERE E PERCHÉ? 

R. Scrivo da quando ero bambino. Alternavo la parola e la musica, forse perché mi trovavo tanto a disagio nel contesto borghese obiettivamente scialbo in cui sono cresciuto. Diciamo che per ribellarmi, avevo le armi ma disgraziatamente non le pallottole. Ho scritto al liceo, ho scritto sui giornali (il primo a cui ho collaborato era “L’eco di Genova” e avevo forse 17 anni), su riviste specializzate musicali, ho scritto libri e magazine vari. In particolare mi sono trovato a “volere” – dapprima inconsciamente, poi consciamente – occuparmi delle vite degli altri, scrivendone. Forse per pudore ho messo da parte la mia (e altre di fantasia, che sono sempre la mia, riflessa). Mi piacerebbe poter dire che scrivo per me. In realtà no, sono ancora nella fase in cui dipendo emotivamente dal fatto che persone che non conosco e che se conoscessi magari non stimerei, sfoglino o meno il mio libro distrattamente (o se ne innamorino, è uguale). Mentre una parte di me capisce che non c’è aspettativa più stupida, e che si scrive solo ed unicamente per se stessi (ai miei tempi senza accento, adesso con l’accento pure se è seguito da stessi). Si scrive per fare un po’ di conversazione con lo status d’essere in vita, prima di sparire. Da quattro anni ho un agente che (quando ha tempo) si occupa della selezione dell’editore. Come libero battitore ho pubblicato anche per case “di prima fascia”, come De Agostini, Mondadori e Sperling & Kupfer (collaborando a due progetti realizzati insieme al M° Bocelli), poi attraverso l’agenzia ho scritto per Baldini + Castoldi e per il Gruppo Albatros il Filo.

D. DOVENDO RIASSUMERE IN POCHE RIGHE IL SENSO DEL TUO NUOVO LIBRO ARIRANG, COSA DIRESTI?

R. “Arirang” è il nome del brano musicale più popolare e antico della tradizione coreana. Ed è un termine intraducibile, legato comunque ad una sofferenza, a un dolore spirituale che diventa fisico. Titolando il libro “Arirang” ho voluto omaggiare questo straordinario popolo, le cui tradizioni e la cui visione della vita ho cercato di raccontare. Ed anche perché la musica – sia popolare, sia classica – percorre molte pagine di questo romanzo. Si tratta di un progetto che covavo da oltre un ventennio. Anzi, proprio vent’anni fa iniziai a scriverne una trentina di cartelle. Il libro corre su un doppio binario: da un lato c’è il filo rosso della storia di una giovane vita, quella di Soo Jung, cantante lirica, narrata in prima persona, dalla prima infanzia fino all’età adulta, dall’altro ho cercato di offrire uno spaccato della cultura e degli usi di un paese, la Repubblica di Corea, che frequento da un quarto di secolo e che oggi desta un interesse esponenzialmente crescente, anche in Italia. La “prima vita” della protagonista è quella vissuta in una nazione ancora sotto un malcelato regime militare e con i postumi di una frattura lacerante che, a seguito appunto della Guerra di Corea, ha separato violentemente nord e sud della penisola. La sua infanzia si muove in una realtà – gli anni ’70 e ’80 – che ai nostri occhi pare quasi ottocentesca. Ma sono anni cruciali in cui il Paese del calmo mattino, pur se sfibrato da decenni di conquista giapponese e poi dalla guerra, ha la forza di rialzarsi e di crescere fino a diventare una delle tigri asiatiche.

D. CON QUALI COLORI DESCRIVERESTI I PERSONAGGI?

R. Il bianco, colore del lutto per gli orientali? Il rosa pastello dei ciliegi in fiore (perché: non solo in Giappone!)? Il nero delle foto monocromatiche degli anni ’70? Il beige traslucido della fibra di carta di riso facente funzione dei vetri nelle case tradizionali, ancora negli anni ’80? Anche questo, ma purtroppo nulla di tutto questo… Penso che nel caso di “Arirang” i colori siano quelli, estremamente variopinti e per ciascuno diversi, delle emozioni nel seguire una storia, una vita, e con essa la cultura di un paese. Ma se entro nei dettagli, cercando soluzioni ad effetto, replicherei con delle sciocchezze e renderei banale, senza appello, certo la risposta, e forse pure la domanda. 

D. PARLACI DELLE INFLUENZE LETTERARIE CHE HAI AVUTO, DEGLI SCRITTORI CHE AMI.

R. Sono un lettore discontinuo, spesso leggo più libri contemporaneamente, usufruendo parallelamente anche di audiolibri. Non ho modelli. Posso dire ciò che di recente ho apprezzato: “L’età fragile” di Donatella Pietrantonio, la “Trilogia della pianura”di Kent Haruf, molti titoli di Cormac. E poi, “Il libro dell’inquietudine” di Pessoa e “L’uomo senza qualità” di Musil, che sono aperti sul comodino e procedono di pari passo, insieme al libro “La gioia di scrivere” che contiene tutte le poesie di Wislawa Szymborska (in questo caso, di solito apro una pagina a caso). Ho ripreso da poco “La danza della realtà” di Alejandro Jodorowsky (genio che sono orgoglioso di avere incontrato, tanti anni fa) e sto leggendo un bel libro – “Compagno don Mario” – di un caro amico che oltre ad essere scrittore è un rinomatissimo oculista e chirurgo, Andrea Marabotti. Mi piace infine ricordare “Anam Cara” di John-O-Donohue, perché è un libro che da molti anni periodicamente rileggo. 

D. QUALE È IL MESSAGGIO CHE VORRESTI TRASMETTERE AI LETTORI CHE HANNO LETTO O LEGGERANNO IL TUO ROMANZO?

R. La Corea del sud è molto di più, rispetto a ciò che filtra (anche in Italia) attraverso il suo cinema, pur di gran pregio, le sue astute e ben congeniate serie televisive, la musica divertente e seducente del K-Pop che sforna “Lolite” e “Loliti” (sempre meno sessuati) che ballano e cantano canzoncine carine… La Corea ha una propria cultura di gran peso, seppure pare sia stata sepolta per decenni dal consumismo sfrenato importato dagli Stati Uniti e dal Cristianesimo che ha fatto, del luogo, terra di conquista, soprattutto a partire dal primo Novecento. Credo sia una nazione da scoprire, al di là dei suoi cosmetici, dei suoi cellulari e anche della macchina formidabile dello showbusiness che è in grado di montare. È un paese bello e poetico, fatto di persone che amano la poesia ed il canto (anche quello lirico), fatto di splendide tradizioni millenarie e di una filosofia da cui si può imparare molto. Parente (come tutto l’oriente) della Cina, la Corea ne è allo stesso tempo lontanissima. La terra del re Tan’gun, dei regni di Koguryô, Paekche e Silla, la stirpe dei pronipoti Altai dei mongoli, dei principi degli Urali, è molto altro. Il messaggio del libro è quello che riporto nelle ultime parole del libro. Eccole: “Al Paese del calmo mattino devo quasi tutto, perché ha generato colei che è la protagonista di questo romanzo e della parte migliore della mia vita. A questa straordinaria terra che è la Corea, auguro che la Storia restituisca l’originaria unità. Spero inoltre che tra i suoi abitanti si faccia strada una coscienza sempre più capillarmente salda e diffusa dello splendore, irrinunciabile e innegoziabile, delle proprie radici, storiche e culturali”.

D. PROGETTI PER IL FUTURO?

R. Cerco di silenziare il fanciullo, che tuttora ogni tanto s’insinua e programma vite in altri continenti e nuovi mestieri. Mentre, entro il 2025, vorrei pubblicare una raccolta di racconti che ho quasi terminato. Sono talmente belli che temo non siano pubblicabili (infatti stavo pensando di dare alla raccolta un titolo ad effetto… Tipo “Viva la mafia” o “Manuale di coprofagia” così gli editori potrebbero fiutare qualche soldo e interessarsi). Sempre quest’anno sarà pubblicata una versione ampliata del libro “Andrea Bocelli: Essergli accanto”, la biografia più completa del celebre artista (col quale collaboro ormai da quasi vent’anni). In programma, incrociando le dita, anche l’edizione in lingua inglese. Però, considerando gli anni che ho compiuto non da molto, rispondo citando un breve passaggio da “Arirang” che potrebbe riguardarmi: “In epoca Koryō, fino al quattordicesimo secolo, nei rari casi in cui un padre avesse raggiunto l’età veneranda dei sessant’anni, il primogenito lo accompagnava verso la morte in un rito di sepoltura chiamato Koryŏjang. Lo trasportava sulla schiena fino a una collina dove era stato innalzato un loculo. Al suo interno il genitore era murato, tranne una piccola breccia da cui era nutrito per qualche tempo. Quando si aveva ragionevole certezza della sua morte, la tomba veniva sigillata». Ecco.  

Ringrazio Giorgio per aver risposto alle mie domande.


In libreria e sugli store online dal 11 settembre 2024  Gruppo Albatros Il Filo

SINOSSI 

“Arirang” è molto più di una canzone. 
È un simbolo intriso di storia e cultura coreana, un inno che racchiude tra le sue note l'anima di un intero popolo. Interpretata da innumerevoli artisti, i suoi toni struggenti e pieni di passione hanno il potere di toccare il cuore, evocando ricordi di gioia e sofferenza, di amore e nostalgia. La sua melodia diventa il filo conduttore della vita di Soo Jung, una giovane nata a Seoul e che il destino, dopo lunghe sofferenze, ha portato in Italia. La sua vita è un ponte tra due culture, un continuo viaggio tra il passato e il presente: la narrazione ci accompagna attraverso la sua infanzia in Corea, tra leggende e tradizioni, fino alla scoperta della musica lirica, che diventerà la sua passione e la sua carriera. 
Attraverso la voce di Soo Jung, scopriamo una Seoul in trasformazione, sospesa tra modernità e tradizione, e un'Italia vista con gli occhi di una straniera, che riesce a coglierne le sfumature più nascoste. La prosa di Giorgio De Martino intreccia descrizioni evocative, profonde riflessioni e momenti di intensa emozione, toccando le corde più intime e personali della protagonista. Un romanzo che attraversa i confini, un viaggio tra Oriente e Occidente, tra passato e futuro.

COSA NE PENSO

L'inizio è abbastanza confusionale dal mio punto di vista e ciò crea solo confusione in chi legge.
Perché De Martino prima di iniziare a narrare la storia vera e propria della sua protagonista, Soo Jung preferisce focalizzarsi di più sull'origine della parola coreana “Arirang”,  nonostante questo termine abbia un origine poetica e al contempo musicale, si rivela una scelta indubbiamente ardua per un romanzo che volge verso un' altra direzione.
Quando il libro entra nel vivo nella storia tutto cambia, il ritmo si addolcisce la penna di De Martino assume un tono quasi paterno, intimo.
Attraverso la voce di Soo Jung, conosciamo una Seoul che muta insieme alle stagioni della vita tra tradizione e modernità.
Una figlia che ama e perdona. 
Un infanzia segnata dalla povertà, le parole mai dette a quel padre assente, ma soprattutto una figlia consapevole del fatto che nulla potrà restituirle gli anni perduti. 
In conclusione, i capitoli sono molto brevi e ben strutturati. De Martino ha saputo trasformare il dolore in poesia. Arirang, vuole essere una bussola per il lettore. Consigliato. Buona lettura!

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