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14 febbraio 2025

TRA MUSICA E PENSIERO. CONVERSAZIONE CON GIORGIO DE MARTINO.



Buongiorno miei cari amici lettori,

L'ospite di questa nuova intervista è Giorgio De Martino. 
Giorgio è uno scrittore e pianista. La sua firma è comparsa continuativamente sul quotidiano
“Il Secolo XIX” per oltre vent’anni. Per la Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova, dal 1993 al 2018, ha tenuto centinaia di conferenze. 
Ha pubblicato saggi e volumi di narrativa. Tra i suoi ultimi libri, La gloria e la prova (Baldini+Castoldi, 2022, scritto con Totò Cascio) e Andrea Bocelli – Essergli accanto (Gruppo Albatros Il Filo, 2023).

 

D. CHI È GIORGIO?

R. I primi trent’anni, era un ragazzo irrequieto e con una dote speciale nel dissipare ogni proprio talento. Il guaio è che sulla carta si dovrebbe dismettere l’infanzia intorno ai diciotto anni, mentre nel mio caso, per la mole di disvalori e di sciocchezze di cui la mia generazione (e temo quelle successive) si è cibata (io, in prima fila), pervenire all’età adulta è un traguardo che rischia di non essere conquistato. Ed è tragico, perché i bambini-adulti hanno solo bisogni e sono, in una parola, il flagello dell’umanità. Nei miei secondi trent’anni ho cercato di mettere ordine (e di fare esperienza di un’esistenza non filiale ma adulta e per quanto possibile responsabile, meno nevrotica, meno narcisistica). Ho trovato – all’altro lato del mondo – la mia compagna per la vita, ho messo da parte uno strumento pericoloso che frequentavo quasi professionalmente (il pianoforte), ho messo da parte un’attività che ritengo disonorevole (critico musicale per un noto quotidiano) e nella collaborazione con un celebre cantante – sia lirico che pop – ho trovato il mio posto sulla terra e anche un modo di pagare le bollette. Quanto al cielo, ho i voli che mi permette la scrittura, ho un figlio più intelligente di me e pure una cagnetta “diversamente intelligente”, da portare a fare pipì.

D. QUANDO HAI COMINCIATO A SCRIVERE E PERCHÉ? 

R. Scrivo da quando ero bambino. Alternavo la parola e la musica, forse perché mi trovavo tanto a disagio nel contesto borghese obiettivamente scialbo in cui sono cresciuto. Diciamo che per ribellarmi, avevo le armi ma disgraziatamente non le pallottole. Ho scritto al liceo, ho scritto sui giornali (il primo a cui ho collaborato era “L’eco di Genova” e avevo forse 17 anni), su riviste specializzate musicali, ho scritto libri e magazine vari. In particolare mi sono trovato a “volere” – dapprima inconsciamente, poi consciamente – occuparmi delle vite degli altri, scrivendone. Forse per pudore ho messo da parte la mia (e altre di fantasia, che sono sempre la mia, riflessa). Mi piacerebbe poter dire che scrivo per me. In realtà no, sono ancora nella fase in cui dipendo emotivamente dal fatto che persone che non conosco e che se conoscessi magari non stimerei, sfoglino o meno il mio libro distrattamente (o se ne innamorino, è uguale). Mentre una parte di me capisce che non c’è aspettativa più stupida, e che si scrive solo ed unicamente per se stessi (ai miei tempi senza accento, adesso con l’accento pure se è seguito da stessi). Si scrive per fare un po’ di conversazione con lo status d’essere in vita, prima di sparire. Da quattro anni ho un agente che (quando ha tempo) si occupa della selezione dell’editore. Come libero battitore ho pubblicato anche per case “di prima fascia”, come De Agostini, Mondadori e Sperling & Kupfer (collaborando a due progetti realizzati insieme al M° Bocelli), poi attraverso l’agenzia ho scritto per Baldini + Castoldi e per il Gruppo Albatros il Filo.

D. DOVENDO RIASSUMERE IN POCHE RIGHE IL SENSO DEL TUO NUOVO LIBRO ARIRANG, COSA DIRESTI?

R. “Arirang” è il nome del brano musicale più popolare e antico della tradizione coreana. Ed è un termine intraducibile, legato comunque ad una sofferenza, a un dolore spirituale che diventa fisico. Titolando il libro “Arirang” ho voluto omaggiare questo straordinario popolo, le cui tradizioni e la cui visione della vita ho cercato di raccontare. Ed anche perché la musica – sia popolare, sia classica – percorre molte pagine di questo romanzo. Si tratta di un progetto che covavo da oltre un ventennio. Anzi, proprio vent’anni fa iniziai a scriverne una trentina di cartelle. Il libro corre su un doppio binario: da un lato c’è il filo rosso della storia di una giovane vita, quella di Soo Jung, cantante lirica, narrata in prima persona, dalla prima infanzia fino all’età adulta, dall’altro ho cercato di offrire uno spaccato della cultura e degli usi di un paese, la Repubblica di Corea, che frequento da un quarto di secolo e che oggi desta un interesse esponenzialmente crescente, anche in Italia. La “prima vita” della protagonista è quella vissuta in una nazione ancora sotto un malcelato regime militare e con i postumi di una frattura lacerante che, a seguito appunto della Guerra di Corea, ha separato violentemente nord e sud della penisola. La sua infanzia si muove in una realtà – gli anni ’70 e ’80 – che ai nostri occhi pare quasi ottocentesca. Ma sono anni cruciali in cui il Paese del calmo mattino, pur se sfibrato da decenni di conquista giapponese e poi dalla guerra, ha la forza di rialzarsi e di crescere fino a diventare una delle tigri asiatiche.

D. CON QUALI COLORI DESCRIVERESTI I PERSONAGGI?

R. Il bianco, colore del lutto per gli orientali? Il rosa pastello dei ciliegi in fiore (perché: non solo in Giappone!)? Il nero delle foto monocromatiche degli anni ’70? Il beige traslucido della fibra di carta di riso facente funzione dei vetri nelle case tradizionali, ancora negli anni ’80? Anche questo, ma purtroppo nulla di tutto questo… Penso che nel caso di “Arirang” i colori siano quelli, estremamente variopinti e per ciascuno diversi, delle emozioni nel seguire una storia, una vita, e con essa la cultura di un paese. Ma se entro nei dettagli, cercando soluzioni ad effetto, replicherei con delle sciocchezze e renderei banale, senza appello, certo la risposta, e forse pure la domanda. 

D. PARLACI DELLE INFLUENZE LETTERARIE CHE HAI AVUTO, DEGLI SCRITTORI CHE AMI.

R. Sono un lettore discontinuo, spesso leggo più libri contemporaneamente, usufruendo parallelamente anche di audiolibri. Non ho modelli. Posso dire ciò che di recente ho apprezzato: “L’età fragile” di Donatella Pietrantonio, la “Trilogia della pianura”di Kent Haruf, molti titoli di Cormac. E poi, “Il libro dell’inquietudine” di Pessoa e “L’uomo senza qualità” di Musil, che sono aperti sul comodino e procedono di pari passo, insieme al libro “La gioia di scrivere” che contiene tutte le poesie di Wislawa Szymborska (in questo caso, di solito apro una pagina a caso). Ho ripreso da poco “La danza della realtà” di Alejandro Jodorowsky (genio che sono orgoglioso di avere incontrato, tanti anni fa) e sto leggendo un bel libro – “Compagno don Mario” – di un caro amico che oltre ad essere scrittore è un rinomatissimo oculista e chirurgo, Andrea Marabotti. Mi piace infine ricordare “Anam Cara” di John-O-Donohue, perché è un libro che da molti anni periodicamente rileggo. 

D. QUALE È IL MESSAGGIO CHE VORRESTI TRASMETTERE AI LETTORI CHE HANNO LETTO O LEGGERANNO IL TUO ROMANZO?

R. La Corea del sud è molto di più, rispetto a ciò che filtra (anche in Italia) attraverso il suo cinema, pur di gran pregio, le sue astute e ben congeniate serie televisive, la musica divertente e seducente del K-Pop che sforna “Lolite” e “Loliti” (sempre meno sessuati) che ballano e cantano canzoncine carine… La Corea ha una propria cultura di gran peso, seppure pare sia stata sepolta per decenni dal consumismo sfrenato importato dagli Stati Uniti e dal Cristianesimo che ha fatto, del luogo, terra di conquista, soprattutto a partire dal primo Novecento. Credo sia una nazione da scoprire, al di là dei suoi cosmetici, dei suoi cellulari e anche della macchina formidabile dello showbusiness che è in grado di montare. È un paese bello e poetico, fatto di persone che amano la poesia ed il canto (anche quello lirico), fatto di splendide tradizioni millenarie e di una filosofia da cui si può imparare molto. Parente (come tutto l’oriente) della Cina, la Corea ne è allo stesso tempo lontanissima. La terra del re Tan’gun, dei regni di Koguryô, Paekche e Silla, la stirpe dei pronipoti Altai dei mongoli, dei principi degli Urali, è molto altro. Il messaggio del libro è quello che riporto nelle ultime parole del libro. Eccole: “Al Paese del calmo mattino devo quasi tutto, perché ha generato colei che è la protagonista di questo romanzo e della parte migliore della mia vita. A questa straordinaria terra che è la Corea, auguro che la Storia restituisca l’originaria unità. Spero inoltre che tra i suoi abitanti si faccia strada una coscienza sempre più capillarmente salda e diffusa dello splendore, irrinunciabile e innegoziabile, delle proprie radici, storiche e culturali”.

D. PROGETTI PER IL FUTURO?

R. Cerco di silenziare il fanciullo, che tuttora ogni tanto s’insinua e programma vite in altri continenti e nuovi mestieri. Mentre, entro il 2025, vorrei pubblicare una raccolta di racconti che ho quasi terminato. Sono talmente belli che temo non siano pubblicabili (infatti stavo pensando di dare alla raccolta un titolo ad effetto… Tipo “Viva la mafia” o “Manuale di coprofagia” così gli editori potrebbero fiutare qualche soldo e interessarsi). Sempre quest’anno sarà pubblicata una versione ampliata del libro “Andrea Bocelli: Essergli accanto”, la biografia più completa del celebre artista (col quale collaboro ormai da quasi vent’anni). In programma, incrociando le dita, anche l’edizione in lingua inglese. Però, considerando gli anni che ho compiuto non da molto, rispondo citando un breve passaggio da “Arirang” che potrebbe riguardarmi: “In epoca Koryō, fino al quattordicesimo secolo, nei rari casi in cui un padre avesse raggiunto l’età veneranda dei sessant’anni, il primogenito lo accompagnava verso la morte in un rito di sepoltura chiamato Koryŏjang. Lo trasportava sulla schiena fino a una collina dove era stato innalzato un loculo. Al suo interno il genitore era murato, tranne una piccola breccia da cui era nutrito per qualche tempo. Quando si aveva ragionevole certezza della sua morte, la tomba veniva sigillata». Ecco.  

Ringrazio Giorgio per aver risposto alle mie domande.


In libreria e sugli store online dal 11 settembre 2024  Gruppo Albatros Il Filo

SINOSSI 

“Arirang” è molto più di una canzone. 
È un simbolo intriso di storia e cultura coreana, un inno che racchiude tra le sue note l'anima di un intero popolo. Interpretata da innumerevoli artisti, i suoi toni struggenti e pieni di passione hanno il potere di toccare il cuore, evocando ricordi di gioia e sofferenza, di amore e nostalgia. La sua melodia diventa il filo conduttore della vita di Soo Jung, una giovane nata a Seoul e che il destino, dopo lunghe sofferenze, ha portato in Italia. La sua vita è un ponte tra due culture, un continuo viaggio tra il passato e il presente: la narrazione ci accompagna attraverso la sua infanzia in Corea, tra leggende e tradizioni, fino alla scoperta della musica lirica, che diventerà la sua passione e la sua carriera. 
Attraverso la voce di Soo Jung, scopriamo una Seoul in trasformazione, sospesa tra modernità e tradizione, e un'Italia vista con gli occhi di una straniera, che riesce a coglierne le sfumature più nascoste. La prosa di Giorgio De Martino intreccia descrizioni evocative, profonde riflessioni e momenti di intensa emozione, toccando le corde più intime e personali della protagonista. Un romanzo che attraversa i confini, un viaggio tra Oriente e Occidente, tra passato e futuro.

COSA NE PENSO

L'inizio è abbastanza confusionale dal mio punto di vista e ciò crea solo confusione in chi legge.
Perché De Martino prima di iniziare a narrare la storia vera e propria della sua protagonista, Soo Jung preferisce focalizzarsi di più sull'origine della parola coreana “Arirang”,  nonostante questo termine abbia un origine poetica e al contempo musicale, si rivela una scelta indubbiamente ardua per un romanzo che volge verso un' altra direzione.
Quando il libro entra nel vivo nella storia tutto cambia, il ritmo si addolcisce la penna di De Martino assume un tono quasi paterno, intimo.
Attraverso la voce di Soo Jung, conosciamo una Seoul che muta insieme alle stagioni della vita tra tradizione e modernità.
Una figlia che ama e perdona. 
Un infanzia segnata dalla povertà, le parole mai dette a quel padre assente, ma soprattutto una figlia consapevole del fatto che nulla potrà restituirle gli anni perduti. 
In conclusione, i capitoli sono molto brevi e ben strutturati. De Martino ha saputo trasformare il dolore in poesia. Arirang, vuole essere una bussola per il lettore. Consigliato. Buona lettura!

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30 gennaio 2025

“QUATTRO CHIACCHIERE CON ALESSANDRO PAGANI”

Cari lettori,

L'ospite di questa nuova intervista è Alessandro Pagani.
Alessandro è nato a Firenze nel 1964, dove vive e lavora presso l'Azienda Sanitaria.
Durante gli anni '80 ha partecipato al movimento underground fiorentino Pat Pat Recorder. Nel 1988 inizia un percorso come musicista con svariati gruppi tra cui Stropharia Merdaria, Parce Qu'Il Est Triste, Hypersonics (con cui ha partecipato ad Arezzo Wave nel 1990), Subterraneans, Malastrana e successivamente Valvola (assieme a Giuseppe Barone e Gianni Antonino, con i quali fonda l'etichetta discografica indipendente Shado Records attiva fino al 2007). 
Attualmente è batterista del gruppo rock EST? e ideatore della pagina ironica “Meme o non meme” su Facebook, nonchè autore di libri umoristici:
- in ordine di pubblicazione:
2015: "Le Domande improponibili" - libretto pubblicato in proprio
2016: "Perchè non cento?" - edito da AlterEgo e Augh edizioni
2018: "Io mi libro" - edito da Rue De La Fontaine (una frase del libro è apparsa sull'agenda Comix 2018/2019)
2019: "500 chicche di riso" - edito da Rue De La Fontaine 
2024: "I Punkinari" - edito da Nepturanus Editore

I suoi canali social








D. CHI È ALESSANDRO?

R. È  sempre difficile parlare di se quando contano i fatti piuttosto che le citazioni; In ogni caso mi descriverei un menestrello 'Punk' della parola, continuamente diviso tra letteratura e musica, immerso nell' arte stravagante della scrittura umoristica e appassionato di ritmi e suoni - che provengano da una batteria o da un sintetizzatore  - continuamente in cerca di novità e proiettato con le idee verso il futuro. L'immagine che più mi rappresenta potrebbe essere un caleidoscopio continuamente in movimento, l'alleato che invece mi porto sempre dietro è il sorriso,che nasce prima in me e che poi cerco di far scaturire negli altri.

D. TRE AGGETTIVI PER DEFINIRTI?

R. Brillante, Eclettico, Impulsivo.

D. QUANTO TEMPO E’ STATO NECESSARIO PER LA REALIZZAZIONE DEL LIBRO “I PUNKINARI”?

R. Abbastanza, prima di tutto perché far combaciare i tempi di tutti coloro che hanno partecipato alla realizzazione(Nepturanus Editore , Massimiliano Zatini, Matteo Cialdella, Antonio Mazzolli e Laura Venturi, oltre a Stefano Manca di Pino e gli Anticorpi che ha curato la prefazione) Non è stato semplice;in più riuscire a coordinare le immagini con le frasi ha richiesto attenzione e scrupolosità. Comunque , dall'inizio dell' idea,tolti i tempi tecnici,direi sei mesi circa. 

D. UN LIBRO CHE NON TI STANCHERAI MAI DI RILEGGERE?

R. I miei :-) ... A parte gli scherzi, mi piace sempre rileggere “Esercizi di stile” di Raymond Queneau,
"Novantanove versioni della stessa semplice storia  (Ciò che succede durante un tragitto tra i passeggeri su un autobus a Parigi) Rielaborate in stile letterario diverso, dall' anagramma alle metafore, dal sonetto ai linguaggi settoriali,dai cambi di lettere ai Tanka (Brevi componimenti Giapponesi). Questo libro dimostra quanto la fantasia si possa evolvere sino a raggiungere lo svago intelligente. Anche per me giocare con le parole è pratica stimolante e la lingua Italiana in questo si presta benissimo: Gag, doppi sensi, bisticci,cambi di lettera,paronimie, relativamente al lungo,al tempo e alle persone che lo/mi circondano ,sono il mio pane quotidiano. 

D. C'È QUALCHE ANEDDOTO PARTICOLARE DELLA TUA CARRIERA DI SCRITTORE O MUSICISTA CHE VUOI CONDIVIDERE CON NOI?

R. Poco tempo fa, durante un'intervista, a Conor Curley (Chitarrista dei Fontaines D.C.), è stato chiesto se avesse avuto una canzone Italiana preferita. Con sorpresa , soprattutto per i componenti del gruppo,la risposta è stata non una canzone singola, ma tutto tutto il disco dei Valvola, la mia ex band!Ha detto che in un piccolo negozio aveva scoperto per caso, incuriosito dalla copertina,il nostro album d'esordio “Teenagers filmed their own life” del 1997 e una volta a casa,dopo l'ascolto, l'aveva trovato un disco Psych Fenomenale,una cosa molto speciale... riguardo la scrittura, invece, vorrei ricordare la bellissima disamina del mio modo di scrivere di Giovannantonio Forabosco, membro dell' International society for Humour studies,del board of consulting editors di Humounor nonché componente dell' International Journal of Humour Research. Nella sua analisi di uno dei miei libri ha ricordato una delle frasi più riuscite: “Perché la morte ti fa bella? Perché la vita cessa”, trovandola citazionale,con distanza semantica e vicinanza di senso, oltre che gioco di decrittazione a base polisemica, elegantemente volgare e chicca di umorismo filosofico.

D. C'È QUALCOS'ALTRO CHE VUOI AGGIUNGERE... CHE VORRESTI DIRE AI TUOI LETTORI?

R. In questo momento d'incertezza nel mondo è importante che ognuno di noi allontani le negatività e si riavvicini a se stesso e gli altri. Per questo riuscire a Ri-scoprirsi leggeri può aiutare a sentire meno opprimente il peso delle cose, o perlomeno,a vederle da un altro punto di vista,meno faticoso e più costruttivo. Io mi ritengo un portatore sano di sorrisi, sarebbe bello lo fossimo un po' più tutti. 

D. PROGETTI PER IL FUTURO?

R. A fine aprile parteciperò assieme a Massimiliano Zatini al festival "Lucca città di carta” dove presenteremo “I Punkinari”. Inoltre , continua la continua la collaborazione con Nepturanus attraverso la collana “Chicche di riso” con i prossimi due libri,che sono già in lavorazione sul versante musica, inizierò la stesura del nuovo album di Puah (Piccola Unità Anti Hi-fi), il mio progetto elettronico che ha debuttato a febbraio 2024 con il disco"Due Acca Hho". Il nuovo album sarà strumentale ed avrà atmosfere più cinematiche.


Desidero ringraziare Alessandro per essere stato mio ospite.

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