Visualizzazione post con etichetta Consigli di lettura. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Consigli di lettura. Mostra tutti i post

05 ottobre 2025

INTERVISTA A JANET SKESLIEN CHARLES : L’INCANTO DISCRETO DELLE BIBLIOTECHE.


Cari amici lettori,
sono davvero onorata di poter ospitare nel mio blog Janet Skeslien Charles, autrice de La biblioteca di Parigi e di Le bibliotecarie di Notre-Dame. Nei suoi libri emerge una profonda attenzione alla memoria storica, unita a una scrittura capace di restituire emozioni autentiche con misura e delicatezza.
Un equilibrio raro che rende le sue opere preziose e indimenticabili.


D. COSA TI HA ISPIRATA A SCRIVERE LE BIBLIOTECARIE DI NOTRE-DAME ?

R. Ogni volta che sfoglio documenti d’archivio e mi vengono i brividi, capisco che devo scrivere. Durante le ricerche ho scoperto Jessie “Kit” Carson: durante la Grande Guerra andò in Francia e lì fondò le prime biblioteche per bambini. Dopo la guerra trasformò perfino delle ambulanze in biblioteche itineranti. La sua storia mi ha subito conquistata. Fare ricerca sulle persone è come risolvere un mistero: volevo sapere tutto di Jessie.

D. COME È NATA L’IDEA DI FARNE UN ROMANZO? 

R. Ho dovuto ricostruire la sua vita a partire dalle testimonianze dei volontari del CARD(Comitato Americano per le Regioni Devastate) e soprattutto dalle sue azioni. Più avanti ho trovato una sua lettera alla madre, che è stata preziosissima. Mi hanno invitata a parlare come autrice di “narrativa storica” e ho risposto che, in realtà, non la scrivo così: i miei libri sono ambientati nel passato ma parlano del presente. In Le bibliotecarie di Notre-Dame i protagonisti affrontano l’influenza spagnola come noi abbiamo affrontato il Covid; In La biblioteca di Parigi resistettero alla censura nazista — e oggi i bibliotecari americani vivono pressioni simili.

D. COME SEI RIUSCITA A TROVARE IL GIUSTO EQUILIBRIO TRA STORIA E FANTASIA ?

R. Ho cercato di costruire un filo narrativo chiaro per il lettore. Per farlo ho compresso alcune linee temporali tra eventi grandi: per esempio, ho messo in relazione l’arrivo di Jessie nel nord della Francia con un violento attacco tedesco, e ho raccontato come, grazie ai volontari del CARD(Comitato Americano per le Regioni Devastate) , i villaggi furono evacuati senza vittime.

D. TRA LE STORIE CHE HAI RACCONTATO NEI TUOI LIBRI SULLE BIBLIOTECARIE , CE N’È UNA CHE TI HA COLPITA PIÙ DELLE ALTRE ?

R. Jessie “Kit” Carson, senza dubbio. Lasciò un lavoro sicuro a New York per andare in una Francia in guerra, senza soldi — così povera che dovette farsi prestare un baule per la traversata — e contro il parere della madre. Creò spazi pensati per i bambini (sedie, tavolini, scaffali a misura), decorò con manifesti e fiori, formò le prime bibliotecarie francesi (all’epoca la professione era per lo più maschile) e spinse donne e bambini a frequentare la biblioteca. Alcune delle strutture che lei fondò esistono ancora: alla biblioteca di Belleville usano ancora gli scaffali che fece costruire oltre cento anni fa. In silenzio, ha cambiato il volto culturale della Francia.

D. QUAL È IL LIBRO CHE HA CONTATO DI PIÙ PER TE ?

R. Dopo aver lavorato in biblioteca, è stato meraviglioso scrivere una trilogia dedicata alle biblioteche per mettere in luce il coraggio dei bibliotecari: da Dorothy Reeder, protagonista de La biblioteca di Parigi, che sfidò i nazisti consegnando i libri di persona ai lettori ebrei, a Jessie “Kit” Carson Le bibliotecarie di Notre-Dame, che lasciò New York per recarsi nella Francia dilaniata dalla guerra e aiutare gli altri. Ho voluto scrivere “The Parisian Chapter” un epilogo extra , per collegare i personaggi dei miei libri e mostrare le difficoltà di una biblioteca in tempi più moderni.(In Italia, però, questo testo non è ancora stato pubblicato da Garzanti) .
Tra i libri e gli autori che porto nel cuore ci sono 'Bel Canto di Ann Patchett' , che dimostra come persone molto diverse possano ritrovarsi unite; I loro occhi guardavano Dio di Zora Neale Hurston, che sottolinea l’importanza dell’amicizia; 'Anna dai capelli rossi di L.M. Montgomery', una splendida meditazione sulla famiglia che si sceglie. Adoro Camilleri, perché ci ha mostrato non solo la giustizia, ma anche la giustizia poetica. Amo anche Milena Agus, che con 'Mal di pietre' mi ha dato speranza.

D. IN CHE MODO SPERI CHE I GIOVANI POSSANO RICONOSCERSI NEI TEMI DEL ROMANZO? 

R. Devo moltissimo ai traduttori, come Roberta Scarabelli: senza di loro molte storie non arriverebbero in Italia. Mi emoziona quando i lettori si riconoscono nei miei libri: adoro ricevere messaggi e vedere i loro reel.

D. QUALI SONO I TUOI PROSSIMI PROGETTI COME SCRITTRICE ?

R. Per la prima volta mi sto candidando per delle borse di studio, e sto scoprendo che è un tipo di scrittura molto particolare. Finora ho sempre finanziato le mie ricerche da sola, ma adesso spero di trovare sostegno e magari nuove collaborazioni per un prossimo romanzo. Tra le diverse opportunità, molti considerano il Premio di Roma la borsa più prestigiosa: mi piacerebbe davvero tornare in Italia, incontrare i lettori e trascorrere altro tempo lì. L’ultima volta ci sono stata per il viaggio di nozze a Firenze!


Ringrazio di cuore Janet per aver risposto alle mie domande.


In libreria e sugli store online dal 20 maggio 2025 Garzanti Editore


SINOSSI 

Parigi, 1918. Dalla finestra, Jassie alza gli occhi verso l’imponente cattedrale di Notre-Dame. Le viene da domandarsi come l’uomo sia riuscito a costruire qualcosa di così meraviglioso. Ma non ha tempo per fermarsi, deve correre a prendere gli ultimi libri di cui ha bisogno prima di partire: se Notre-Dame rappresenta il lato migliore dell’uomo, ad aspettarla è il peggiore. Jassie, infatti, è una bibliotecaria della National Library di New York ed è anche membro di un’associazione di donne americane che aiuta le famiglie cadute sotto il giogo dell’occupazione tedesca. La sua missione è quella di aprire una biblioteca dove i bambini, insieme alle loro madri, possano trovare uno spazio sicuro e uno spiraglio di luce, quello che solo le storie sanno dare. Ma Jassie non si limita a distribuire libri. Mette a repentaglio la propria vita per salvarne altre. Arriva persino a sacrificare un nuovo amore che sente nascere in lei. Perché nasconde un segreto. Un segreto che, quasi sessant’anni dopo, l’aspirante scrittrice Wendy scopre per caso. La ragazza capisce subito che ha di fronte una storia che non può essere taciuta. Perché nessuno deve mai dimenticare l’importanza dei libri anche nei periodi più bui. In particolar modo i bambini, che non capiscono fino in fondo cosa accade intorno a loro.


Della stessa autrice vi segnalo anche quest’altro titolo, assolutamente da non perdere. In libreria e sugli store online dal 4 giugno 2020 Garzanti Editore



Caterina Lucido
© Riproduzione riservata


Informativa sulla privacy e sull'uso dei cookie

24 settembre 2025

IL GATTOPARDO: TRA CINEMA , LETTERATURA E MEMORIA.



Ci sono opere che non appartengono soltanto al loro tempo, ma si innestano nella memoria collettiva come un’eredità di bellezza e riflessione. Il Gattopardo, film di Luchino Visconti del 1963, è una di queste.

Tratto dal romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, il capolavoro viscontiano restituì allo spettatore non solo la grandezza della Sicilia ottocentesca, ma anche il senso tragico e struggente del passaggio da un’epoca all’altra, con il suo inevitabile tramonto.

Il set e i suoi protagonisti 

Sul set del Gattopardo si respirava una maestosità rara. Burt Lancaster, scelto da Visconti per incarnare il Principe di Salina, portava con sé la potenza del cinema americano, ma sotto la guida del regista seppe assumere la dignità aristocratica e malinconica di Don Fabrizio. Claudia Cardinale, luminosa Angelica, irradiava quella bellezza mediterranea che sapeva trasformare ogni scena in un affresco. Alain Delon, con il suo Tancredi affascinante e ambiguo, incarnava perfettamente il celebre motto: «Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi».

Un aneddoto rimasto nella storia racconta l’attenzione maniacale di Visconti per i dettagli: persino i mobili di scena dovevano essere autentici dell’Ottocento siciliano. Nulla era lasciato al caso, perché il regista voleva che lo spettatore sentisse il peso della Storia anche nei silenzi, nei gesti e negli sguardi.

Il ballo: Apice del tempo sospeso 

La celebre scena del ballo, lunga quasi un’ora, non è solo uno spettacolo di sfarzo cinematografico, ma la rappresentazione simbolica della fine. Tra le note del valzer e i passi lenti del Principe, si consuma il passaggio di un’epoca, il dissolversi di un mondo nobile e antico, sostituito da una borghesia rampante e pragmatica.

Visconti scolpì quell’istante con la consapevolezza di un artista che conosceva la caducità delle cose, regalando al pubblico una delle sequenze più potenti della storia del cinema.

Il libro e la mia riflessione personale 

Se il film ha consegnato immagini immortali, è il romanzo di Tomasi di Lampedusa a custodire il nucleo più intimo e poetico della vicenda. Il Gattopardo è uno dei miei libri preferiti: in quelle pagine ritrovo ogni volta la malinconia della memoria e il fascino della Sicilia, terra capace di farsi mito e destino.

Il Principe Fabrizio è un personaggio che vive di contrasti: uomo di scienza e contemplativo, aristocratico e insieme profondamente umano, consapevole della decadenza ma non rassegnato alla mediocrità. Leggendo, risuona forte una delle frasi più struggenti del romanzo: «Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalli, le iene… e tutti quanti, Gattopardi, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra».

Lampedusa scrisse un libro che non è solo racconto storico, ma meditazione sull’anima, sul tempo che scivola via e sulla fragilità dei legami umani. È un’opera che sa parlare al cuore e alla mente, che costringe a confrontarsi con la domanda che aleggia dietro ogni sua pagina: cosa resta di noi quando il mondo cambia?

Forse è proprio questa la forza eterna de Il Gattopardo: il ricordo che, anche nella fine, si nasconde una forma di bellezza immortale.


Giuseppe Tomasi di Lampedusa


       

Immagini dal set del film Il Gattopardo 1963




© Riproduzione riservata

06 settembre 2025

6 SETTEMBRE : OMAGGIO AD ANDREA CAMILLERI E AL SUO LIBRO LA PAURA DI MONTALBANO

Cari amici lettori,

oggi, 6 settembre, celebriamo l’anniversario della nascita di Andrea Camilleri (1925 – 2019), una delle voci più amate e riconoscibili della narrativa italiana contemporanea. La sua opera ha lasciato un segno profondo, soprattutto attraverso la creatura letteraria che più di tutte lo ha reso celebre: il commissario Salvo Montalbano.

Per ricordarlo, voglio parlarvi di un libro che raccoglie alcune delle indagini più intense e affascinanti del commissario: La paura di Montalbano, una raccolta di racconti che mostra la grandezza di Camilleri non solo come giallista, ma come narratore capace di scandagliare le emozioni e i limiti umani.

In libreria e sugli store online dal 18 aprile 2023 Sellerio Editore

Lo stile inconfondibile di Camilleri

Ciò che rende Camilleri unico è il suo linguaggio: un intreccio sapiente di italiano e dialetto siciliano che diventa voce, ritmo, musica. Questa lingua mista non è mai artificiosa, ma nasce come necessità espressiva: per raccontare la Sicilia e la sua gente non bastava l’italiano standard, serviva il colore e la vibrazione del dialetto.
Il risultato è una prosa viva, immediata, capace di avvicinare il lettore a un mondo reale, con i suoi profumi, i suoi silenzi, le sue contraddizioni.

Salvo Montalbano: più di un commissario

Nel personaggio di Montalbano si riflette l’umanità profonda dell’autore. Non è un eroe infallibile, ma un uomo complesso: malinconico e ironico, inflessibile di fronte all’ingiustizia ma al tempo stesso vulnerabile.
In La paura di Montalbano, questo lato più intimo viene a galla. Camilleri non racconta solo i casi polizieschi, ma mette a nudo i dubbi e le fragilità del commissario. La “paura” diventa allora un sentimento che tutti possiamo riconoscere: non debolezza, ma consapevolezza dei propri limiti, di fronte alla vita e alla morte.

Una lezione ancora viva

Rileggere Camilleri oggi significa ritrovare un autore che ha saputo innovare il giallo italiano rendendolo universale, e che ha regalato un personaggio capace di parlare a generazioni diverse. Montalbano è radicato nella Sicilia, ma al tempo stesso appartiene a tutti noi: rappresenta il bisogno di verità, il senso della giustizia, la capacità di guardare il mondo con uno sguardo critico e umano.

📚 Curiosità su Camilleri e Montalbano

Il nome “Montalbano” nasce come omaggio al collega e amico scrittore spagnolo Manuel Vázquez Montalbán, padre del detective Pepe Carvalho.

Un successo tardivo: Camilleri pubblicò il primo romanzo di Montalbano, La forma dell’acqua, nel 1994, quando aveva quasi 70 anni. Il successo arrivò quindi in età matura, dimostrando che la scrittura non conosce limiti anagrafici.

Il legame con la Sicilia: sebbene Vigàta sia un luogo immaginario, prende ispirazione dalla natia Porto Empedocle, che in suo onore oggi porta il nome di “Porto Empedocle Vigàta”.

Dal libro allo schermo: la serie TV ispirata ai romanzi ha contribuito a rendere Montalbano un’icona internazionale, ma Camilleri non smise mai di ribadire che il vero Montalbano viveva solo tra le pagine.

L’ultima lezione: Camilleri scrisse e fece custodire per anni un romanzo finale su Montalbano, pensato come chiusura del ciclo, che venne pubblicato solo dopo la sua morte (Riccardino, 2020).

Caterina Lucido

© Riproduzione riservata

Informativa sulla privacy e sull'uso dei cookie

21 luglio 2025

RECENSIONE: CONTEMPLAZIONE DI FRANZ KAFKA TRADUZIONE A CURA DI MARGHERITA BELARDETTI

In libreria e sugli store online dal 28 giugno 2024 Palingenia Edizioni

NOTE SULL' AUTORE 

Franz Kafka (1883-1924) è stato uno scrittore ceco di lingua tedesca, considerato una delle figure più importanti della letteratura del XX secolo. Le sue opere, spesso caratterizzate da atmosfere angoscianti e surreali, esplorano temi come l'alienazione, la burocrazia, l'ansia esistenziale e il rapporto conflittuale con l'autorità. 


SINOSSI 

Quando, nel dicembre 1912, appare Contemplazione, il primo libro del ventinovenne Franz Kafka, non è solo l’abnorme dimensione dei caratteri – voluta dall’autore – a impressionare i lettori come qualcosa di inusitato, perché le brevi, a volte brevissime prose che lo compongono, sottraendosi a qualsiasi definizione, sono come estranianti quadri poetici in cui c’è già tutta l’originalità e la potenza dell’opera di Kafka, condensata in una scrittura tesa, abbagliante. È una scrittura-confessione, una scrittura a suo modo impudica per troppo mettersi a nudo, una scrittura visionaria capace di scardinare sintassi, logica e l’idea stessa di letteratura, che pure in quegli anni si sta aprendo, con esiti anche dirompenti, allo sperimentale e alla rottura con la tradizione. Ma la voce di Kafka, già allora, brilla altissima nella sua unicità.  

COSA NE PENSO

Kafka non si legge: si attraversa, si contempla appunto. Il piccolo gioiello letterario Contemplazione raccoglie brevi testi in prosa giovanili, profondamente simbolici, già intrisi di quell’ambiguità e quell’inquietudine che diventeranno la cifra stilistica dell’autore.
Non è un’opera di facile approccio, ma è un libro che si lascia scoprire lentamente, come la nebbia che rivela a poco a poco la sagoma di una città. Ogni brano sembra sospeso tra realtà e sogno, tra quotidiano e metafisico. Kafka scrive del mondo con uno sguardo obliquo, poetico, straniante.
La traduzione curata da Margherita Belardetti si distingue per delicatezza e stile raffinato. Nelle sue parole si avverte un affetto sincero per il testo originale e una profonda passione per il proprio lavoro di traduttrice. Belardetti riesce a restituire la voce di Kafka con un equilibrio raro: fedele e personale al tempo stesso, senza mai forzare né tradire.
Il brano che mi ha colpito più di tutti è “Gli alberi”:

«Perché siamo come tronchi d’albero nella neve. In apparenza vi poggiano sopra, e con una piccola spinta si potrebbero spostare. No, non si può, perché sono saldamente congiunti al terreno. Ma guarda, persino questo è solo apparenza.» 

In poche righe, Kafka condensa l’illusione della libertà, la forza delle abitudini, l’ambiguità del vivere. È una metafora lieve e profonda insieme, che resta nella mente come un sussurro.
In conclusione, Contemplazione è una lettura che consiglio soprattutto agli estimatori di Kafka e a chi sa apprezzare la densità nascosta nelle forme brevi, a chi non teme l’inquietudine e ha la pazienza per indugiare tra le righe, cogliendone i riflessi.
Buona lettura! 

© Riproduzione riservata

Informativa sulla privacy e sull'uso dei cookie

17 luglio 2025

RECENSIONE DEL LIBRO: “INVERNESS" DI MONICA PARESCHI

In libreria e sugli store online dal 25 ottobre 2024 Alessandro Polidoro Editore


NOTE SULL'AUTRICE

Monica Pareschi è traduttrice letteraria, scrittrice e editor. Ha curato e tradotto tra gli altri testi di Charlotte Brontë, Edith Wharton, Doris Lessing, Willa Cather, James Ballard, Bernard Malamud, Paul Auster, Alice McDermott, Shirley Jackson, Mark Haddon. Vive a Milano, con suo figlio.

SINOSSI 

Le storie raccolte in Inverness raccontano di donne e uomini, bambine e ragazze che attraversano situazioni crudeli, morbose e spesso paradossali, che cercano di incontrarsi e amare ma la cui strada è ostacolata dai non detti, da incomprensioni velate, dalle piccole ossessioni che ci rendono così mortalmente umani.


COSA NE PENSO

Inverness è un’opera sorprendente, che già dal titolo suggerisce una riflessione profonda sulla natura stessa dell’esistenza. Il libro si presenta come un intreccio di racconti brevi, autonomi, ma uniti da una trama sotterranea di emozioni condivise, percorsi divergenti e memorie. Uomini e donne camminano lungo strade differenti, ma il loro passaggio lascia tracce simili, echi riconoscibili che rimandano alle contraddizioni e alle ferite della condizione umana.
La scrittura è fluida, autentica, spoglia di artifici: colpisce per la sua onestà e per la capacità di raccontare sentimenti complessi con nitidezza disarmante. Si affrontano temi come l’insicurezza, i pensieri oscuri, le relazioni tossiche, il desiderio e la delusione: un’umanità dolente, ma mai completamente vinta.
Il racconto conclusivo, che dà il titolo alla raccolta, rappresenta l’apice emotivo del volume. La protagonista, P., è una figura carismatica, ricca di vitalità e intuizioni, contrapposta a un’amica senza nome che sembra vivere in una penombra consapevole e voluta. Questo dualismo, tra slancio e rassegnazione, tra luce e ombra, dà vita a un testo di forte impatto, capace di trafiggere il lettore con la precisione di una lama sottile: il cuore viene colpito, diviso, messo a nudo.
In conclusione, Inverness è un viaggio nell’interiorità, un’esperienza letteraria che invita a guardarsi dentro con coraggio, riconoscendo quei lati più oscuri e silenziosi che spesso si preferisce ignorare. Un libro che resta, che lascia una traccia. Lettura caldamente consigliata.


© Riproduzione riservata


Informativa sulla privacy e sull'uso dei cookie

09 luglio 2025

“RACCONTARE L'AMICIZIA, IL SILENZIO , L’AMORE : INTERVISTA A IRIS WOLFF”





Cari lettori,

l’ospite di oggi è Iris Wolff, una delle voci più raffinate e profonde della narrativa contemporanea europea. Nata a Sibiu, in Romania, nel 1977, si è trasferita in Germania all'età di otto anni, dove tuttora risiede.
I suoi romanzi – tradotti in numerose lingue e pluripremiati – sono attraversati da un linguaggio poetico, una sensibilità rara e una capacità sorprendente di raccontare i legami, la memoria e l’identità.

Con grande piacere vi presento la sua intervista in occasione dell’uscita in Italia del suo romanzo Radure (titolo originale Lichtungen), pubblicato da Neri Pozza Editore, una storia delicata e intensa sull’amicizia, sul silenzio e su ciò che ci rende umani.



D. COME È NATA LA TUA PASSIONE PER LA SCRITTURA? C'È STATO UN MOMENTO UN LIBRO CHE L'HA ACCESA? 

R. Ho iniziato a scrivere relativamente tardi, intorno ai trentacinque anni. La scintilla è stato un viaggio in Romania: lì ho sentito, inaspettatamente, un senso di appartenenza. Le strade, la luce, il paesaggio, il suono delle lingue… tutto parlava a una parte profonda di me. Ho cominciato a interrogarmi sul motivo per cui la mia famiglia – come molte minoranze tedesche – avesse lasciato quei luoghi dopo secoli. Scrivere è diventato il modo più naturale per esplorare queste domande. Non sapevo se ne fossi capace, ma ho deciso di rischiare.

D. COM'È NATA L’IDEA DEL TUO ROMANZO RADURE? 

R. A differenza dei miei libri precedenti, dove tutto partiva dalla prima frase o scena, con Radure mi sono trovata già nel cuore della storia. Vedevo Lev da bambino, a letto, immobile. Non sapevo ancora cosa gli fosse accaduto, né cosa lo aspettasse. Ma sentivo una forte connessione con lui. Ed è da quel sentimento che ho capito di poter raccontare questa storia. Da quell'immagine iniziale ho costruito tutto il resto, fidandomi.

D. IL TUO STILE È ESSENZIALE MA POTENTE . COME RIESCI A BILANCIARE SEMPLICITÀ E PROFONDITÀ?

R. Scrivo cercando di evocare, non di spiegare. I miei romanzi si muovono verso l’ignoto, guidati da un’apertura silenziosa e da una curiosità sincera verso i personaggi. Mi affido molto ai sensi, alle immagini, al ritmo della lingua – e alle pause. Credo in ciò che resta sospeso, in ciò che non viene detto. Le zone d’ombra sono inviti per chi legge. La letteratura, in fondo, vive nella mente del lettore.

D. IN QUESTO LIBRO, AMICIZIA E SILENZIO SONO TEMI CENTRALI. PERCHÉ LI HAI SCELTI ?

R. Sono una grande ammiratrice del silenzio. Da Lev ho imparato che ascoltare è spesso più potente che parlare. Tutto, se ascolti davvero, comincia a parlare. E tutto è connesso. In un mondo rumoroso e cinico, mi piace pensare che ci sia ancora spazio per relazioni profonde. L’amicizia, in particolare quella tra Lev e Kato, è al centro della storia. Un legame che sfuma tra l’amicizia e l’amore, come spesso accade nella vita vera.

D. QUAL È STATO L'ASPETTO PIÙ IMPEGNATIVO NELLO SCRIVERE RADURE ?

R. La scelta di raccontare la storia a ritroso. All’inizio non mi sono posta troppe domande, ma scrivendo ho iniziato a dubitare: funzionerà? I lettori accetteranno questa struttura? Ma era l’unico modo possibile per esplorare davvero ciò che volevo: cosa ci forma, cosa ci cambia, cosa dobbiamo lasciar andare per poter ricominciare.

D. COSA SPERI CHE I LETTORI ITALIANI TROVINO IN QUESTO LIBRO ?

R. Vorrei che si immergessero nel mondo della storia come in un dipinto. Kato, uno dei protagonisti, è un artista di strada che attraversa l’Europa – anche l’Italia – e dice che chi guarda un’opera dovrebbe "abitarla" per un po’. È ciò che auguro anche ai miei lettori.

D. PUOI ANTICIPARCI QUALCOSA SUI TUOI PROSSIMI PROGETTI? 

R. Sono molto discreta su ciò che sto scrivendo… Ma posso dire che, dopo aver camminato a lungo accanto a Lev e Kato, ho finalmente ripreso a scrivere. E questo, per me, è già un inizio.

Ringrazio Iris per la sua disponibilità nel rispondere alle mie domande. 


In libreria e sugli store online dal 20 giugno 2025 Neri Pozza


SINOSSI 

Transilvania, di là dalla Cortina di ferro. Lev ha solo undici anni quando, in seguito a un trauma, si trova prigioniero per mesi di un letto. I libri che girano per casa sono del secolo precedente, come dice la sua maestra. È deciso: qualcuno verrà a portargli i compiti, anche se Lev, potendo scegliere fra tutti i compagni, certo non vorrebbe Kato, quella strana ragazza scarmigliata che a scuola rimane sempre in disparte. Spirito libero e selvatico, Kato invece si presenta tutti i giorni col suo sguardo di velluto, i buchi nei vestiti, i compiti in mano, la risata che sfiora l’allegria e, goccia dopo goccia, tra i due bambini nasce un legame indissolubile che strapperà Lev alla sua prigione di lenzuola. Un’amicizia speciale che negli anni crescerà in un amore schivo. Poi, un giorno accade l’impensabile: il loro mondo, quell’Europa in miniatura dalle tante lingue, si ritrova senza più muri invalicabili a contenerlo e si spalancano orizzonti che separano Lev e Kato. Lui, malinconico e introverso, rimane. Lei, coraggiosa e affamata di spazi, va. Lui lavora a stretto contatto con la geografia della sua terra più che con le persone. Lei si trasferisce all’Ovest e fa l’artista di strada. Il filo che tiene uniti Lev e Kato si allunga attraverso quattro decenni senza mai recidersi, fino al giorno in cui Lev riceve una cartolina con una sola frase: Quando vieni? Con una lingua misurata e poetica al tempo stesso, Iris Wolff celebra il momento glorioso in cui una vita ne tocca per sempre un’altra, riannodando ricordi disseminati nel tempo come radure di luce in un bosco fitto, il cui bagliore persiste a lungo.

COSA NE PENSO

Radure è un romanzo che si muove come una luce filtrata tra gli alberi: lieve, essenziale, ma capace di lasciare un’impronta profonda. Iris Wolff ha uno stile di scrittura rarefatto e poetico, fatto di silenzi, immagini evocative e dettagli che si schiudono con delicatezza. Nulla è gridato, tutto è suggerito.
Ciò che colpisce è la sua capacità di raccontare i legami umani – e in particolare quello tra Lev e Kato – con una sensibilità fuori dal comune. Un’amicizia che si avvicina all’amore, un amore che, anche se messo alla prova dal tempo, dai confini e dai silenzi, continua a vivere. A resistere.
Un romanzo che non si dimentica facilmente, perché non si limita a raccontare una storia, ma ci invita a entrare dentro un mondo, lentamente, in punta di piedi.
In conclusione, consigliato a chi cerca una lettura intensa, silenziosa e piena di verità nascoste. Buona lettura! 


© Riproduzione riservata

Per maggiori informazioni, consulta la Privacy e Cookie Policy del blog.

18 giugno 2025

“GIALLO AL FEMMINILE” : LA PENNA BRILLANTE DI ROSA TERUZZI.






Cari lettori,

l’ospite di questa nuova intervista è una firma ormai amatissima nel panorama del giallo italiano: Rosa Teruzzi.
Vive e lavora a Milano ed è esperta di cronaca nera. Dopo aver guidato la redazione di Verissimo, è diventata caporedattrice della trasmissione televisiva Quarto grado e scrive romanzi e racconti di genere giallo. Per scrivere i suoi romanzi si ritira in estate presso un vecchio casello ferroviario a Colico, sul lago di Como. Un altro casello ferroviario, sito tra il Naviglio Grande e il Giambellino, ha ispirato la serie di romanzi I delitti del casello, editi a partire dal 2016, le cui protagoniste Vittoria, la mamma Libera e la nonna Iole, cercano di risolvere misteri tra Milano, la Brianza e il lago di Como. 
Con il suo stile vivace, i personaggi autentici e le trame avvincenti, Rosa Teruzzi ha conquistato lettori di ogni età. In questa chiacchierata esclusiva ci racconta del suo ultimo romanzo, del rapporto con le sue protagoniste — le “Miss Marple del Giambellino” — e ci svela qualcosa del dietro le quinte della sua scrittura.


D. COME È NATA LA TUA PASSIONE PER IL GENERE GIALLO?
 
R. Ho sempre amato leggere ma, nonostante il mio lavoro, o forse proprio per quello (da sempre faccio la giornalista di “nera”), in passato preferivo un altro tipo di libri, romanzi storici e feuilletton soprattutto.
E’ stata una straordinaria libraia milanese, Tecla Dozio, che avevo conosciuto mentre realizzavo a tempo perso la pagina della cultura del mio giornale, a farmi innamorare del genere e anche a spronarmi a scrivere.
Nella sua “Sherlockiana”, inizialmente vicina alla Statale di Milano e poi dalle parti dell’Arena, ho comprato quintali di libri, imparato ad apprezzare Simenon, Durrenmatt e Scerbanenco, il maestro di noi noiristi italiani, e incontrato alcuni degli scrittori che lei mi aveva fatto conoscere letterariamente, da Anne Perry, la maestra del mistery vittoriano, a Joe Lansdale, oltre a molti autori italiani che adesso incrocio per festival e presentazioni.
 
D. DA DOVE TRAI ISPIRAZIONE PER LE TUE STORIE?
 
R. Mai dai casi di cronaca che tratto nella trasmissione a cui lavoro, Quarto Grado, né dai giornali. Non mi piace rimasticare storie vere e mi fa rabbrividire l’idea di attribuire dialoghi o emozioni di fantasia alle vittime o ai carnefici reali di un crimine. Preferisco volare con l’immaginazione.
Le mie trame sono del tutto inventate, cosi come i miei personaggi, ma devo ammettere che più di trent’anni di frequentazione con investigatori in carne e ossa (carabinieri, poliziotti, magistrati) mi hanno regalato gli strumenti per rendere credibili le indagini delle mie protagoniste, una banda di eccentriche detective dilettanti composta da una fioraia, dalla sua bizzarra madre –una hippie mai pentita -e da una giornalista di cronaca nera.

D. COME BILANCI LA TRAMA CON LA COSTRUZIONE DEL SUSPENSE?
 
R. Le scuole di scrittura americane dividono gli autori di giallo tra architetti (che pianificano in ogni dettaglio la trama prima di iniziare a scrivere) e giardinieri, che mettono i loro personaggi in una situazione e poi li lasciano agire. Io appartengo a questa seconda categoria. Non sono metodica, né organizzata nella scrittura e anche per quanto riguarda i colpi di scena mi affido all’ispirazione.
Ma sono una forte lettrice e sono ipercritica. Quando una pagina mi annoia, la cancello senza pietà. Voglio essere la prima a emozionarmi e a sorprendermi di quello che leggo. Non ho mai creduto che fosse la quantità di delitti a fare di un giallo un buon giallo: sono più attratta dalla indagine e dal disvelamento dei segreti che da sangue e sparatorie.

D. COSA TI PIACE DI PIÙ DEL MESTIERE DI SCRITTRICE?
 
R. Fare la scrittrice non è un mestiere per me, è una passione. Quello che amo di più nell’esserlo è la libertà di creare in autonomia. E poi adoro parlare dei miei libri (e dei libri in genere) con i lettori.

D. CI SONO SCRITTORI CHE SONO PER TE FONTE D’ISPIRAZIONE? 

R. Sicuramente, nell’ambito del genere, il mio scrittore feticcio è Giorgio Scerbanenco: amo la sua Milano fragile e disperata e la malinconia feroce dei suoi personaggi.
Ma sono una lettrice onnivora. Tra i miei autori del cuore (impossibile stilare una classifica) ci sono Jane Austen, il Dumas del Conte di Montecristo, Edgar Allan Poe e Robert Stevenson. Ma sono anche una fan appassionata di Pia Pera e dei saggi meravigliosi di Stefano Mancuso.
Inoltre leggo tantissima poesia, anche se non la capisco e forse proprio perché non la capisco: la poesia ha una sua strada carsica che arriva dritta al cuore.

D. COSA VORRESTI CHE I TUOI LETTORI SAPESSERO SULLA SAGA DELLE SIGNORE DEL GIAMBELLINO?
 
R. Non amo le etichette, ma se dovessi definire i miei romanzi direi che sono commedie gialle con una vena noir, che hanno il loro cuore a Milano, in un romantico casello ferroviario nel quartiere periferico del Giambellino. Una piccola casa ai margini dei binari in cui vivono tre donne di una stessa famiglia, molto diverse eppure altrettanto legate. La più giovane di loro – una poliziotta – è l’unica a non indagare, e tenta – senza successo – di ostacolare le inchieste della mamma e della nonna, che sono segretamente a capo di un manipolo di “detective per caso", formato da una giornalista, dal suo burbero caporedattore, dal suo fotografo di fiducia e da un ex rapinatore con qualche scheletro nell’armadio. Tutti i miei personaggi hanno una ferita e un segreto. E questo, secondo me, li rende interessanti.

D. QUALI SONO I TUOI PROGETTI PER IL FUTURO?
 
R. Tra poco la trasmissione a cui lavoro chiuderà i battenti per la pausa estiva. A quel punto, come al solito, mi trasferirò nel casello ferroviario che è il mio luogo della scrittura, sulla sponda lecchese del lago di Como e lì inizierò la prossima avventura delle mie protagoniste. Ho già un’idea in testa, ma è ancora in fase embrionale. Riguarda comunque i battiti di un cuore malato. Ma sto pensando anche a un romanzo storico ambientato nel Quattrocento milanese ai tempi di Ludovico il Moro. E’ un periodo affascinante, creativo e sanguinario che ho studiato molti anni fa. E c’è un personaggio, una donna, che ogni tanto torna a sussurrarmi all'orecchio la sua storia.


Ringrazio Rosa per la sua disponibilità nel rispondere alle mie domande

 

In libreria e sugli store online dal 29 aprile 2025 Sonzogno Editori


SINOSSI 

Nella nebbia fitta della notte di Ognissanti, una misteriosa figura si muove nelle tenebre con un solo obiettivo: eliminare definitivamente Libera Cairati, la fioraia-detective del Giambellino. Dopo averla avvelenata con un mazzo di rose all’aconitina, l’aggressore si è dato un soprannome, l’Ombra, ed è pronto a colpire di nuovo. Dal rifugio del casello ferroviario in cui abita, Libera dovrà affrontarlo ad armi spuntate, costretta ad agire in gran segreto da Mimma Arrigoni, una pm che osteggia le sue indagini e insidia la relazione con il fascinoso commissario Gabriele. Ma quando il pericolo si fa più insidioso, Libera sa di poter contare sui complici di sempre – l’eccentrica madre Iole, la giornalista Irene e il burbero capocronista Cagnaccio –, una squadra affiatata a cui si uniscono due imprevedibili alleati: Diego Capistrano, ex rapinatore e amante di Iole, e Angelo Riva detto il Piè Veloce, un fotografo capace di rendersi invisibile e sparire nel nulla. Tra depistaggi, tentati omicidi e segreti nascosti, la caccia all’Ombra diventa un gioco letale, dove ogni mossa potrebbe essere l’ultima. In una Milano livida e battuta dalla pioggia, in cui tutti sembrano spiarsi a vicenda, Libera dovrà affrontare il suo nemico senza certezze – nemmeno quelle del cuore.


COSA NE PENSO

Con La giostra delle spie, Rosa Teruzzi firma un nuovo, brillante capitolo della sua celebre saga delle “Miss Marple del Giambellino”, un giallo dal ritmo serrato e dal cuore autentico, che si collega idealmente e narrativamente al precedente 'La ballata dei padri fedeli' (Clicca qui) .
Il lettore ritrova con piacere l’intero universo della Teruzzi: da Capistrano a Cagnaccio, dalla pittoresca Iole all’intensa Libera, personaggi ormai amati come vecchi amici eppure sempre capaci di stupire. Ed è proprio Iole, in questa nuova indagine, a brillare con una verve investigativa irresistibile, ironica, lucida, a tratti quasi commovente nella sua ostinazione.
Tra segreti sepolti e colpi di scena ben calibrati, l’intreccio si avvolge intorno a un’“ombra” che perseguita Libera, costringendola a confrontarsi con dubbi sempre più profondi e paure mai sopite. Ma La giostra delle spie non è solo un mystery avvincente: è anche un romanzo che sa toccare corde intime, in cui emerge con forza crescente il legame tra madre e figlia, quel filo invisibile e potente che unisce Iole e Libera nonostante le differenze, i silenzi e le scelte difficili.
Teruzzi, con la sua prosa precisa e la capacità tutta milanese di intrecciare ironia e malinconia, dipinge un affresco popolare ma mai banale. Il quartiere del Giambellino vive e respira tra le pagine, diventando quasi un personaggio esso stesso, con le sue contraddizioni, la sua vitalità e la sua umanità.
In conclusione, un giallo al femminile in cui il mistero si mescola all’affetto, alle fragilità e alla ricerca della verità. La giostra delle spie è una lettura appassionante, che conferma Rosa Teruzzi come una voce originale e riconoscibile nel panorama del noir italiano contemporaneo.
Consigliatissimo, buona lettura!

© Riproduzione riservata


Per maggiori informazioni consulta la nostra Privacy Policy.

14 maggio 2025

CONOSCIAMO ROSITA MANUGUERRA AUTRICE DEL LIBRO “MALANIMA”



Bentrovati amici lettori,

L'ospite di oggi è Rosita Manuguerra.
Rosita è cresciuta a Favignana, un’isola nell’isola dove ha imparato che, tra il dire e il fare, c’è davvero di mezzo il mare. Quando era piccola qualcuno le ha suggerito che il modo migliore per ritrovarsi è scrivere. Da allora, e dopo una lunga parentesi a Torino e la formazione alla Scuola Holden, racconta storie. Malanima è il suo primo romanzo.

D. QUANDO È NATA IN TE LA PASSIONE PER LA SCRITTURA?

R. Nasco come lettrice. Da piccola leggevo di tutto da che ho imparato a farlo. A Favignana ai tempi c’era solo una piccola edicola, dove arrivavano fumetti e pochi bestseller. Centellinavo i soldi della paghetta e compravo i libri più voluminosi, così che durassero di più. Proprio per questa passione per la lettura, a un certo punto qualcuno, forse una maestra, mi chiese perché non scrivessi io. Mi sembrò bizzarro, per me non erano due cose consequenziali. Ma da allora iniziai a leggere smontando i libri, per capire com’erano fatti. E cominciai a scrivere.

D. C'È  UN EPISODIO IN PARTICOLARE CHE TI HA ISPIRATA PER “MALANIMA”?

R. Non uno. Direi piuttosto che in “Malanima” sono confluiti tanti piccoli frammenti di cose ho vissuto, osservato, sentito. Che, messi su pagina, hanno iniziato a vivere di vita propria, sorprendendomi.

D. A QUALE DEI PERSONAGGI DA TE SCRITTI IN QUEST'OPERA SEI PIÙ LEGATA?

R. Sono legata a tutti i personaggi in modo diverso perché ognuno di loro rimanda per me a qualcosa: alcuni al momento in cui sono stati scritti, altri a un’azione che hanno compito e mi ha stupita. Ma se dovessi sceglierne tre su tutti sarebbero il pescatore Nunzio, la magara Amalia e Nietta, la zia di Mia. Quanto alle due protagoniste, Mia e Marina, le amo in un modo tutto mio che non contempla competizioni con altri personaggi.

D. RIASSUMI IN POCHE PAROLE COSA HA SIGNIFICATO PER TE SCRIVERE QUESTO LIBRO?

R. Scrivere questo libro ha significato per me iniziare un percorso di crescita interiore che prosegue tuttora. Riuscire a imprimere su carta l’istinto ad andare e quello a tornare nella mia piccola isola e questo Malanima (sì, al maschile) che ho sempre visto negli occhi di tanti isolani e anche in quelli di chi dell’isola si era innamorato per qualche motivo. Nella finzione del romanzo il Malanima è il sentimento, anzi, più il malanno, che affligge chi sente di trovarsi in un posto in cui non dovrebbe stare. Questo posto non è necessariamente un luogo geografico, ma più una fase di vita nella quale ci forziamo perché la percepiamo senza via d’uscita. Scrivere questo romanzo mi ha aiutata a comprendermi meglio, ed è incredibile come si possa riuscire a farlo tramite un’opera di finzione.

D. COSA SI PROVA A VEDERE IL PROPRIO ROMANZO PRENDERE CORPO E DIVENTARE LIBRO?

R. È indescrivibile. Non credo che mi abituerò mai. La prima volta che l’ho visto ero a Milano in casa editrice. Anche avendolo fra le mani non sono riuscita a convincermi che fosse reale.

D. C'È UN LIBRO DI UN ALTRO AUTORE CHE VORRESTI AVER SCRITTO TU?

R. “Fuochi fiammanti a un’hora di notte” di Ermanno Rea. Non avrei potuto scriverlo io, ma mi ha dato una direzione a cui aspirare. 

D. PROGETTI PER IL FUTURO?

R. Continuare a leggere, a scrivere. Viaggiare, respirare vita. Crescere. 

Ringrazio Rosita per la sua disponibilità nel rispondere alle mie domande


In libreria e sugli store online dal 8 aprile 2025 Feltrinelli Editore


SINOSSI

Sull’isola non tutti vanno e vengono allo stesso modo. Ci sono quelli che arrivano con il sole di maggio e ripartono con le prime piogge di settembre. C’è chi fa avanti e indietro ogni giorno, senza più chiedersi a quale riva appartenga davvero. E poi ci sono quelli che, messi dalla vita davanti a un bivio, hanno dovuto scegliere se restare o imbarcarsi per una partenza che può valere un addio. Entrambe le scelte lasciano un segno invisibile e profondo. Mia lo ha imparato da bambina attraverso la storia della sua famiglia – la madre Teresa è rimasta, nella convinzione che l’isola fosse l’unica realtà possibile, mentre la zia Nietta è andata via appena ha potuto – e continua a vivere questi conflitti da adolescente insieme a Giulia, Anna e Nello, gli amici di sempre. Adesso però a portare scompiglio è arrivata Marina, la ragazza di città che non se ne andrà con le piogge di settembre. Così diversa e a tratti scostante, Marina attira su di sé sentimenti contrastanti: dalla curiosità al disprezzo, dall’attrazione all’invidia. Mia, invece, in lei vede soprattutto il fascino di chi proviene da un altrove lontano. Eppure Marina si trascina dietro legami ancestrali – sua madre Lia è legata a filo doppio con l’isola da un trauma e dall’antica amicizia con Teresa – e sembra destinata a riportare a galla segreti inconfessabili. 


COSA NE PENSO

La malanima del cuore corrisponde al canto antico del mare, tanto esso è più profondo tanto la malinconia assale gli isolani del romanzo Malanima.
Amo le storie di formazione che percorrono intere vite e qui di vita c'è ne sono tante.
Marina, Mia,Aldo,Nello,Anna, Giulia, Totò.
L'adolescenza non è mai stata facile per nessuno, soprattutto per questi ragazzi che vivono in un' isola. Il mare è tutto ciò che conoscono e adesso devono fare i conti con una nuova realtà. I cambiamenti sono dietro l'angolo per ciascuno di loro, i sogni di Mia sono in bilico, l'amicizia con Marina subisce fasi altalenanti e anche le sue vecchie conoscenze vacillano e rischiano di finire.
Un passato che torna imperterrito a minacciare il presente di Marina.

«Il patto fra noi era che io quelle ferite non le guardassi,non le nominassi, fingessi che non esistevano. Se invece ne avessi parlato,lei sarebbe scappata via da me come acqua fra le mani.»

Molte domande, poche risposte, nel passato di Marina,un' anima inquieta che si aggira tra le cave di tufo dei suoi antenati. Bel personaggio, davvero!
In conclusione, Malanima è una storia ben strutturata. I colpi di scena sparsi qua e là,  accompagnano il lettore alla scoperta di segreti sorprendenti, scrittura scorrevolissima. Dal mio punto di vista, il messaggio che l'autrice vuole fare arrivare ai suoi lettori riguarda il cambiamento interiore in ognuno di noi, l’anima muta le sue corrispondenze relazionali che ci piaccia o no. Un libro che mi ha pienamente soddisfatta! Consigliato.Buona lettura.


© Riproduzione riservata




Per maggiori informazioni consulta la nostra Privacy Policy.

16 aprile 2025

RECENSIONE DEL LIBRO “CRISTINA” DI MATILDE SERAO







NOTE SULL' AUTRICE 

Matilde Serao fu una figura di spicco nel giornalismo e nella scena letteraria italiane a cavallo tra Otto e Novecento. Fondatrice e direttrice di diversi quotidiani (tra cui «II Mattino» e «II Giorno»), trovò comunque il tempo per pubblicare decine di romanzi e centinaia di racconti, i più celebri dei quali riuniti ne Il ventre di Napoli.

SINOSSI 

Uscito in volume nel 1908, Cristina appartiene all’ultima fase della narrativa di Matilde Serao, quella definita “aristocratica”. Cristina è una storia che inizia come tante ma termina con un finale a sorpresa. Nel racconto, ambientato in un paese della provincia napoletana, una giovane di buona famiglia viene corteggiata da uno squattrinato ragazzo del luogo, che però rifiuta. Così il giovane, assumendo gli atteggiamenti melodrammatici da amante infelice, si trasferisce a Napoli dove si avvicina all’attività politica e al giornalismo. Pur ripetendo alle amiche, e a sé stessa, di non nutrire alcun interesse per lui, la protagonista, attraverso alcuni gesti, lascia trapelare che il ragazzo non le era affatto indifferente. E anche se nel frattempo accetta la proposta di matrimonio di un ricco bottegaio del luogo che inizia ad amare «con un’affezione calma e sicura», Cristina dimostra di essere ancora interessata all’altro ragazzo seguendone le notizie sul giornale locale. E l’inatteso ritorno di lui stravolgerà tutti i piani stabiliti. Qui la scrittrice tratteggia con grandi capacità ritrattistiche la provincia napoletana a cavallo fra Ottocento e Novecento, e due interessantissimi personaggi: quello di una ragazza fin troppo corriva al volere della famiglia e quello di un giovanotto inquieto e affascinante.
In libreria e sugli store online dal 19 novembre 2020 Edizioni Croce

COSA NE PENSO

Finora non conoscevo gli scritti di Matilde Serao. Posare per caso lo sguardo su questo libro, si è rivelata ben presto una scelta azzeccata. Non immaginavo si potesse scrivere così scorrevolmente e con un lessico contemporaneo nonostante i pochi vocaboli di una volta. Una storia tragicomica, che porta con se lo spirito del melodramma partenopeo di fine ottocento in cui l'amore,il rispetto e la vita in se erano tutt'altra cosa, e dove gli aspetti più inconsci dell' uomo e della donna riflettano sugli amori, e sulle generazioni di oggi. 
Per quanto la Serao, abbia scritto questi due testi circa due secoli fa',dimostra che fosse un' osservatrice molto attenta prima che una abile scrittrice.
Il suo occhio indagatore ha saputo catturare e scrutare ben oltre, gli aspetti superficiali visibili a chiunque, ma i segreti e le parole non dette delle fanciulle,e le fragilità dell' IO femminile più intimo e profondo.
Peccato, per quel premio Nobel mancato 
nel 1926 solo perché antifascista, questo riconoscimento sarebbe stato meritatissimo per quella sua mente rivoluzionaria  caratterizzata da un realismo appassionato e coinvolgente, che riflette la sua forte connessione con la realtà quotidiana.
L'introduzione a cura di Simona Lomolino si rivela molto utile per i lettori, perché ci consente di avere un quadro dettagliato sulla vita privata e lavorativa di Matilde Serao.
In conclusione, entrambe le novelle presenti in questo libro sono brevissime, ambedue piacevoli, un libro senza parti dispersive, che segue una logica impeccabile, belli anche i disegni al suo interno. Consigliatissimo

© Riproduzione riservata



Per maggiori informazioni consulta la nostra Privacy Policy.

04 aprile 2025

IL CORAGGIO DI ESSERE: DIALOGO CON STEFANO FERRI



Miei cari lettori,

È un'onore, oltre che un piacere ospitare nel mio blog Stefano Ferri. Stefano è nato a Milano nel 1966, vive a Milano dove è giornalista e consulente in comunicazione.
Nel 2004 ha ricevuto il Premio Hilton per il giornalismo specializzato in turismo d’affari e nel 2006 il Premio Italia for Events per la stampa di settore. Da molti anni è attivo a sostegno dei diritti civili, dando testimonianza, su giornali, tv e social media, della sua condizione di crossdresser.
Parla inglese (bilingue) e tedesco, conosce l’arabo e il russo e nel tempo libero si diletta di chitarra classica (tra gli autori interpretati Bach, Sor, Villa-Lobos, Yepes).
Inoltre, Stefano è il direttore generale di
Meritocrazia Italia , associazione no-profit a carattere socio-culturale, che sta rapidamente crescendo e diffondendo la sua voce in giro per l’Italia. Mossa dalla volontà di conferire forza “all’Italia che Merita”, ossia riaffermare il valore del merito, dell’impegno e dell’equità sociale.
Per chi vorrà aderire (solo TRE euro) Clicca qui


D. STEFANO, COM'E' NATA LA TUA PASSIONE PER LA SCRITTURA?

R. Da un’incessante ricerca su me stesso. Chi mi conosceva bene aveva capito già dalla mia prima giovinezza che potevo essere uno scrittore (un mio cugino me lo disse che avevo solo 19 anni!), ma io bene non mi conoscevo, ho avuto un percorso parecchio lungo e arduo, come chi ha sentito parlare di me sa, e ciò si è riflesso negativamente sull’identificazione della “carriera” giusta. Che poi tanto carriera non è, né è solo legata alla scrittura. L’altra mia anima è quella legata alle PR, ai lavori di rappresentanza, alla consulenza di marketing. I romanzi restano la mia grande passione, e come tanta altra gente mi cimento nel crearne di nuovi. Dico sempre che scrivo i romanzi che vorrei leggere.

D. COSA TI AIUTA A CONCENTRARTI MENTRE SCRIVI?

R. Il silenzio. Ammiro quanti si concentrano con la musica. Io amo la musica, non smetterei mai di ascoltarla, ma se metto su una delle mie playlist non riesco a buttar giù una riga.

D. CHE SENSAZIONE SI PROVA DOPO AVER SCRITTO UN LIBRO?

R. È un’emozione che porta con sé due sentimenti opposti: liberazione – per la grande fatica che finisce (scrivere è una fatica nera, ricordatelo sempre) – e nostalgia per i personaggi che non vedrai mai più crescere, vivere, gioire e piangere nella tua testa.

D. CHE MESSAGGIO HAI VOLUTO LANCIARE CON IL LIBRO “DUE VITE UNA RICOMPENSA”?

R. Due vite una ricompensa intende mostrare una delle più profonde e amare regolarità dell’esistenza umana, ossia che se da un lato non è vero in assoluto che chi la dura la vince, dall’altro è sempre vero che un sacrificio onesto e amorevole lascia un segno, per quanto eventualmente diverso dall’intento originario, come un seme che porta frutto ai posteri e non a chi lo ha piantato.

D. QUALI SONO GLI AUTORI O I LIBRI CHE HAI AMATO DI PIU' O CHE MAGGIORMENTE TI HANNO INFLUENZATO?

R. In assoluto Stephen King, il più grande genio letterario del XX Secolo, tuttora colui che sa maneggiare la penna meglio di chiunque altro. Ho imparato da lui la descrizione precisa di quanto sta intorno alla scena principale, come una cartolina che vive di parole e non di immagini. Sempre da lui ho imparato l’introspezione psicologica dei personaggi, vero tallone d’Achille di tanti scrittori, specie italiani. Ho molto amato anche Andrea Camilleri, Paolo Giordano e il primo Ammaniti.

D. COSA DIRESTI ALLO STEFANO DI 20 ANNI E VICEVERSA?

R. Lui mi parlerebbe per primo esclamando «Come ti sei ridotto!» e io gli risponderei «Come tu stesso vorresti ridurti» raccomandandogli di non avere paura e di non aspettare altri vent’anni per lasciarsi andare.

D. STAI LAVORANDO A QUALCHE PROGETTO FUTURO CHE TI PIACEREBBE CONDIVIDERE CON NOI?

R. L’ho già annunciato sui social, volentieri lo ripeto qui: mi sono dato alla cittadinanza attiva divenendo direttore generale dei Ministeri di Meritocrazia Italia, associazione culturale a-partitica (nel senso che non ha vincoli ideologici e si interfaccia con tutti) volta a propugnare una società fondata soltanto sul merito. Obiettivo nobile e arduo, visto il punto di partenza che sappiamo e di cui si vedono i ben tristi risultati. Ha un'organizzazione capillare, sia sul territorio sia nella dirigenza, articolata essenzialmente in Ministeri recuperando il senso etimologico della parola (da "minus", "meno", contrapposto a "magis", "più", laddove in origine i ministri erano gli esecutori pratici degli ordini dei magistrati). In sei anni ciò si è rivelato molto funzionale all'interlocuzione con le istituzioni, perché ne adotta lo stesso linguaggio.
Come sapete, da un decennio do testimonianza a favore di una società senza discriminazioni, proprio per averne subite a bizzeffe, anche da gente insospettabile. Non immaginerei modo migliore per festeggiare il decimo compleanno del mio attivismo pubblico se non questa grande occasione per potenziarlo all'infinito.

In libreria e sugli store online dal 26 settembre 2024 Mursia  anche in formato Kindle. 


SINOSSI 

«Era la voce del cardinale che proclamava: 
“Un giorno tutto il mondo farà così”.»

Anno Mille. In uno sperduto feudo del Regno di Lombardia la routine del contadino Guglielmo viene funestata dall’improvvisa – e gravissima – malattia della giovane moglie Rosa. Deciso a non rassegnarsi all’idea di perderla, mentre sacrifica tutto il raccolto a un viaggio della speranza allo Spedale di Milano, s’inventa un modo per non togliere il cibo di bocca ai suoi bambini: una pietanza sconosciuta chiamata riso, insaporita col contenuto dell’osso grande del bue.
È la stessa pietanza che ritroviamo secoli dopo nella Milano di San Carlo Borromeo, tinta di giallo zafferano da un pittore del cantiere del Duomo, e che dopo la peste del 1576-77 lascerà una traccia perenne nei miti e nei riti dell’amore.
Una storia emozionante, indicativa del senso della vita quant’altre mai.


Foto gentilmente tratta dal profilo Facebook di Stefano Ferri, utilizzata a corredo dell’intervista.



© Riproduzione riservata



Per maggiori informazioni consulta la nostra Privacy Policy.

27 marzo 2025

INTERVISTA A NOVITA AMADEI AUTRICE DEL LIBRO “DA SOLO”




Cari miei lettori,

Bentrovati! L'ospite di oggi è Novita Amadei. Nata a Parma e vive in Francia. Lavora come consulente nel campo dell’asilo politico e delle migrazioni internazionali, e anche la sua attività da giornalista pubblicista è relativa a questi temi. Dentro c’è una strada per Parigi (Neri Pozza 2014), il suo romanzo d’esordio, è stato finalista alla prima edizione del Premio Nazionale di Letteratura Neri Pozza e anche ai premi Bottari Lattes Grinzane e Corrado Alvaro e ha vinto il XXVIII Premio Massarosa. Sempre presso Neri Pozza sono usciti i romanzi Finché notte non sia più (2016) e Il cuore è una selva (2020), le raccolte di racconti Ragazze di Parigi (2018) e Operazione umanitaria (2019), oltre a un contributo nell’antologia L’allegra brigata (2020).


D. QUANDO HAI INIZIATO A SCRIVERE?

R. Quindicenne, scrivevo poesie. Più avanti, viaggiando per studio e per lavoro, ho iniziato a scrivere racconti su persone che incontravo o incrociavo soltanto, pezzetti di storie, volti e dialoghi trattenuti in una sorta di fotografia a parole. Col moltiplicarsi dei racconti, mi sono resa conto che la scrittura era un “posto” dove stavo bene, la “room of one’s own” di Virginia Woolf, e mi sono misurata col formato del romanzo, che non ho più lasciato (anche se il mio primo - Dentro c’è una strada per Parigi - rimane ancora una via di mezzo fra il racconto lungo e il romanzo breve). 
Faccio fatica a datare con precisione il momento in cui ho iniziato a scrivere, forse, per il piacere e l’impegno che ci mettevo erano già una forma di scrittura in nuce i biglietti di Natale, i diari delle vacanze, le lettere alle amiche, i temi delle medie... 
Oggi, comunque, posso dire con certezza che la scrittura mi abita e condiziona il modo stesso in cui penso, in cui trattengo certe immagini, certe storie o solo dettagli, e il modo in cui si ricompongono, poi, sulla pagina scritta.  

D. IL TUO ROMANZO “DA SOLO” È TRATTO DA UNA STORIA VERA. 
QUAL È STATO IL MOMENTO PIÙ SIGNIFICATIVO DURANTE IL PROCESSO DI SCRITTURA? 

R. La scrittura di questo libro è stata “fisica”, fatta di scambi con altre persone e di viaggi, in un rimando continuo, e concreto, fra il mondo e la pagina, la realtà, l’immaginazione e la parola. Da solo, infatti, non è stato nato fra me e me, alla scrivania, ma mi ha richiesto di recuperare interviste e contatti di migranti ucraine con cui avevo lavorato agli inizi degli anni 2000 - oltre alla scrittura, mi occupo di asilo politico e migrazioni internazionali – e di viaggiare in Ucraina, nelle terre da dove viene il mio personaggio, attraversando poi il Paese in treno, da ovest a est, come aveva fatto lui nel mettersi in salvo. Dopo aver finito di scrivere il libro, mi sono messa alla sua ricerca, alla ricerca del bambino vero a cui la storia è ispirata. Mi scoraggiava il numero di rifugiati ucraini Europa (otto milioni dichiarati e ventiquattro le persone uscite dal Paese), invece l’ho trovato, a Bratislava, con la sua famiglia. E devo dire che questo incontro, insieme alla visita delle zone di guerra con la gente del posto, sono state emozioni grandissime.

D. TRA LA TRAMA E I TUOI PERSONAGGI, COSA È ESSENZIALE PER TE? PERCHÉ?

R. Senza dubbio i personaggi, sono loro a portare la trama. Inizio spesso a scrivere una storia senza avere un plot ben definito, ma non sarei in grado di buttare giù nemmeno una riga senza avere in testa il protagonista e uno o due altri personaggi principali. 
Ogni personaggio è portatore di filiazioni, relazioni, aspettative e panorami, ognuno ha un suo profilo, un suo movimento, una storia che, incrociata con quella degli altri, suggerisce di per sé la trama o, perlomeno, vi dà la direzione. Capita che non debba nemmeno decidere perché, per come sono, i personaggi condizionano certe scelte, le dettano proprio. La convinzione che l’autore sia un deus ex machina che decide di ucciderli o crescerli, di essere violento o lascivo con loro, folle o amaro, è solo un’illusione. L’autore non è che un prestanome.

D. HAI DELLE ABITUDINI QUANDO SCRIVI? PREDILIGI DEI LUOGHI PARTICOLARI DOVE SCRIVERE?

R. Scrivo a casa, quando la casa è vuota. Pantaloni della tuta e con una finestra accanto. L’occhio che s’allontana aiuta il pensiero.

D. A QUALE SCRITTORE TI SENTI PIÙ VICINA PER GENERE O SCRITTURA?

R. Non so se posso definirmi “vicina”, ma sento di condividere la sensibilità di Alice Munro nella ricerca di una lingua esatta e nella narrazione di vicende dalla quotidianità spiazzante, attraversate da crudeltà e felicità con cui tutti prima o poi ci misuriamo.

D. COSA VORRESTI CHE I TUOI LETTORI SAPESSERO?

R. La scrittura narrativa non mente, non inganna, non accetta compromessi. Richiede ostinazione e fiducia. Abnegazione. Nelle sue vertigini, si nascondono i confini del proprio io, le stanze di una casa, mondi senza fine, misteri che generano altri misteri che si vogliono senza spiegazione né regole immutabili e oggettive, ordine e riposo, frastuono, una foresta di terminazioni nervose, un chiodo fisso, una falda sotterranea... Non è un insegnamento, questo, nessuna spiegazione, solo l’augurio che i lettori sentano tutto ciò nelle pagine di un libro. 

D. QUALI SONO I TUOI PROGETTI PER IL FUTURO? 

R. Intanto, vorrei che il neonato Da solo si facesse strada con la stessa ostinazione e lo stesso coraggio del bambino e della madre di cui racconta. Poi, è già prevista l’uscita di un altro romanzo nel 2026 e una nuova storia mi sta covando in testa. Il mio progetto per il futuro, insomma, è continuare a coltivare questa tensione: l’equilibrio fra la scrittura e tutto il resto.

Ringrazio Novita per la sua disponibilità nel rispondere alle mie domande


In libreria e sugli store online 21 febbraio 2025 Neri Pozza


SINOSSI 

In tempo di guerra cambia ogni cosa, anche per chi non combatte in prima linea: i gesti, le parole, gli sguardi, i sogni non sono più gli stessi. In tempo di guerra ci sono bambini che, nello spazio stretto di una notte, si trasformano in piccoli uomini che devono affrontare e comprendere il mondo da soli. E ci sono madri che, nella speranza di proteggere i loro figli, li lasciano andare condannandosi a vivere con solo mezzo cuore. Questa è la storia di Jarek che, pochi giorni prima dei suoi dieci anni, pochi giorni dopo l’invasione russa dell’Ucraina, attraversa il Paese da solo per cercare rifugio a Bratislava, a migliaia di chilometri da casa. Parte con la destinazione scritta sulla mano e giochi d’immaginazione nella testa, a cui ricorre istintivamente per dare un senso a ciò che senso non ha. Sua madre Hanna lo ha lasciato nella folla di fuggitivi alla stazione di Zaporižžja, restando a casa con Olena, la nonna invalida, e scegliendo per lui un insidioso viaggio nell’ignoto come alternativa al vivere per sempre con l’orrore negli occhi o al diventare un bersaglio. Lo ha portato in stazione con l’inganno e non ha voluto aspettare la partenza del treno. A dimostrazione del fatto che anche gli animi più impauriti possono generare atti di grande coraggio.

COSA NE PENSO

Un libro emotivamente profondo che spacca in due il cuore. L'abbandono visto da occhi diversi. Addii non pronunciati,anime ferite e occhi che si cercano ma non si trovano.
Sono 3 i personaggi principali della storia, Jarek un bambino di appena dieci anni,sua madre Hanna, e la nonna di Jarek, Olena.
La forza dell' amore raccontata con quella sensibilità dovuta alle vittime della guerra in Ucraina, toglie il respiro ogni volta che il racconto va avanti e procede senza interruzioni perché una pagina tira l'altra in quel susseguirsi di curiosità vissuta nel dolore.
L'orrore della guerra,la sola idea di una madre che tenta di proteggere e di salvare suo figlio lascia sgomenti chiunque. Leggere questo libro è molto importante perché ci mette davanti alla realtà, che accade proprio nella porta accanto.

«Rieccoli,i miei pensieri senza capo né coda e l'impossibilità maledetta di parlare a Jarek come ho sempre fatto,con misura e giudizio,ma schiettamente. Più me lo riprometto, più mi sento confusa. Eppure,la scelta da prendere è semplice: restare o partire...»

In conclusione, a fine lettera, si ha una percezione diversa di come eravamo all'inizio lettura, tutto cambia dentro di noi, e niente sarà più come prima, un libro che ci scuote fin dentro le viscere.
Dire che si tratta di un bel libro sarebbe scontato è molto di più. L'unico consiglio che io vi possa dare è leggetelo,leggetelo,leggetelo.
Buona lettura!

© Riproduzione riservata




Per maggiori informazioni consulta la nostra Privacy Policy.

09 marzo 2025

INTERVISTA A MARIA COSTANZA BOLDRINI AUTRICE DEL LIBRO: GLI ANNI DELL' ABBONDANZA



Cari lettori,

Ben ritrovati! L'ospite di questa nuova intervista è Maria Costanza Boldrini. 
Maria Costanza è laureata in Lingue e specializzata in Giornalismo. Vive in Francia, dove lavora come traduttrice freelance e redattrice per Una parola al giorno, sito di approfondimento linguistico ed etimologico. Gli anni dell’abbondanza è il suo romanzo d’esordio.

D. MARIA COSTANZA, COM'È NATA LA SUA PASSIONE PER LA SCRITTURA? 

R. La passione per la scrittura è nata da quella per la lettura. Le due cose sono andate di pari passo. Il primo libro che mi catturò, da bambina, fu Pippi Calzelunghe, scritto da Astrid Lindgren. Ricordo di aver pensato che essere capace di costruire una storia così era un vero prodigio, una meraviglia, e di aver desiderato intensamente, dal profondo del cuore, di poter diventare autrice di una tale prodezza. Ricordo di aver provato a scrivere un romanzo giallo in terza elementare, ma non avevo capito il principio del poliziesco, per cui mi ero messa a raccontare la vita dell’assassino. Rileggendo mi resi conto che qualcosa non quadrava, quindi sono passata a scrivere commedie e tragedie teatrali, spinta soprattutto dall'altra mia grande passione, quella per la recitazione. Amavo creare personaggi che, nel mio spirito infantile, consideravo ‘shakespeariani’. In realtà erano macchiette, nullità, e purtuttavia hanno costituito delle prove generali molto utili per lo sviluppo delle mie capacità inventive che si sono consolidate più tardi.

D. DOVENDO RIASSUMERE IN POCHE RIGHE IL SENSO DEL SUO ROMANZO, “GLI ANNI DELL' ABBONDANZA”, COSA DIREBBE?

R. È un romanzo sul talento e le capacità che ci sono proprie, sul saperlo riconoscere, accettare, amare e mettere a frutto con umiltà e dignità. È un romanzo sullo scorrere della vita, coi suoi duri colpi, e sulla Storia, che ha investito le vite di tutti in modi molto diversi. È anche un romanzo di fede, speranza, in cui ho voluto affrontare, in maniera sicuramente troppo superficiale per l'enormità del tema, anche l'argomento del peccato. Il peccato, l’esistenza e la giustificazione del male sono materie che negli anni hanno preso sempre più spazio nelle mie riflessioni.

D. C'È UN EPISODIO IN PARTICOLARE CHE L' HA ISPIRATA PER QUESTA STORIA? 

R. I racconti della mia bisnonna e di mio nonno che, di fatto, si trovano tutti nel testo. Soprattutto il racconto dell'infanzia atroce del mio trisnonno.

D. CON QUALI COLORI DESCRIVEREBBE I PERSONAGGI?

R. Beata è color tabacco, per ovvi motivi. Ettore è ceruleo. Clarice un lavanda con accenni purpurei. Emilio il giallo dell'alba. Antonia è il pallido avorio, Ernesto è il blu di una tuta da lavoro.

D. ESISTE UN LIBRO CHE HA AVUTO UNA GRANDE INFLUENZA NELLA SUA VITA?

R. Come ho scritto nella postfazione, ‘Cent’anni di solitudine’ di Gabriel Garcia Marquez mi folgorò. Avevo dodici anni quando lo lessi, ne rimasi completamente abbacinata.

D. C'È QUALCOS'ALTRO CHE VUOLE AGGIUNGERE.. CHE  VORREBBE DIRE AI SUOI LETTORI?

R. Certe storie hanno bisogno di narrazioni più pacate, le cui corde vibrino al ritmo di parole antiche e senza sentimentalismi a buon mercato. Credo che ‘Gli anni dell'abbondanza’ sia tra queste. Il lessico è stato scelto con cura per dei motivi precisi, non c'è niente di forzato. Eleggere con attenzione le parole che si usano è un gesto di cura per la storia ma anche per il lettore e non deve essere liquidato come un vezzo dello scrittore. La lingua possiede parole precise per cose precise. Vanno usate, perché permettono di salvare le sfumature, i semitoni. Non può essere tutto estremo e superlativo. Paradossalmente, con questa esasperazione del grado massimo che ha pervaso la lingua e l'espressività contemporanea, si tende ad appiattire tutto su un unico livello omogeneo. Distinguere le intensità e restituire al medio, al tiepido, al moderato i loro giusti posti nella sensibilità dei lettori è a mio avviso fondamentale.

D. PROGETTI PER IL FUTURO E SOGNI?

R. Continuare a scrivere, con cura, amore, passione, e poterne vivere dignitosamente.

Desidero ringraziare Maria Costanza per aver risposto alle mie domande.



In libreria e sugli store online dal 10 gennaio 2025 Nord Editore


SINOSSI

In un piccolo paese dell'Italia del '900, vive un'umile famiglia come tante. Eppure le sue donne hanno un dono speciale. I Contini sono una famiglia come tante, lì a Valchiara, un piccolo paese del centro Italia affacciato sul mare. Benvoluti e gran lavoratori, conducono un'esistenza povera ma dignitosa. Poi qualcosa cambia quando la giovane Beata, a dispetto delle proteste della madre, decide di farsi assumere alla Regia Fabbrica dei Sigari. Perché un misterioso miracolo si produce in lei: è la sua abbondanza, un dono che la rende la beniamina delle colleghe zigarare e il bersaglio dell'occhiuto sospetto dei controllori della fabbrica. E dopo di lei anche sua figlia Clarice e la nipote Antonia saranno benedette e maledette da questo prodigio, ciascuna a modo suo. Tuttavia l'abbondanza non è per sempre, può sparire da un momento all'altro a causa di un grande dolore. E di dolori ne vivranno tanti, Beata, Clarice e Antonia, vittime della violenza della Storia ma capaci di affrontare e superare ogni difficoltà, anche grazie a un'altra benedizione, l'amore puro e incondizionato dei loro adorati mariti.

COSA NE PENSO

Per essere un romanzo d'esordio è stato proprio una bella scoperta, sotto tanti punti di vista.
Iniziando dalla scrittura semplice e realistica.
Un romanzo scritto meravigliosamente, che mette in luce le caratteristiche della natura umana dei personaggi.
Ho amato ognuno di loro dalla zia Miranda ad Assunta, Enrico solo per citarne alcuni.
“L'abbondanza” arriva in Beata, in Clarice, e in Antonia, in modalità e in tempi differenti e fa appello a tutta la loro forza interiore, una litania impercettibile ma potente, fondamentale per la loro sopravvivenza, e per quella dell'intera comunità in cui vivono,tra magia e superstizione, gioie e dolori, “l'abbondanza” si rivelerà in un certo qual senso un' amica fedele per ognuna di loro tre. 

«Da sempre prestava orecchio agli oggetti che le bisbigliavano storie, e in silenzio assorbiva quelle narrazioni..»

A lettura ultimata ho subito pensato che Maria Costanza Boldrini possa rivelarsi ben presto, una tra le più grandi voce letterarie contemporane per stile e originalità.
In conclusione, si tratta di un racconto collettivo che ha influenzato l'intera società del nostro paese nel tempo. 
Consigliatissimo. Buona lettura!

© Riproduzione riservata



Per maggiori informazioni consulta la nostra Privacy Policy.

04 febbraio 2025

RECENSIONE DEL LIBRO: “QUELLO CHE SO DI TE” DI NADIA TERRANOVA


In libreria e sugli store online dal 14 gennaio 2025 Guanda

NOTE SULL' AUTRICE 

Nadia Terranova è nata a Messina e vive a Roma. Ha pubblicato i romanzi Gli anni al contrario (2015, vincitore di numerosi premi tra cui il Bagutta Opera Prima, il Brancati e l’americano The Bridge Book Award), Addio fantasmi (2018, finalista al Premio Strega, Premio Alassio Centolibri) e Trema la notte (2022, Premio Elio Vittorini, Premio Internazionale del mare Piero Ottone). Collabora con le pagine culturali della Repubblica e della Stampa ed è la curatrice della rivista letteraria K edita da Linkiesta. È tradotta in tutto il mondo.

SINOSSI 

C’è una donna in questa storia che, di fronte alla figlia appena nata, ha una sola certezza: da ora non potrà mai più permettersi di impazzire. La follia nella sua famiglia non è solo un pensiero astratto ma ha un nome, e quel nome è Venera. Una bisnonna che ha sempre avuto un posto speciale nei suoi sogni. Ma chi era Venera? Qual è stato l’evento che l’ha portata a varcare la soglia del Mandalari, il manicomio di Messina, in un giorno di marzo? Per scoprirlo, è fondamentale interrogare la Mitologia Familiare, che però forse mente, forse sbaglia, trasfigura ogni episodio con dettagli inattendibili. Questa non è solo una storia di donne, ma anche di uomini. Di padri che hanno spalle larghe e braccia lunghe, buone per lanciare granate in guerra. Di padri che possono spaventarsi, fuggire, perdersi. Per raccontare le donne e gli uomini di questa famiglia, le loro cadute e il loro ostinato coraggio, non resta altro che accettare la sfida: non basta sognare il passato, bisogna andarselo a prendere. Ritornare a Messina, ritornare fra le mura dove Venera è stata internata e cercare un varco fra le memorie (o le bugie?) tramandate, fra l’invenzione e la realtà, fra i responsi della psichiatria e quelli dei racconti familiari.

COSA NE PENSO

Le mie prime sensazioni a caldo dopo aver terminato la lettura di questo romanzo sono tante, e tutte contrastanti e al contempo struggenti.
Quello che so di te, ci conduce in un binario sconosciuto,due linee parallele che si incontrano e poi si dividono, tra passato e presente.
Venera che dall' oltretomba vuole riscattarsi e chiede "aiuto"alla pronipote Nadia tra sogno e realtà, per se e per tutte quelle donne prima e dopo di lei che nascono, vivono,soffrono e amano allo stesso modo,“Io sono una come tante” sembra dire con fermezza e dignità, perché noi donne siamo madri ma soprattutto donne con un corpo e un anima, un aspetto spesso trascurato dal egoismo altrui.
Nadia Terranova, ne delinea i contorni rendendola reale la sua Venera, così reale che sentiamo le sue fragilità, il suo delirio , l'urlo straziante di un anima in pena, il corpo e la mente di una madre morta seppur non fisicamente insieme alla sua bambina ancora nel grembo. E lei, Giovanna spettro che si fa carne, sogno spezzato che non smette di vivere dentro lo stesso "pianeta" di sua madre.
Una donna può risorgere luminosa dalle proprie ceneri dopo aver incontrato la propria “morte” interiore un'esperienza intensa sia sul piano fisico che mentale.
Per un breve lasso di tempo, "Mussu cuciutu" muso cucito, così come viene nominata dalla sua famiglia Venera, diventa voce di tutte le altre donne, un tempo rinchiuse dentro i Manicomi e spesso abbandonate al loro tragico destino. 
La mente è assai pericolosa e può rivelarsi nostra nemica, un labirinto infido, persecutorio c'è chi si lascia trascinare in quel enorme vortice di paure ed inganni. 

«Se tutto quello che ami scomparisse, sapresti ancora chi sei?»

In conclusione, all'inizio prima ancora di addentrarmi dentro la storia di “Quello che so di te” mi ha colpita la frase scelta da Nadia di Virginia Woolf: «C'è,nella maternità,uno strano potere.»
Vero? Falso? Una frase ad effetto che dà il via ad uno dei romanzi più intensi della Terranova.
Adoro la sensibilità di Nadia, perché ci racconta a cuore aperto la sua esperienza personale di donna e madre, un libro di sorellanza,di supporto e di grande sensibilità.
Consigliatissimo. Buona lettura!


© Riproduzione riservata



Per maggiori informazioni consulta la nostra Privacy Policy.

INTERVISTA A SVEVA CASATI MODIGNANI

È un'onore, oltre che un piacere ospitare nel mio blog Sveva Casati Modignani una delle firme più amate della narrativa contemporanea: i...