INTERVISTA A VALERIA PROVENZANO


Cari lettori,

Le vacanze estive sono ormai agli sgoccioli, perciò ho deciso di regalarvi una nuova recensione, ma prima voglio farvi conoscere meglio una nuova scrittrice. Sto parlando di Valeria Provenzano, nata a Cumaná, nei Caraibi Venezuelani, nel 1992. Ha studiato Lettere presso la Universidad Central de Venezuela, e Storytelling & Filmmaking alla Scuola Holden. Ha vagato tra Cumaná, Caracas, Toronto e Montevideo, dove ha studiato e lavorato come editor, segretaria, barista e agente telefonica. Adesso si è fermata a Torino, dove fa la traduttrice e l’insegnante di spagnolo alla luce del sole, e la scrittrice a quella della lampadina. 


D. CHI È VALERIA?

R. Sto rispondendo a questa domanda per ultima perché le cose più ovvie, quelle che sembrano più facili, a volte sono le più difficili da articolare.
Valeria è una scrittrice, una cittadina di più di un Paese, una prof, una migrante – perché mi sono spostata e mi sposto molto, una tifosa del calcio e del baseball, una femminista, un’amante della musica – soprattutto della salsa, una che adora stare con i suoi amici e che si diverte molto con la sua famiglia – niente romanticismo, siamo davvero divertenti, un’appassionata di politica, di letteratura e di cinema, e anche una che canta nel coro queer di Torino. Comunque, una molto tranquilla. Valeria sono io.

D. DA QUALE IDEA, SPUNTO, ESIGENZA O FONTE DI ISPIRAZIONE, NASCE QUESTO TUO PRIMO ROMANZO “LE MILLE STRADE PER BUENOS AIRES”?

R. Le mille strade per Buenos Aires ha vari genitori. Nasce dopo una conversazione in cui si parlava di movimenti tellurici, migrazioni e maledizioni. Nasce grazie al racconto della storia di una donna molto forte che ha deciso di non accontentarsi mai. Nasce un po’ dalla malinconia e un altro po’ della necessità di avere speranza.
Il primo spunto è arrivato a marzo del 2019, quando raccontando a un’amica delle mie erranze e spostamenti lei mi rispose che la mia somigliava un po’ alla storia di sua nonna Rosario, perché anche lei aveva vissuto in mezzo a troppi movimenti fin da piccola. Entrambe abbiamo vissuto dei terremoti che hanno marcato le nostre vite, entrambe abbiamo cambiato città e Stato, entrambe abbiamo problemi a stare ferme, diciamo.
Io quella settimana iniziai ad abbozzare questa storia, e un mese dopo ho deciso che avrei convertito quella bozza in un vero romanzo.

D. CON QUALI COLORI DESCRIVERESTI I TUOI PERSONAGGI?

R. Quando penso a Rosario mi viene in mente automaticamente la bambina, quella che è cresciuta tra San Juan e le sue vicinanze, una zona piena di montagne i cui colori variano tra tonalità di marroni, rossi e gialli e tramonti color zafferano, quindi a lei – e anche a quasi tutta la sua famiglia, darei i colori della terra. Quando penso agli Stein mi viene in mente Buenos Aires, La ciudad de la furia come la conosciamo in America Latina, e mi vengono subito in mente un bel rosso e un bel blu neon. Pilar mi dà un senso di tenerezza, anche nella sua malattia, che l’avvicina al celeste più chiaro, e Raúl lo associo all’arancione, un colore che dipende tantissimo dalla tonalità. Troppo ti può far vedere le cose molto belle, ma troppo poco è proprio inguardabile. A Nicolás concedo il verde, anche perché lo associo molto con Montevideo. Nel tono giusto, magari caldo, ti va di fissarlo tutto il giorno. Nel tono sbagliato può essere, invece, un po’ triste. 

D. UNA SCENA DEL LIBRO CHE TI PIACE PARTICOLARMENTE?

R. Mi piace molto quel momento in cui la Rosario bambina, piena di forza e speranza, pianifica la sua prima scappata dalla fattoria. Mi piace come fa l’attrice davanti al vecchio Moshé per non fargli avere sospetti, mi piace come trasgredisce le regole ed entra in casa nonostante il divieto di farlo, e mi piace, o meglio, mi fa sentire bene come si sente quando è nascosta dietro il sedile. 
Naturalmente mi dispiace che non ci riesca, però il processo, il tentativo, mi è molto piaciuto. 

D. HAI DELLE ABITUDINI PARTICOLARI DURANTE LA SCRITTURA?

R. Innanzitutto, il silenzio: il motivo per cui di solito scrivo di notte si deve al fatto che è il momento in cui c’è più silenzio. 
Normalmente, costruisco una mappa della storia che voglio raccontare, diciamo che abbozzo un punto di partenza, una strada da percorrere e un punto di arrivo. Poi tutto questo cambia, certamente, perché il processo di scrittura è come la vita: le cose vanno come devono andare e non come le pianifichi. E forse questa è la cosa che mi piace di più dello scrivere: che a un certo punto la storia prende vita e non sono solo io a manipolarla, ma sono anche le regole intrinseche di quello che c’è già scritto a regolarla.
Poi lascio macerare delle scene, dei capitoli interi e torno dopo un po’, assaggio e correggo il sale.

D. UN LIBRO CHE HA AVUTO UNA GRANDE INFLUENZA NELLA TUA VITA?

R. Ho sempre avuto il gravissimo problema di non avere cose preferite nella vita: né colori, né cibo, né libri, per cui parlare di un solo libro mi viene difficilissimo, ma proverò a essere concisa.
I libri che mi hanno reso lettrice sono stati El Rey Mocho di Carmen Berenguer, una scrittrice cilena, e El sapo distraído di Javier Rondón, uno scrittore venezuelano. Sono due storie per bambini che leggevo in continuazione da piccola, così tanto che a 10 anni dissi a mia madre: mi voglio tatuare el rey es mocho, no tiene oreja, por eso usa peluca vieja, una citazione di El rey mocho. Forse da quel momento si è capito che prendevo molto sul serio quello che leggevo. Da adolescente ho letto La isla de los amores infinitos, di Daína Chaviano, una scrittrice cubana, che è e sarà per sempre il romanzo che avrei voluto scrivere, per la sua forza, per la sua sabrosura – il suo sapore così fresco. Si tratta di un romanzo di realismo magico che parla di migrazioni, di famiglie, di storia, di una Cuba molto viva e molto eterogenea. E poi non posso non parlare di come Paula, di Isabel Allende, è uno di quei libri che non potrò rileggere mai più nella mia vita per quanto mi ha fatta piangere: bellissimo, tristissimo, meraviglioso.

D. PROGETTI PER IL FUTURO?

R. Continuare a fare le cose che mi rendono felice: scrivere, insegnare, cantare, camminare e mangiare il gelato.

Desidero ringraziare Valeria Provenzano per aver risposto alle mie domande


SINOSSI

San Juan. «Ormai sei grande. Sei forte e non hai paura di niente.» Sono queste le ultime parole che la dodicenne Rosario sente pronunciare da sua madre prima di salire su una macchina che la porta per sempre lontano da casa. Arrivata alla fattoria, Rosario riceve un nuovo nome, perché, a sua insaputa, è stata venduta dalla famiglia, costretta dalla povertà, a una coppia che ha bisogno di manovalanza. Da quel momento non fa che lavorare seguendo il ciclo del sole che sorge e che tramonta. Di notte, però, Rosario cerca di mantenere viva la fiamma del ricordo dei genitori e dei fratelli. Una fiamma sempre più labile che è però vitale per lei, per non sentire la solitudine. Fino al giorno in cui un terribile terremoto sconvolge il suo destino. Rosario riesce a fuggire dalla fattoria, ma non è più sola: aspetta una bambina, anche se l’uomo che ama non vuole seguirla. Nella testa ha un solo desiderio: ritornare a casa. Ma quello che vi trova è un altro rifiuto. Un altro abbandono. Questa volta perché è incinta e senza un marito. Così Rosario capisce di poter contare solo su sé stessa, che lei e sua figlia sono l’unica cosa davvero importante. Parte per Buenos Aires dove, tra relazioni appassionate che le riempiono o le spezzano il cuore e l’amore incondizionato per i figli che la fanno sentire viva, Rosario combatte e si adatta, sempre in cerca del coraggio che sua madre le ha sussurrato all’orecchio quel giorno. Perché se una parte di lei è fiera dell’indipendenza conquistata, un’altra piccola parte è ancora la ragazzina che si sente rifiutata da chi avrebbe dovuto amarla.
L’esordio di un’autrice di talento. La storia di un abbandono e di una fuga. La storia di un rifiuto e di una rinascita. La storia di un ritorno e di un’accettazione. La storia di una donna respinta e di una madre senza paura.

In libreria e sugli store online dal 23 maggio 2023 Garzanti

COSA NE PENSO

La narrazione di “Le mille strade per Buenos Aires” inizia dal giorno in cui Rosario, una ragazzina poco più che tredicenne viene tristemente portata via dalla sua famiglia da una donna sconosciuta e austera. L’abbandono improvviso e la perdita di fiducia accompagnerà Rosario per tutta la vita, nonostante la sua nuova vita e gli amici.
Questo romanzo traccia una condizione triste e reale sulla schiavitù a cui erano costretti moltissimi bambini e bambine nei paesi più poveri dell'America Latina. 
In conclusione, da queste queste pagine traspare l'amore incondizionato di una madre,di quanto forte, disperato, potente sia questo sentimento.

«Fu un piacere vederli crescere, prendere nuove strade, divenire indipendenti.
Li vidi andare via di casa per spostarsi in altre città, e ogni volta li aspettai con del mate e uno spuntino per ascoltare le loro storie.»

Un libro incisivo, emozionante, velatamente malinconico.
Consigliato. Buona lettura!



Intervista e recensione a cura di C.L

Photo by Raymond Crepsac

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