“.. CHIACCHIERATA CON ALESSANDRO MORBIDELLI”

Cari amici e care amiche,

Un altro anno volge al termine e sembra essere volato. Vi ringrazio di cuore per aver letto e condiviso le mie interviste.
L'ospite di questa nuova intervista è Alessandro Morbidelli. Alessandro nasce nel 1978 ad Ancona. È libero professionista e docente accademico. Ha pubblicato i romanzi Ogni cosa al posto giusto (Robin Editore), Storia nera di un naso rosso (Todaro) e Trenta cani e un bastardo (Todaro). Dal 2020 è presidente di giuria del Concorso Letterario Città di Grottammare per quanto riguarda la sezione Racconto Breve e direttore artistico del Festival Lacrima in Giallo (www.lacrimaingiallo.it) di Morro D’Alba in provincia di Ancona. 

D. ALESSANDRO, COM'È NATA LA TUA PASSIONE PER LA SCRITTURA?

R. Ero bambino, frequentavo la terza, forse la quarta elementare. In classe c’era una scatola di legno che conteneva quelle che la maestra chiamava “schede”, dei fogli volanti, su ognuno c’era scritto un racconto breve. La maestra si aspettava che durante la ricreazione ne prendessimo uno a testa e trascorressimo la pausa leggendo. In effetti fu così, ma solo dopo che nella scatola comparvero le “schede” scritte da me: racconti dell’orrore di cui tutti avevano paura ma che in molti non potevano fare a meno di leggere.

D. I FIGLI DEI CHIODI, COME È NATO?

R. È un romanzo che racconta e raccoglie molto di me e di quello che volevo. Volevo raccontare di infanzia tradita dagli adulti, di come anche l’amore verso i più piccoli possa essere pericoloso. Di come arrivi sempre, in un certo crocicchio della nostra vita, la possibilità di imboccare una via laterale e diventare qualcosa di diverso, qualcosa di terribile, e della resistenza che serve per non lasciarsi andare, per non diventare mostri, che a volte è la soluzione più facile. Volevo in qualche modo tenere viva la memoria di una bambina alla quale questo romanzo è dedicato, vittima del malaffare pugliese dei primi anni ’80: Palmina Martinelli. Il romanzo è a lei dedicato, non racconta assolutamente la sua storia, ma quella di cinque bambini, legati da una fortissima amicizia, molto diversi tra loro: due, fratello e sorella, sono figli di un capocosca, mentre tre sono figli di quelle famiglie che sono a servizio della mafia perché ne sono soggiogate. Tutto questo nella Puglia di fine anni ’80.

D. QUANTO TEMPO HAI IMPIEGATO PER LA REALIZZAZIONE DEL TUO ROMANZO?

R. C’è stata una densa fase di ricerca. Ho cercato di capire come funzionavano certe dinamiche locali del tempo attraverso un recupero giornalistico di notizie di cronaca. Ho poi respirato l’aria di quei luoghi, parlato con la gente che li vive e che li ha vissuti in quegli anni. Ho capito quanto sia diversa la mafia garganica da tutta quella strutturata e diffusa in Italia e nel mondo. Poi ho scritto immaginando le emozioni, facendomele scorrere dentro. Il processo mi ha portato via circa quattro anni. 

D. TRA I LIBRI CHE HAI SCRITTO, QUAL È QUELLO A CUI SEI PIÙ AFFEZIONATO?

R. “I figli dei chiodi” l’ho pubblicato con un editore storico, importante, Vallecchi Firenze. Mi ha dato modo, dopo la pubblicazione, di parlare di molti temi e mi ha portato a confrontarmi con persone e contesti molto diversi tra loro, capaci tutti di confermare quanto il romanzo abbia anche un valore sociale e politico, inteso nel senso più nobile della parola. Esperienze a parlare di mafia, ma anche di violenza di genere, di condizione della donna, di infanzia, ti fanno capire come da un libro possano nascere molte riflessioni. C’è una pubblicazione antecedente a questa, tuttavia, “Trenta cani e un bastardo”, per Todaro Editore, con cui ho sviscerato l’amore per i cani che mi caratterizza e che ha saputo toccare il cuore.

D. QUALI SONO GLI AUTORI O I LIBRI CHE HAI AMATO DI PIÙ O CHE MAGGIORMENTE TI HANNO INFLUENZATO?

R. Ogni libro letto, nel bene e nel male, mi ha insegnato qualcosa. L’opera narrativa che mi attrae ha a che fare con l’arte, per questo sono sempre molto cauto quando leggo di autori “artigiani della scrittura”. L’autore con cui ho scoperto il noir è stato Massimo Carlotto con i suoi romanzi dedicati all’Alligatore. Quello di cui ammiro la scrittura in maniera reverenziale è Cormac McCarthy.

D. SPESSO HANNO SCRITTO DEI TUOI LIBRI COME DI PUGNI NELLO STOMACO. SEI D’ACCORDO?

R. Credo che quando incontri la vita e ti viene voglia di parlarne in un romanzo, capiti molto di rado che ti metta a scrivere di qualcosa che non ti colpisca forte. La vita ti colpisce forte, e quando lo fa diventa l’oggetto da approfondire, da capire. Quello che non mi piace è la morbosità nei confronti della violenza: nessuno leggerà mai, nelle mie pagine, di cadaveri appesi o di gente fatta a pezzi. Rispetto la morte e cerco di raccontarla con parole efficaci, rispettose, non pruriginose. 

D. C'È QUALCOS'ALTRO CHE VORRESTI DIRE AI TUOI LETTORI?

R. Leggete e regalate libri. Fidatevi dei consigli dei librai che non vi consigliano solo i titoli delle grandi realtà editoriali. E poi siate sempre gentili.  

D. PROGETTI PER IL FUTURO E SOGNI?

R. Nel migliore dei mondi possibili per me, mi vedo aprire un ricovero per cani. Per i peggiori, per gli ultimi degli ultimi. Occuparmi di loro. Trovare Dio nei loro occhi.

Ringrazio Alessandro per la sua disponibilità nel rispondere alle mie domande.


SINOSSI

Cosimo e Mina, fratello e sorella, sono figli dei capi. Sergio, Carlino e la bellissima Rosa sono figli degli ultimi. Ognuno di loro possiede il chiodo, simbolo di affiliazione al clan e della violenza che vincolò Cristo alla Croce. Nel 1989, all'ombra delle faide mafiose, in una Puglia garganica ruvida e sanguigna, finisce l'estate e la loro infanzia. La brutalità adulta lacera per sempre l'innocenza e Cosimo, destinato a diventare re, sceglie la vendetta contro un nemico osceno e inesorabile, il Drago, il braccio destro di suo padre. Trent'anni dopo, a Milano, Cosimo è colui che decide il destino di molti, ed è pronto a sterminare una famiglia intera, simbolo vivente del suo più oscuro segreto. Ne fanno parte, tra gli altri, Sandra, madre tormentata e irrealizzata, incapace di fuggire dalla sua vita fatta di gabbie e di ossessioni, e suo figlio Giacomo, bambino silenzioso e sensibile, l'unico in grado di disinnescare la rabbia di Cosimo con l'ingenuità dei puri. Dopo Storia nera di un naso rosso, Alessandro Morbidelli torna con un romanzo di formazione sulla perdita dell'innocenza, sull'amore come motore principale delle vicende umane, sulla fuga come unica salvezza e sul prezzo da pagare per proteggere chi si ama.

In libreria e sugli store online dal 7 luglio 2023 Vallecchi

COSA NE PENSO

“I figli dei chiodi”è un libro di formazione non indifferente, perché narra in maniera chiara e netta cos'è il bene, e cos'è il male. Il male ha molte facce,Il bene ha una faccia sola, come lo stesso Alessandro Morbidelli ci spiega attraverso i suoi personaggi.
Giovani vite spezzate per sempre dalla brutalità e dalla violenza della malavita organizzata.
Un libro che va proposto nelle scuole per l'intensità e il valore che rappresenta, una realtà che tutt'oggi vive all'interno della nostra società.
In conclusione, “I figli dei chiodi”, non narra solo del destino di questi cinque bambini Cosimo,Mina,Rosa,Carlino,Sergio,ma ci sono altri personaggi complessi a loro modo per cui vale la pena leggerlo. Consigliato! Buona lettura

Intervista e recensione a cura di C.L

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