INTERVISTA A DARIO FERRARI


Cari lettori,

L'ospite di questa nuova intervista è 
Dario Ferrari. Nato a Viareggio, ha studiato filosofia a Pisa dove ha conseguito un dottorato di ricerca. Ha esordito nella narrativa con La quarta versione di Giuda (Mondadori, 2020). Nel 2023 esce per Sellerio , La ricreazione è finita.


D. DARIO, COM'È NATA LA SUA PASSIONE PER LA SCRITTURA?

R. E chi lo sa, come nascono le passioni, gli amori. Senz’altro c’entrano le letture che mi hanno incantato da bambino e da ragazzo (Dahl, Rodari, Calvino, Benni, Pennac), e poi il piacere impensato che scoprivo quando per caso mi mettevo a scrivere qualcosa. Fatto sta che già da piccolo provavo a scrivere romanzi, ma mi sarei aspettato che a un certo punto, con il raggiungimento di qualche forma di maturità, questa fissazione mi sarebbe spontaneamente passata. Invece no.

D. QUANTO TEMPO HA IMPIEGATO PER LA REALIZZAZIONE DEL SUO ROMANZO “LA RICREAZIONE È FINITA”?

R. L’idea di questo libro, in una forma molto vaga che poi sarebbe stata completamente stravolta, è nata diversi anni fa, e poi è rimasta in questo stadio embrionale per molto tempo. L’ho poi ripresa in mano nel 2020, e in un po’ meno di due anni l’ho messa in parole (o meglio: ne ho estratto una storia, decisamente diversa da quella che pensavo avrebbe prodotto). La lavorazione è stata però molto diseguale: all’inizio leggevo e studiavo molto e scrivevo poco, mentre negli ultimi tre o quattro mesi, quando ormai avevo le idee molto chiare, scrivevo solamente. L’intera Fantasima, il romanzo nel romanzo, l’ho buttata giù, dopo averla a lungo tenuta in testa, in poco meno di una settimana (di isolamento, ovviamente).

D. DA QUALE IDEA, SPUNTO, ESIGENZA O FONTE DI ISPIRAZIONE, È NATO QUESTO ROMANZO?

R. All’inizio c’era solo Tito Sella, uno dei due protagonisti, quello che però è protagonista in absentia. Di lui avevo solo il nome e una bibliografia (primaria, ovvero i libri scritti da lui, e secondaria, ovvero la letteratura critica sulle sue opere). Poi ho cominciato a ragionare più in profondità sugli anni Settanta, in particolare nell’accezione di Anni di Piombo, e mi sono scontrato con una sorta di punto cieco: com’è stata possibile la sproporzione tra le premesse di emancipazione e di superamento dello sfruttamento e gli esiti sanguinari del terrorismo? Per provare a capirlo ho deciso di metterlo in scena, e di farlo attraverso il filtro di un trentenne di oggi, che prova a comprendere con gli strumenti del Ventunesimo secolo cosa siano stati gli Anni Settanta. E così è nato anche Marcello, il protagonista vero e proprio, che dunque è successivo non solo storicamente ma anche nella gestazione del romanzo.
 
D. HA DELLE ABITUDINI PARTICOLARI DURANTE LA SCRITTURA?

R. Mi piacerebbe molto avere delle abitudini di scrittura, ma al momento sono al di sopra delle mie possibilità. Tendenzialmente scrivo negli scampoli di tempo, la sera, quando i familiari dormono, o quando mi trovo miracolosamente una mattina o un pomeriggio liberi, oppure nelle rarissime fughe in cui riesco a ritirarmi per qualche giorno in una casa in Maremma, dedicandomi quattordici ore al giorno alla scrittura (e alle salsicce di cinghiale). 

D. QUALI SONO GLI AUTORI O I LIBRI CHE HA AMATO DI PIÙ O CHE MAGGIORMENTE L’ HANNO INFLUENZATO?

R. I miei due classici di riferimento sono Borges e Proust. Borges lo rileggo in continuazione e in modo quasi religioso, continuo a essere impressionato dalla capacità di rendere sensibili speculazioni massimamente astratte nel giro di pochissime pagine. Su Proust ho scritto due tesi, e rimane per me lo scrittore che mi ha insegnato di più non tanto sulla letteratura, quanto sulla vita: è stato la mia educazione sentimentale, in un certo senso. Detto questo, si tratta di due autori a cui non assomiglio minimamente, non solo per l’ovvia questione della siderale lontananza di qualità, ma proprio perché faccio qualcosa di molto lontano da loro, e alla fine per paradosso la mia scrittura assomiglia forse più a scrittori che amo meno visceralmente.

D. C'È QUALCOS'ALTRO CHE VORREBBE DIRE AI SUOI LETTORI?

R. Niente, se non ringraziarle e ringraziarli di avermi letto. Mi sento sempre in imbarazzo ad aggiungere cose a quelle che ho scritto. Ciò che avevo da dire l’ho detto nel romanzo (e mi sono preso pure 480 pagine per dirlo): direi che la mia parte l’ho fatta. Ora sta ai lettori fare la propria parte e scrivere la metà del romanzo che spetta chi legge.

D. PROGETTI E SOGNI?

R. Il progetto (dal punto di vista editoriale) è il cantiere, ancora molto aperto, del prossimo libro, che al momento è allo stadio di un grumo di materiale che prova a fare da centro gravitazionale, ad attirarsi addosso altri spunti e altre idee (la maggior parte dei quali però vengono inghiottiti dal buco nero che sta al centro del cantiere). Sui sogni invece mi cogli impreparato.


Ringrazio Dario per la sua disponibilità nel rispondere alle mie domande.



SINOSSI 

Marcello è un trentenne senza un vero lavoro, resiste ai tentativi della fidanzata di rinsaldare il legame e cerca di prolungare ad libitum la sua condizione di post-adolescente fuori tempo massimo. La sua sola certezza è che vuole dirazzare, cioè non finire come suo padre a occuparsi del bar di famiglia. Per spirito di contraddizione, partecipa a un concorso di dottorato in Lettere, e imprevedibilmente vince la borsa. Entra così nel mondo accademico e il suo professore, un barone di nome Sacrosanti, gli affida come tesi un lavoro sul viareggino Tito Sella, un terrorista finito presto in galera e morto in carcere, dove però ha potuto completare alcuni scritti tra cui le Agiografie infami, e dove si dice abbia scritto La Fantasima, la presunta autobiografia mai ritrovata.
Lo studio della vita e delle opere di Sella sviluppa in lui una specie di identificazione, una profonda empatia con il terrorista-scrittore: lo colpisce il carattere personale, più che sociale, della sua disperazione. Contemporaneamente sperimenta dal di dentro l’università: gli intrighi, le lotte di potere tra cordate e le pretestuose contrapposizioni ideologiche, come funziona una carriera nell’università, perfino come si scrive un articolo «scientifico» e come viene valutato. Si moltiplicano così i riferimenti alla vita e alla letteratura di Tito Sella, inventate ma ironicamente ricostruite nei minimi dettagli; e mentre prosegue la sarcastica descrizione della vita universitaria, il racconto entra nella vita quotidiana di Marcello e nelle sue vitellonesche amicizie viareggine.
Realtà sovrapposte, in cui si rivelano come colpi di scena delle verità sospese. Che cosa contiene l’archivio Sella, conservato nella Biblioteca Nazionale di Parigi? Perché il vecchio luminare Sacrosanti ha interesse per un terrorista e oscuro scrittore? E che cosa racconta, se esiste, La Fantasima, l’autobiografia perduta?
La ricreazione è finita è un’opera che si presta a significati e interpretazioni molteplici. Un narrato in cui si stratificano il genere del romanzo universitario – imperniato dentro l’artificioso e ossimorico mondo dell’accademia –, con il romanzo di formazione; il divertimento divagante sui giorni perduti di una generazione di provincia, con la riflessione, audace e penetrante, sulla figura del terrorista; e il romanzo nel romanzo, dove l’autore cede la parola all’autobiografia del suo personaggio. Questo libro racconta la storia di due giovinezze incompiute, diversissime eppure con una loro sghemba simmetria. 
Nelle librerie e sugli store online dal 24 gennaio 2023


COSA NE PENSO 

“La ricreazione è finita” è un libro che percorre due sentieri opposti. Il primo volge uno sguardo diretto verso Marcello Gori,il protagonista. Un trentenne spiantato che non ha ancora ben capito cosa farne della sua vita, e quindi nella sua goliardica vita da studente inconcludente riesce ad ottenere per puro caso un ruolo di ricercatore all' interno della sua stessa sezione di letteratura dell' università di Pisa dove studia.
Per quanto concerne,la seconda parte dedicata allo scrittore Tito Sella credo che Dario Ferrari con questo suo gioco di realtà sovrapposte abbia fatto un buon lavoro proprio perché,così facendo,ha dato la giusta dose di ironia ed intelligenza ad un romanzo che altrimenti sarebbe risultato piatto con la sola storia di Marcello Gori.
Interessante l'attenzione di Ferrari nel narrare gli anni di piombo. Purtroppo, esistono solo verità parziali, confuse e spesso contraddittorie attorno questo periodo storico. Devo ammettere che questo suo modo di destreggiarsi armoniosamente tra passato e presente, grazie prevalentemente a quella arguzia e abrasività tipica toscana riesce a dare un tono severo ma ironico a tutto il romanzo. Consigliato!


Intervista e recensione a cura di C.L


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