04 aprile 2025

IL CORAGGIO DI ESSERE: DIALOGO CON STEFANO FERRI



Miei cari lettori,

È un'onore, oltre che un piacere ospitare nel mio blog Stefano Ferri. Stefano è nato a Milano nel 1966, vive a Milano dove è giornalista e consulente in comunicazione.
Nel 2004 ha ricevuto il Premio Hilton per il giornalismo specializzato in turismo d’affari e nel 2006 il Premio Italia for Events per la stampa di settore. Da molti anni è attivo a sostegno dei diritti civili, dando testimonianza, su giornali, tv e social media, della sua condizione di crossdresser.
Parla inglese (bilingue) e tedesco, conosce l’arabo e il russo e nel tempo libero si diletta di chitarra classica (tra gli autori interpretati Bach, Sor, Villa-Lobos, Yepes).
Inoltre, Stefano è il direttore generale di
Meritocrazia Italia , associazione no-profit a carattere socio-culturale, che sta rapidamente crescendo e diffondendo la sua voce in giro per l’Italia. Mossa dalla volontà di conferire forza “all’Italia che Merita”, ossia riaffermare il valore del merito, dell’impegno e dell’equità sociale.
Per chi vorrà aderire (solo TRE euro) Clicca qui


D. STEFANO, COM'E' NATA LA TUA PASSIONE PER LA SCRITTURA?

R. Da un’incessante ricerca su me stesso. Chi mi conosceva bene aveva capito già dalla mia prima giovinezza che potevo essere uno scrittore (un mio cugino me lo disse che avevo solo 19 anni!), ma io bene non mi conoscevo, ho avuto un percorso parecchio lungo e arduo, come chi ha sentito parlare di me sa, e ciò si è riflesso negativamente sull’identificazione della “carriera” giusta. Che poi tanto carriera non è, né è solo legata alla scrittura. L’altra mia anima è quella legata alle PR, ai lavori di rappresentanza, alla consulenza di marketing. I romanzi restano la mia grande passione, e come tanta altra gente mi cimento nel crearne di nuovi. Dico sempre che scrivo i romanzi che vorrei leggere.

D. COSA TI AIUTA A CONCENTRARTI MENTRE SCRIVI?

R. Il silenzio. Ammiro quanti si concentrano con la musica. Io amo la musica, non smetterei mai di ascoltarla, ma se metto su una delle mie playlist non riesco a buttar giù una riga.

D. CHE SENSAZIONE SI PROVA DOPO AVER SCRITTO UN LIBRO?

R. È un’emozione che porta con sé due sentimenti opposti: liberazione – per la grande fatica che finisce (scrivere è una fatica nera, ricordatelo sempre) – e nostalgia per i personaggi che non vedrai mai più crescere, vivere, gioire e piangere nella tua testa.

D. CHE MESSAGGIO HAI VOLUTO LANCIARE CON IL LIBRO “DUE VITE UNA RICOMPENSA”?

R. Due vite una ricompensa intende mostrare una delle più profonde e amare regolarità dell’esistenza umana, ossia che se da un lato non è vero in assoluto che chi la dura la vince, dall’altro è sempre vero che un sacrificio onesto e amorevole lascia un segno, per quanto eventualmente diverso dall’intento originario, come un seme che porta frutto ai posteri e non a chi lo ha piantato.

D. QUALI SONO GLI AUTORI O I LIBRI CHE HAI AMATO DI PIU' O CHE MAGGIORMENTE TI HANNO INFLUENZATO?

R. In assoluto Stephen King, il più grande genio letterario del XX Secolo, tuttora colui che sa maneggiare la penna meglio di chiunque altro. Ho imparato da lui la descrizione precisa di quanto sta intorno alla scena principale, come una cartolina che vive di parole e non di immagini. Sempre da lui ho imparato l’introspezione psicologica dei personaggi, vero tallone d’Achille di tanti scrittori, specie italiani. Ho molto amato anche Andrea Camilleri, Paolo Giordano e il primo Ammaniti.

D. COSA DIRESTI ALLO STEFANO DI 20 ANNI E VICEVERSA?

R. Lui mi parlerebbe per primo esclamando «Come ti sei ridotto!» e io gli risponderei «Come tu stesso vorresti ridurti» raccomandandogli di non avere paura e di non aspettare altri vent’anni per lasciarsi andare.

D. STAI LAVORANDO A QUALCHE PROGETTO FUTURO CHE TI PIACEREBBE CONDIVIDERE CON NOI?

R. L’ho già annunciato sui social, volentieri lo ripeto qui: mi sono dato alla cittadinanza attiva divenendo direttore generale dei Ministeri di Meritocrazia Italia, associazione culturale a-partitica (nel senso che non ha vincoli ideologici e si interfaccia con tutti) volta a propugnare una società fondata soltanto sul merito. Obiettivo nobile e arduo, visto il punto di partenza che sappiamo e di cui si vedono i ben tristi risultati. Ha un'organizzazione capillare, sia sul territorio sia nella dirigenza, articolata essenzialmente in Ministeri recuperando il senso etimologico della parola (da "minus", "meno", contrapposto a "magis", "più", laddove in origine i ministri erano gli esecutori pratici degli ordini dei magistrati). In sei anni ciò si è rivelato molto funzionale all'interlocuzione con le istituzioni, perché ne adotta lo stesso linguaggio.
Come sapete, da un decennio do testimonianza a favore di una società senza discriminazioni, proprio per averne subite a bizzeffe, anche da gente insospettabile. Non immaginerei modo migliore per festeggiare il decimo compleanno del mio attivismo pubblico se non questa grande occasione per potenziarlo all'infinito.

In libreria e sugli store online dal 26 settembre 2024 Mursia  anche in formato Kindle. 


SINOSSI 

«Era la voce del cardinale che proclamava: 
“Un giorno tutto il mondo farà così”.»

Anno Mille. In uno sperduto feudo del Regno di Lombardia la routine del contadino Guglielmo viene funestata dall’improvvisa – e gravissima – malattia della giovane moglie Rosa. Deciso a non rassegnarsi all’idea di perderla, mentre sacrifica tutto il raccolto a un viaggio della speranza allo Spedale di Milano, s’inventa un modo per non togliere il cibo di bocca ai suoi bambini: una pietanza sconosciuta chiamata riso, insaporita col contenuto dell’osso grande del bue.
È la stessa pietanza che ritroviamo secoli dopo nella Milano di San Carlo Borromeo, tinta di giallo zafferano da un pittore del cantiere del Duomo, e che dopo la peste del 1576-77 lascerà una traccia perenne nei miti e nei riti dell’amore.
Una storia emozionante, indicativa del senso della vita quant’altre mai.


Foto gentilmente tratta dal profilo Facebook di Stefano Ferri, utilizzata a corredo dell’intervista.



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27 marzo 2025

INTERVISTA A NOVITA AMADEI AUTRICE DEL LIBRO “DA SOLO”




Cari miei lettori,

Bentrovati! L'ospite di oggi è Novita Amadei. Nata a Parma e vive in Francia. Lavora come consulente nel campo dell’asilo politico e delle migrazioni internazionali, e anche la sua attività da giornalista pubblicista è relativa a questi temi. Dentro c’è una strada per Parigi (Neri Pozza 2014), il suo romanzo d’esordio, è stato finalista alla prima edizione del Premio Nazionale di Letteratura Neri Pozza e anche ai premi Bottari Lattes Grinzane e Corrado Alvaro e ha vinto il XXVIII Premio Massarosa. Sempre presso Neri Pozza sono usciti i romanzi Finché notte non sia più (2016) e Il cuore è una selva (2020), le raccolte di racconti Ragazze di Parigi (2018) e Operazione umanitaria (2019), oltre a un contributo nell’antologia L’allegra brigata (2020).


D. QUANDO HAI INIZIATO A SCRIVERE?

R. Quindicenne, scrivevo poesie. Più avanti, viaggiando per studio e per lavoro, ho iniziato a scrivere racconti su persone che incontravo o incrociavo soltanto, pezzetti di storie, volti e dialoghi trattenuti in una sorta di fotografia a parole. Col moltiplicarsi dei racconti, mi sono resa conto che la scrittura era un “posto” dove stavo bene, la “room of one’s own” di Virginia Woolf, e mi sono misurata col formato del romanzo, che non ho più lasciato (anche se il mio primo - Dentro c’è una strada per Parigi - rimane ancora una via di mezzo fra il racconto lungo e il romanzo breve). 
Faccio fatica a datare con precisione il momento in cui ho iniziato a scrivere, forse, per il piacere e l’impegno che ci mettevo erano già una forma di scrittura in nuce i biglietti di Natale, i diari delle vacanze, le lettere alle amiche, i temi delle medie... 
Oggi, comunque, posso dire con certezza che la scrittura mi abita e condiziona il modo stesso in cui penso, in cui trattengo certe immagini, certe storie o solo dettagli, e il modo in cui si ricompongono, poi, sulla pagina scritta.  

D. IL TUO ROMANZO “DA SOLO” È TRATTO DA UNA STORIA VERA. 
QUAL È STATO IL MOMENTO PIÙ SIGNIFICATIVO DURANTE IL PROCESSO DI SCRITTURA? 

R. La scrittura di questo libro è stata “fisica”, fatta di scambi con altre persone e di viaggi, in un rimando continuo, e concreto, fra il mondo e la pagina, la realtà, l’immaginazione e la parola. Da solo, infatti, non è stato nato fra me e me, alla scrivania, ma mi ha richiesto di recuperare interviste e contatti di migranti ucraine con cui avevo lavorato agli inizi degli anni 2000 - oltre alla scrittura, mi occupo di asilo politico e migrazioni internazionali – e di viaggiare in Ucraina, nelle terre da dove viene il mio personaggio, attraversando poi il Paese in treno, da ovest a est, come aveva fatto lui nel mettersi in salvo. Dopo aver finito di scrivere il libro, mi sono messa alla sua ricerca, alla ricerca del bambino vero a cui la storia è ispirata. Mi scoraggiava il numero di rifugiati ucraini Europa (otto milioni dichiarati e ventiquattro le persone uscite dal Paese), invece l’ho trovato, a Bratislava, con la sua famiglia. E devo dire che questo incontro, insieme alla visita delle zone di guerra con la gente del posto, sono state emozioni grandissime.

D. TRA LA TRAMA E I TUOI PERSONAGGI, COSA È ESSENZIALE PER TE? PERCHÉ?

R. Senza dubbio i personaggi, sono loro a portare la trama. Inizio spesso a scrivere una storia senza avere un plot ben definito, ma non sarei in grado di buttare giù nemmeno una riga senza avere in testa il protagonista e uno o due altri personaggi principali. 
Ogni personaggio è portatore di filiazioni, relazioni, aspettative e panorami, ognuno ha un suo profilo, un suo movimento, una storia che, incrociata con quella degli altri, suggerisce di per sé la trama o, perlomeno, vi dà la direzione. Capita che non debba nemmeno decidere perché, per come sono, i personaggi condizionano certe scelte, le dettano proprio. La convinzione che l’autore sia un deus ex machina che decide di ucciderli o crescerli, di essere violento o lascivo con loro, folle o amaro, è solo un’illusione. L’autore non è che un prestanome.

D. HAI DELLE ABITUDINI QUANDO SCRIVI? PREDILIGI DEI LUOGHI PARTICOLARI DOVE SCRIVERE?

R. Scrivo a casa, quando la casa è vuota. Pantaloni della tuta e con una finestra accanto. L’occhio che s’allontana aiuta il pensiero.

D. A QUALE SCRITTORE TI SENTI PIÙ VICINA PER GENERE O SCRITTURA?

R. Non so se posso definirmi “vicina”, ma sento di condividere la sensibilità di Alice Munro nella ricerca di una lingua esatta e nella narrazione di vicende dalla quotidianità spiazzante, attraversate da crudeltà e felicità con cui tutti prima o poi ci misuriamo.

D. COSA VORRESTI CHE I TUOI LETTORI SAPESSERO?

R. La scrittura narrativa non mente, non inganna, non accetta compromessi. Richiede ostinazione e fiducia. Abnegazione. Nelle sue vertigini, si nascondono i confini del proprio io, le stanze di una casa, mondi senza fine, misteri che generano altri misteri che si vogliono senza spiegazione né regole immutabili e oggettive, ordine e riposo, frastuono, una foresta di terminazioni nervose, un chiodo fisso, una falda sotterranea... Non è un insegnamento, questo, nessuna spiegazione, solo l’augurio che i lettori sentano tutto ciò nelle pagine di un libro. 

D. QUALI SONO I TUOI PROGETTI PER IL FUTURO? 

R. Intanto, vorrei che il neonato Da solo si facesse strada con la stessa ostinazione e lo stesso coraggio del bambino e della madre di cui racconta. Poi, è già prevista l’uscita di un altro romanzo nel 2026 e una nuova storia mi sta covando in testa. Il mio progetto per il futuro, insomma, è continuare a coltivare questa tensione: l’equilibrio fra la scrittura e tutto il resto.

Ringrazio Novita per la sua disponibilità nel rispondere alle mie domande


In libreria e sugli store online 21 febbraio 2025 Neri Pozza


SINOSSI 

In tempo di guerra cambia ogni cosa, anche per chi non combatte in prima linea: i gesti, le parole, gli sguardi, i sogni non sono più gli stessi. In tempo di guerra ci sono bambini che, nello spazio stretto di una notte, si trasformano in piccoli uomini che devono affrontare e comprendere il mondo da soli. E ci sono madri che, nella speranza di proteggere i loro figli, li lasciano andare condannandosi a vivere con solo mezzo cuore. Questa è la storia di Jarek che, pochi giorni prima dei suoi dieci anni, pochi giorni dopo l’invasione russa dell’Ucraina, attraversa il Paese da solo per cercare rifugio a Bratislava, a migliaia di chilometri da casa. Parte con la destinazione scritta sulla mano e giochi d’immaginazione nella testa, a cui ricorre istintivamente per dare un senso a ciò che senso non ha. Sua madre Hanna lo ha lasciato nella folla di fuggitivi alla stazione di Zaporižžja, restando a casa con Olena, la nonna invalida, e scegliendo per lui un insidioso viaggio nell’ignoto come alternativa al vivere per sempre con l’orrore negli occhi o al diventare un bersaglio. Lo ha portato in stazione con l’inganno e non ha voluto aspettare la partenza del treno. A dimostrazione del fatto che anche gli animi più impauriti possono generare atti di grande coraggio.

COSA NE PENSO

Un libro emotivamente profondo che spacca in due il cuore. L'abbandono visto da occhi diversi. Addii non pronunciati,anime ferite e occhi che si cercano ma non si trovano.
Sono 3 i personaggi principali della storia, Jarek un bambino di appena dieci anni,sua madre Hanna, e la nonna di Jarek, Olena.
La forza dell' amore raccontata con quella sensibilità dovuta alle vittime della guerra in Ucraina, toglie il respiro ogni volta che il racconto va avanti e procede senza interruzioni perché una pagina tira l'altra in quel susseguirsi di curiosità vissuta nel dolore.
L'orrore della guerra,la sola idea di una madre che tenta di proteggere e di salvare suo figlio lascia sgomenti chiunque. Leggere questo libro è molto importante perché ci mette davanti alla realtà, che accade proprio nella porta accanto.

«Rieccoli,i miei pensieri senza capo né coda e l'impossibilità maledetta di parlare a Jarek come ho sempre fatto,con misura e giudizio,ma schiettamente. Più me lo riprometto, più mi sento confusa. Eppure,la scelta da prendere è semplice: restare o partire...»

In conclusione, a fine lettera, si ha una percezione diversa di come eravamo all'inizio lettura, tutto cambia dentro di noi, e niente sarà più come prima, un libro che ci scuote fin dentro le viscere.
Dire che si tratta di un bel libro sarebbe scontato è molto di più. L'unico consiglio che io vi possa dare è leggetelo,leggetelo,leggetelo.
Buona lettura!

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18 marzo 2025

L'URLO DEI GATTOPARDI – LIANA ZIMMARDI, TRA STORIA E PASSIONE.







Cari lettori,

L'ospite di oggi è Liana Zimmardi.
Nata a Palermo, città dove vive con il marito e due figli. Si è laureata in Economia e Commercio ed esercita la professione di commercialista, ma sin da bambina la sua più grande passione sono la letteratura e la storia. È autrice di romanzi e saghe storiche pubblicati in self-publishing, L'urlo dei Gattopardi segna il suo esordio in tutte le librerie italiane.


D. CHI È LIANA?

R. Sono una persona tranquilla, ordinata e metodica, con una buona dose di vivacità che spero non mi renda noiosa. Mi piace circondarmi di persone esuberanti e brillanti, purché non siano mai arroganti o aggressive. Le cose che amo di più al mondo sono il cioccolato, i libri e la mia famiglia, non necessariamente in quest’ordine. 
Sin da bambina sono stata una discreta divoratrice di romanzi di ogni genere, spaziando da quelli d’amore alla fantascienza, dagli storici, all’avventura fino ai grandi classici. Ho la fortuna di provenire da una famiglia serena e di averne costruita una altrettanto stabile e amorevole. Circondata dall’affetto, ho potuto coltivare la mia grande passione per la lettura e, grazie al costante sostegno di mio marito, negli ultimi anni ho potuto dedicarmi a una nuova passione: la scrittura. 
Nella vita sono mamma di due splendidi ragazzi, il mio orgoglio e la mia gioia; sono moglie di un collega commercialista, la mia forza e il mio grande amore, con cui condivido vita e lavoro; infine, sono autrice di romanzi sentimentali storici, in netto contrasto con la mia laurea in Economia e Commercio. Credo che quest’ultima rappresenti il lato concreto dalla mia personalità, mentre i libri ne incarnino quello sognatore.

D. COME E QUANDO NASCE LA TUA PASSIONE PER LA SCRITTURA?

R. Non dirò che scrivo da quando ero bambina perché non sarebbe vero. Anzi, fino al 2020 non avevo scritto altro che i temi a scuola. Nei mesi precedenti al lockdown ho attraversato un momento difficile, di apatia e paura. Ero profondamente scossa dalla perdita di un’amica e dalla morte di una bambina, compagna di classe di mio figlio. Poi iniziarono ad arrivare le terribili immagini dalla Cina, che aggiungevano nuovo terrore al mio animo provato, mentre attorno a me percepivo una grande indifferenza al problema. 
Sentivo il bisogno di evadere, ma non trovavo ristoro neanche nella lettura, nulla riusciva a soddisfarmi. Così decisi di scrivere la storia che avrei voluto leggere. Mi resi conto che era un’esperienza terapeutica. Il mio animo si rasserenava e riuscivo a vincere le mie paure. Quando ci chiusero in casa, avevo già completato la prima bozza del mio romanzo. Era terribile, perché non avevo alcuna conoscenza delle tecniche di scrittura, ma avevo dimostrato a me stessa di saper orchestrare una trama e portarla a termine. 
Approfittai del lockdown per studiare e revisionare il libro, affinché raggiungesse una forma più dignitosa. Al contrario di quello che successe a molti, in quel periodo ho trovato la liberazione. Tutte le persone che amavo erano al sicuro in casa e, in più, avevo scoperto un mondo, quello della scrittura, che mi affascinava e mi donava nuova stabilità.

D. IN QUALE MOMENTO DELLA GIORNATA PREFERISCI SCRIVERE?

R. Il momento migliore per me è l’ora di pranzo. Preparo da mangiare per i miei ragazzi, poi li lascio a tavola e mi ritiro in salotto per dedicarmi alla scrittura per almeno un’ora e mezza, senza interruzioni. La sera, di solito mi concedo una mezz’ora per rileggere e sistemare ciò che ho scritto durante il giorno, ma senza attardarmi troppo, perché quello è anche il momento che considero sacro per leggere i libri degli altri, di cui sono sempre avida.

D. DOVENDO RIASSUMERE IN POCHE RIGHE IL SENSO DEL TUO ROMANZO, L’URLO DEI GATTOPARDI, COSA DIRESTI?

R. Era il 12 gennaio del 1848 e i siciliani decisero di fare la festa al re. Infatti era il compleanno di Ferdinando di Borbone e un gruppo di nobili e borghesi siciliani, che tramavano da tempo contro l’odiato despota, la festa la fecero davvero. Ma chi erano? 
Per noi sono solo nomi di vie o di piazze, di larghi e di vicoli. Sono nomi e soprannomi, nomi storpiati e dimenticati. Già, dimenticati… Dicevo, era il 12 gennaio del 1848. Era il giorno del compleanno di un re molto odiato. Così, scoppiò una rivoluzione, che nei mesi successivi si propagò al resto d’Europa, dando il via alla Primavera dei popoli. 
Ruggero Settimo, Rosolino Pilo, Giuseppe La Masa, Giuseppe La Farina, Emerico Amari, Francesco Crispi e tanti altri comprese le donne siciliane, fervide patriote e poetesse che, oltre a battersi per la libertà, si battevano già per quello che nel resto del mondo solo parecchi anni dopo sarebbe diventato il femminismo. 
Eppure oggi sono solo piazze e vie, ma un tempo furono i Gattopardi che urlarono la loro libertà. 
Il mio romanzo vuole ricordarli e omaggiarli, e lo fa attraverso una storia d’amore che tra intrighi e tradimenti ci trasporterà nella Palermo dell’Ottocento.

D. UNA SCENA DEL TUO LIBRO CHE TI PIACE PARTICOLARMENTE?

R. È ambientata nella cripta delle Repentite, un luogo avvolto nel mistero, che ho potuto visitare solo di recente. Un tempo era la sepoltura delle monache, ex prostitute, di un convento ormai scomparso. Quando sono scesa nella cripta, ho avuto la sensazione di vedere i miei protagonisti prendere vita, fronteggiandosi nel duro scontro che avevo descritto. È stato emozionante.

D. UN LIBRO CHE NON TI STANCHERAI MAI DI RILEGGERE?

R. Orgoglio e pregiudizio, primo fra tutti, che ho già letto quattro volte e che medito di rileggere per la quinta. Anche Ragione e sentimento, letto tre volte, ed Emma, solo due, meriterebbero nuove attenzioni. E poi, ce ne sarebbero tanti altri: tutta la saga de Il cavaliere d’inverno, che ho letto solo un paio di volte, i libri di Natoli e, perché no, i simpaticissimi Bridgerton. 

D. QUALI SONO I TUOI PROGETTI PER IL FUTURO? 

R. Nella mia mente le storie nascono e si rincorrono velocissime, molto più di quanto io riesca a scriverle, quindi di progetti non me ne mancano. Al momento sto terminando il mio primo romanzo medievale, che, tra l’altro, è anche la prima storia vera che racconto… o quasi, perché la sto romanzando parecchio. Poi devo revisionare altri due libri scritti tempo fa, che necessitano di qualche cura, e rimettere mano a una novella che ho trascurato. Insomma, tanto lavoro!


Ringrazio Liana per la sua disponibilità nel rispondere alle mie domande


In libreria e sugli store online dal 29 gennaio 2025 Giunti Editore


SINOSSI 

Palermo, autunno 1847. In città l’aria è incandescente: il popolo sta tramando contro i Borboni, e la rivolta è ormai incombente. La marchesina Isabella di Cabrera arriva da Messina carica di speranze e aspettative. Nonostante alla sua famiglia interessi solo che combini un buon matrimonio, lei freme per entrare nei salotti bene e convincere gli intellettuali che l’insurrezione deve servire anche a difendere i diritti delle donne. George Seymour ha lasciato Londra per amministrare le proprietà di famiglia in Sicilia, e adesso è inebriato dalla vitalità, dai profumi, dalla magia di quella terra. Stringe una profonda amicizia con i fratelli Alberto e Leonardo de Martini, che lo introducono alla nobiltà cittadina e agli ideali dei ribelli. George sposa la causa e si lascia travolgere dalla passione per la locandiera Cettina, verace e ardente. Quando però conosce Isabella, amata anche da Alberto, capisce che quella ragazza colta, intelligente e indocile cambierà per sempre il suo destino. Mentre i due si dibattono fra i rimorsi verso Alberto e la nascita di un sentimento ormai impossibile da reprimere, esplodono i moti, travolgendo i destini di tutti i protagonisti nell’inesorabile avanzare della Storia.


COSA NE PENSO

Ho finito di leggere o meglio di "divorare L'urlo dei Gattopardi" in appena ventiquattrore.
Un romanzo a dir poco sublime, scritto con una tale grazia e dialettica perfetta, che si legge tutto d'un fiato. 
Storie e vite che si intrecciano quelle di George, Alberto, Isabella, e Cettina, dei "cuori ribelli" impavidi e innamorati della vita come della rivoluzione che insorge a Palermo. Isabella la si ama da subito, forte e determinata com'è, esattamente come lo scanzonato e contradditorio George, l'uomo dalle azioni sconsiderate. Cettina è l'antagonista perfetta, perché esprime l'idea dell' amore nella sua più reale grandezza in quel vortice di perdizione tra gelosia e orgoglio.
Per quanto concerne, Alberto, bè, un personaggio ben costruito, vendicativo quanto basta, uno che non ti aspetti, ma che poi ti porta a farti cambiare opinione su di lui, come spesso accade anche nella vita di tutti noi ogni giorno. 
Tutti personaggi convincenti che non stancano mai di stupire nello sfondo delle tristi vicende della rivoluzione Siciliana conosciuta anche come la "Primavera dei popoli" del  1848 quando molti palermitani si radunarono per le vie della città, dove nei giorni precedenti erano stati diffusi manifesti che incitavano alla rivoluzione guidata da dei nomi che poi hanno fatto la storia della Sicilia: Ruggero Settimo, Emerico Amari, Mariano Stabile, Rosolino Pilo, Giuseppe La Masa, Francesco Crispi, Giuseppe La Farina e tanti altri. Ma l'aspetto più interessante sta nel ricordare le figure femminili che hanno fatto la storia, dando voce a tutte le donne oppresse dal dominio Borbonico. Giuseppina Turrisi Colonna spesso citata nel libro, che per prima parlò di dignità conforme anticipando di oltre vent'anni il saggio sull' assoggettazione delle donne di John Stuart Mill. Insieme ad altre donne, dalla Principessa di Butera e la scrittrice Rosina Muzio Salvo fondatrici della "Legione delle pie sorelle". 

«Questa non sarà una rivolta ma una vera rivoluzione,e i Borboni non avranno scampo. Non staremo più a guardare un sovrano che affama il suo popolo e lo tiene nell' ignoranza e nella miseria.»

In conclusione, "L'urlo dei Gattopardi" un romanzo storico e d'amore super consigliato!

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09 marzo 2025

INTERVISTA A MARIA COSTANZA BOLDRINI AUTRICE DEL LIBRO: GLI ANNI DELL' ABBONDANZA



Cari lettori,

Ben ritrovati! L'ospite di questa nuova intervista è Maria Costanza Boldrini. 
Maria Costanza è laureata in Lingue e specializzata in Giornalismo. Vive in Francia, dove lavora come traduttrice freelance e redattrice per Una parola al giorno, sito di approfondimento linguistico ed etimologico. Gli anni dell’abbondanza è il suo romanzo d’esordio.

D. MARIA COSTANZA, COM'È NATA LA SUA PASSIONE PER LA SCRITTURA? 

R. La passione per la scrittura è nata da quella per la lettura. Le due cose sono andate di pari passo. Il primo libro che mi catturò, da bambina, fu Pippi Calzelunghe, scritto da Astrid Lindgren. Ricordo di aver pensato che essere capace di costruire una storia così era un vero prodigio, una meraviglia, e di aver desiderato intensamente, dal profondo del cuore, di poter diventare autrice di una tale prodezza. Ricordo di aver provato a scrivere un romanzo giallo in terza elementare, ma non avevo capito il principio del poliziesco, per cui mi ero messa a raccontare la vita dell’assassino. Rileggendo mi resi conto che qualcosa non quadrava, quindi sono passata a scrivere commedie e tragedie teatrali, spinta soprattutto dall'altra mia grande passione, quella per la recitazione. Amavo creare personaggi che, nel mio spirito infantile, consideravo ‘shakespeariani’. In realtà erano macchiette, nullità, e purtuttavia hanno costituito delle prove generali molto utili per lo sviluppo delle mie capacità inventive che si sono consolidate più tardi.

D. DOVENDO RIASSUMERE IN POCHE RIGHE IL SENSO DEL SUO ROMANZO, “GLI ANNI DELL' ABBONDANZA”, COSA DIREBBE?

R. È un romanzo sul talento e le capacità che ci sono proprie, sul saperlo riconoscere, accettare, amare e mettere a frutto con umiltà e dignità. È un romanzo sullo scorrere della vita, coi suoi duri colpi, e sulla Storia, che ha investito le vite di tutti in modi molto diversi. È anche un romanzo di fede, speranza, in cui ho voluto affrontare, in maniera sicuramente troppo superficiale per l'enormità del tema, anche l'argomento del peccato. Il peccato, l’esistenza e la giustificazione del male sono materie che negli anni hanno preso sempre più spazio nelle mie riflessioni.

D. C'È UN EPISODIO IN PARTICOLARE CHE L' HA ISPIRATA PER QUESTA STORIA? 

R. I racconti della mia bisnonna e di mio nonno che, di fatto, si trovano tutti nel testo. Soprattutto il racconto dell'infanzia atroce del mio trisnonno.

D. CON QUALI COLORI DESCRIVEREBBE I PERSONAGGI?

R. Beata è color tabacco, per ovvi motivi. Ettore è ceruleo. Clarice un lavanda con accenni purpurei. Emilio il giallo dell'alba. Antonia è il pallido avorio, Ernesto è il blu di una tuta da lavoro.

D. ESISTE UN LIBRO CHE HA AVUTO UNA GRANDE INFLUENZA NELLA SUA VITA?

R. Come ho scritto nella postfazione, ‘Cent’anni di solitudine’ di Gabriel Garcia Marquez mi folgorò. Avevo dodici anni quando lo lessi, ne rimasi completamente abbacinata.

D. C'È QUALCOS'ALTRO CHE VUOLE AGGIUNGERE.. CHE  VORREBBE DIRE AI SUOI LETTORI?

R. Certe storie hanno bisogno di narrazioni più pacate, le cui corde vibrino al ritmo di parole antiche e senza sentimentalismi a buon mercato. Credo che ‘Gli anni dell'abbondanza’ sia tra queste. Il lessico è stato scelto con cura per dei motivi precisi, non c'è niente di forzato. Eleggere con attenzione le parole che si usano è un gesto di cura per la storia ma anche per il lettore e non deve essere liquidato come un vezzo dello scrittore. La lingua possiede parole precise per cose precise. Vanno usate, perché permettono di salvare le sfumature, i semitoni. Non può essere tutto estremo e superlativo. Paradossalmente, con questa esasperazione del grado massimo che ha pervaso la lingua e l'espressività contemporanea, si tende ad appiattire tutto su un unico livello omogeneo. Distinguere le intensità e restituire al medio, al tiepido, al moderato i loro giusti posti nella sensibilità dei lettori è a mio avviso fondamentale.

D. PROGETTI PER IL FUTURO E SOGNI?

R. Continuare a scrivere, con cura, amore, passione, e poterne vivere dignitosamente.

Desidero ringraziare Maria Costanza per aver risposto alle mie domande.



In libreria e sugli store online dal 10 gennaio 2025 Nord Editore


SINOSSI

In un piccolo paese dell'Italia del '900, vive un'umile famiglia come tante. Eppure le sue donne hanno un dono speciale. I Contini sono una famiglia come tante, lì a Valchiara, un piccolo paese del centro Italia affacciato sul mare. Benvoluti e gran lavoratori, conducono un'esistenza povera ma dignitosa. Poi qualcosa cambia quando la giovane Beata, a dispetto delle proteste della madre, decide di farsi assumere alla Regia Fabbrica dei Sigari. Perché un misterioso miracolo si produce in lei: è la sua abbondanza, un dono che la rende la beniamina delle colleghe zigarare e il bersaglio dell'occhiuto sospetto dei controllori della fabbrica. E dopo di lei anche sua figlia Clarice e la nipote Antonia saranno benedette e maledette da questo prodigio, ciascuna a modo suo. Tuttavia l'abbondanza non è per sempre, può sparire da un momento all'altro a causa di un grande dolore. E di dolori ne vivranno tanti, Beata, Clarice e Antonia, vittime della violenza della Storia ma capaci di affrontare e superare ogni difficoltà, anche grazie a un'altra benedizione, l'amore puro e incondizionato dei loro adorati mariti.

COSA NE PENSO

Per essere un romanzo d'esordio è stato proprio una bella scoperta, sotto tanti punti di vista.
Iniziando dalla scrittura semplice e realistica.
Un romanzo scritto meravigliosamente, che mette in luce le caratteristiche della natura umana dei personaggi.
Ho amato ognuno di loro dalla zia Miranda ad Assunta, Enrico solo per citarne alcuni.
“L'abbondanza” arriva in Beata, in Clarice, e in Antonia, in modalità e in tempi differenti e fa appello a tutta la loro forza interiore, una litania impercettibile ma potente, fondamentale per la loro sopravvivenza, e per quella dell'intera comunità in cui vivono,tra magia e superstizione, gioie e dolori, “l'abbondanza” si rivelerà in un certo qual senso un' amica fedele per ognuna di loro tre. 

«Da sempre prestava orecchio agli oggetti che le bisbigliavano storie, e in silenzio assorbiva quelle narrazioni..»

A lettura ultimata ho subito pensato che Maria Costanza Boldrini possa rivelarsi ben presto, una tra le più grandi voce letterarie contemporane per stile e originalità.
In conclusione, si tratta di un racconto collettivo che ha influenzato l'intera società del nostro paese nel tempo. 
Consigliatissimo. Buona lettura!

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05 marzo 2025

IL RACCONTO DI SÉ NELLA VOCE DI CHIARA BONI




E' un'onore, oltre che un piacere ospitare nel mio blog una delle più note stiliste italiane nel mondo, Chiara Boni, creatrice del marchio Chiara Boni (La Petite Robe). Ha anche disegnato costumi teatrali e lavorato con i più grandi fotografi. Appassionata di arte, ha sempre considerato la moda come libera forma di espressione.
Ha collaborato in qualità di conduttrice ed autrice alla produzione de Il Dilemma, programma di Giovanni Minoli, al fianco dell'ex marito Vittorio Maschietto.Cura una rubrica all'interno del rotocalco televisivo Domenica In, nelle edizioni curate da Gianni Boncompagni. Nell'autunno 2006 partecipa come concorrente alla terza edizione del talent show di Rai Uno Ballando con le stelle, condotta da Milly Carlucci, al fianco del ballerino professionista Samuel Peron: il duo Boni-Peron ottiene il dodicesimo posto, su 14 coppie in gara. È stata assessore alla Comunicazione e Informazione della Regione Toscana.
Nel 2023 pubblica per Baldini+Castoldi la sua autobiografia Io che nasco immaginaria a cura di Fedi Daniela milanese, città in cui vive quando non è in giro per seguire moda, bellezza, società e costume. Ne scrive dal 1980. E adora farlo.

D. CHIARA COME NASCE “IO CHE NASCO IMMAGINARIA?

R. Nasce perché casualmente un giorno raccontavo un pezzo di vita alla mia amica Elisabetta Sgarbi e lei ha deciso che doveva diventare un libro. Ha considerato la mia vita un attraversamento di un pezzo di storia del nostro paese, visto non soltanto attraverso l’occhio della moda.

D. CHE COSA TI FA STARE BENE?

R. Mi fanno stare bene le cose che amo.

D. HAI UNA FRASE PREFERITA,CHE TI RIPETI SPESSO?

R. Assolutamente non ho nessuna frase preferita che mi ripeto spesso, l’unica costante della mia vita ma che non ho bisogno di ripetere a me stessa è di raggiungere i miei obiettivi. 

D. COM'È CAMBIATA LA MODA DAI TUOI INIZI?

R. La moda dagli anni 70 ad oggi ha avuto moltissime rivoluzioni e fasi diverse che hanno sempre un po’ rispecchiato i cambiamenti della società. Ho scritto anche nel mio libro che la moda è un bel buco nella serratura per capire certi momenti storici. Oggi tende un po’ a ripetersi, non vedo attorno a me degli stili così precisi, se non i pantaloni portati anche da tutte le donne e i piumini d’oca.

D. COSA SIGNIFICA OGGI FEMMINILITÀ?

R. Per me la femminilità è sempre la stessa una cosa molto sottile e molto percepibile perché la gente si volta anche se sei vestita con un saio.

D. DI TUTTI I RICONOSCIMENTI CHE HAI RICEVUTO, QUALE TI HA RESO PIÙ FELICE?

R. Forse dico una cosa ovvia, ma ovviamente la nomina di Cavaliere del Lavoro ricevuta dalle mani del Presidente Mattarella mi ha molto commossa e resa anche fiera.

D. CHE LIBRO HAI SUL COMODINO?

R. Dipende dai periodi. In questo momento ho Processi (su Franz Kafka) di Elias Canetti.

D. QUALI SONO I TUOI PROGETTI PER IL FUTURO?

R. Talmente tanti e confusi in questo momento che non saprei da che parte cominciare. Ve ne racconto solo uno: a giugno sto organizzando una sfilata con “Corri la Vita” nel salone del 500 a Palazzo Strozzi con vestiti di archivio di grandissimi stilisti. 


Desidero ringraziare Chiara per aver risposto alle mie domande


In libreria e sugli store online dal 21 novembre 2023 Baldini+Castoldi

SINOSSI

A Chiara le donne piacciono davvero quando sanno fare squadra.» Non è l'incipit della storia di questa donna eclettica e resiliente, ma le donne, di certo, occupano un posto importante nella vita della stilista toscana. Le amiche sono al suo fianco sin dall'inizio, quando seguiva la mamma in sartoria a Firenze, dove quest'ultima provava modelli e lei, bambina, già imparava i trucchi del mestiere. Poi nella stagione dei balli, o quando Chiara, appena diciottenne, parte per Londra, la città che le insegna a vestirsi libera da qualsiasi condizionamento. Anni dopo, in Italia, l'incontro con Titti, il suo primo marito, la politica, un figlio. Le prime «cose» create e vendute, l'avanguardia architettonica degli UFO - di cui Titti era ideatore - l'influenza dell'arte, del cinema, della musica. E poi la Milano degli anni Ottanta, quando è una giovane donna separata alle prese con una carriera in ascesa. La sperimentazione con il Collettivo Moda Nostra e il successo che arriva quando il suo marchio entra nel GFT, il Gruppo Finanziario Tessile, e lei sceglie di usare un unico tessuto, un jersey elastico, e un unico colore, il nero. Nasce così la sua petite robe, un abito adatto a tutte, che si può ripiegare in una bustina e che rappresenta la sua concezione della moda e della bellezza: un vestito che possa farsi interpretare da ogni corpo, dando a ogni donna la possibilità di esprimersi. Tante persone attraversano la sua vita privata e lavorativa, e amori appassionati - da Cesare Romiti ad Angelo Rovati, a Fabrizio Rindi. E, ancora, il sogno americano, con lo sbarco negli Stati Uniti, seguendo un itinerario funambolico di Stato in Stato, e una vita che mai si ferma, riservandole anche prove dolorose. Questa autobiografia, scritta con Daniela Fedi, si snoda parallela al racconto di un'Italia che cresce e cambia nelle vicissitudini politiche, negli scontri generazionali, nella trasformazione dei costumi. Chiara Boni si svela come donna e come stilista, lasciando che le pieghe più intime del proprio vissuto esprimano sempre un'idea della moda che da quel vissuto origina, rilanciandone un invincibile senso di gioiosa libertà. 


Caterina Lucido

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14 febbraio 2025

TRA MUSICA E PENSIERO. CONVERSAZIONE CON GIORGIO DE MARTINO.


Buongiorno miei cari amici lettori,

L'ospite di questa nuova intervista è Giorgio De Martino. 
Giorgio è uno scrittore e pianista. La sua firma è comparsa continuativamente sul quotidiano
“Il Secolo XIX” per oltre vent’anni. Per la Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova, dal 1993 al 2018, ha tenuto centinaia di conferenze. 
Ha pubblicato saggi e volumi di narrativa. Tra i suoi ultimi libri, La gloria e la prova (Baldini+Castoldi, 2022, scritto con Totò Cascio) e Andrea Bocelli – Essergli accanto (Gruppo Albatros Il Filo, 2023).

 

D. CHI È GIORGIO?

R. I primi trent’anni, era un ragazzo irrequieto e con una dote speciale nel dissipare ogni proprio talento. Il guaio è che sulla carta si dovrebbe dismettere l’infanzia intorno ai diciotto anni, mentre nel mio caso, per la mole di disvalori e di sciocchezze di cui la mia generazione (e temo quelle successive) si è cibata (io, in prima fila), pervenire all’età adulta è un traguardo che rischia di non essere conquistato. Ed è tragico, perché i bambini-adulti hanno solo bisogni e sono, in una parola, il flagello dell’umanità. Nei miei secondi trent’anni ho cercato di mettere ordine (e di fare esperienza di un’esistenza non filiale ma adulta e per quanto possibile responsabile, meno nevrotica, meno narcisistica). Ho trovato – all’altro lato del mondo – la mia compagna per la vita, ho messo da parte uno strumento pericoloso che frequentavo quasi professionalmente (il pianoforte), ho messo da parte un’attività che ritengo disonorevole (critico musicale per un noto quotidiano) e nella collaborazione con un celebre cantante – sia lirico che pop – ho trovato il mio posto sulla terra e anche un modo di pagare le bollette. Quanto al cielo, ho i voli che mi permette la scrittura, ho un figlio più intelligente di me e pure una cagnetta “diversamente intelligente”, da portare a fare pipì.

D. QUANDO HAI COMINCIATO A SCRIVERE E PERCHÉ? 

R. Scrivo da quando ero bambino. Alternavo la parola e la musica, forse perché mi trovavo tanto a disagio nel contesto borghese obiettivamente scialbo in cui sono cresciuto. Diciamo che per ribellarmi, avevo le armi ma disgraziatamente non le pallottole. Ho scritto al liceo, ho scritto sui giornali (il primo a cui ho collaborato era “L’eco di Genova” e avevo forse 17 anni), su riviste specializzate musicali, ho scritto libri e magazine vari. In particolare mi sono trovato a “volere” – dapprima inconsciamente, poi consciamente – occuparmi delle vite degli altri, scrivendone. Forse per pudore ho messo da parte la mia (e altre di fantasia, che sono sempre la mia, riflessa). Mi piacerebbe poter dire che scrivo per me. In realtà no, sono ancora nella fase in cui dipendo emotivamente dal fatto che persone che non conosco e che se conoscessi magari non stimerei, sfoglino o meno il mio libro distrattamente (o se ne innamorino, è uguale). Mentre una parte di me capisce che non c’è aspettativa più stupida, e che si scrive solo ed unicamente per se stessi (ai miei tempi senza accento, adesso con l’accento pure se è seguito da stessi). Si scrive per fare un po’ di conversazione con lo status d’essere in vita, prima di sparire. Da quattro anni ho un agente che (quando ha tempo) si occupa della selezione dell’editore. Come libero battitore ho pubblicato anche per case “di prima fascia”, come De Agostini, Mondadori e Sperling & Kupfer (collaborando a due progetti realizzati insieme al M° Bocelli), poi attraverso l’agenzia ho scritto per Baldini + Castoldi e per il Gruppo Albatros il Filo.

D. DOVENDO RIASSUMERE IN POCHE RIGHE IL SENSO DEL TUO NUOVO LIBRO ARIRANG, COSA DIRESTI?

R. “Arirang” è il nome del brano musicale più popolare e antico della tradizione coreana. Ed è un termine intraducibile, legato comunque ad una sofferenza, a un dolore spirituale che diventa fisico. Titolando il libro “Arirang” ho voluto omaggiare questo straordinario popolo, le cui tradizioni e la cui visione della vita ho cercato di raccontare. Ed anche perché la musica – sia popolare, sia classica – percorre molte pagine di questo romanzo. Si tratta di un progetto che covavo da oltre un ventennio. Anzi, proprio vent’anni fa iniziai a scriverne una trentina di cartelle. Il libro corre su un doppio binario: da un lato c’è il filo rosso della storia di una giovane vita, quella di Soo Jung, cantante lirica, narrata in prima persona, dalla prima infanzia fino all’età adulta, dall’altro ho cercato di offrire uno spaccato della cultura e degli usi di un paese, la Repubblica di Corea, che frequento da un quarto di secolo e che oggi desta un interesse esponenzialmente crescente, anche in Italia. La “prima vita” della protagonista è quella vissuta in una nazione ancora sotto un malcelato regime militare e con i postumi di una frattura lacerante che, a seguito appunto della Guerra di Corea, ha separato violentemente nord e sud della penisola. La sua infanzia si muove in una realtà – gli anni ’70 e ’80 – che ai nostri occhi pare quasi ottocentesca. Ma sono anni cruciali in cui il Paese del calmo mattino, pur se sfibrato da decenni di conquista giapponese e poi dalla guerra, ha la forza di rialzarsi e di crescere fino a diventare una delle tigri asiatiche.

D. CON QUALI COLORI DESCRIVERESTI I PERSONAGGI?

R. Il bianco, colore del lutto per gli orientali? Il rosa pastello dei ciliegi in fiore (perché: non solo in Giappone!)? Il nero delle foto monocromatiche degli anni ’70? Il beige traslucido della fibra di carta di riso facente funzione dei vetri nelle case tradizionali, ancora negli anni ’80? Anche questo, ma purtroppo nulla di tutto questo… Penso che nel caso di “Arirang” i colori siano quelli, estremamente variopinti e per ciascuno diversi, delle emozioni nel seguire una storia, una vita, e con essa la cultura di un paese. Ma se entro nei dettagli, cercando soluzioni ad effetto, replicherei con delle sciocchezze e renderei banale, senza appello, certo la risposta, e forse pure la domanda. 

D. PARLACI DELLE INFLUENZE LETTERARIE CHE HAI AVUTO, DEGLI SCRITTORI CHE AMI.

R. Sono un lettore discontinuo, spesso leggo più libri contemporaneamente, usufruendo parallelamente anche di audiolibri. Non ho modelli. Posso dire ciò che di recente ho apprezzato: “L’età fragile” di Donatella Pietrantonio, la “Trilogia della pianura”di Kent Haruf, molti titoli di Cormac. E poi, “Il libro dell’inquietudine” di Pessoa e “L’uomo senza qualità” di Musil, che sono aperti sul comodino e procedono di pari passo, insieme al libro “La gioia di scrivere” che contiene tutte le poesie di Wislawa Szymborska (in questo caso, di solito apro una pagina a caso). Ho ripreso da poco “La danza della realtà” di Alejandro Jodorowsky (genio che sono orgoglioso di avere incontrato, tanti anni fa) e sto leggendo un bel libro – “Compagno don Mario” – di un caro amico che oltre ad essere scrittore è un rinomatissimo oculista e chirurgo, Andrea Marabotti. Mi piace infine ricordare “Anam Cara” di John-O-Donohue, perché è un libro che da molti anni periodicamente rileggo. 

D. QUALE È IL MESSAGGIO CHE VORRESTI TRASMETTERE AI LETTORI CHE HANNO LETTO O LEGGERANNO IL TUO ROMANZO?

R. La Corea del sud è molto di più, rispetto a ciò che filtra (anche in Italia) attraverso il suo cinema, pur di gran pregio, le sue astute e ben congeniate serie televisive, la musica divertente e seducente del K-Pop che sforna “Lolite” e “Loliti” (sempre meno sessuati) che ballano e cantano canzoncine carine… La Corea ha una propria cultura di gran peso, seppure pare sia stata sepolta per decenni dal consumismo sfrenato importato dagli Stati Uniti e dal Cristianesimo che ha fatto, del luogo, terra di conquista, soprattutto a partire dal primo Novecento. Credo sia una nazione da scoprire, al di là dei suoi cosmetici, dei suoi cellulari e anche della macchina formidabile dello showbusiness che è in grado di montare. È un paese bello e poetico, fatto di persone che amano la poesia ed il canto (anche quello lirico), fatto di splendide tradizioni millenarie e di una filosofia da cui si può imparare molto. Parente (come tutto l’oriente) della Cina, la Corea ne è allo stesso tempo lontanissima. La terra del re Tan’gun, dei regni di Koguryô, Paekche e Silla, la stirpe dei pronipoti Altai dei mongoli, dei principi degli Urali, è molto altro. Il messaggio del libro è quello che riporto nelle ultime parole del libro. Eccole: “Al Paese del calmo mattino devo quasi tutto, perché ha generato colei che è la protagonista di questo romanzo e della parte migliore della mia vita. A questa straordinaria terra che è la Corea, auguro che la Storia restituisca l’originaria unità. Spero inoltre che tra i suoi abitanti si faccia strada una coscienza sempre più capillarmente salda e diffusa dello splendore, irrinunciabile e innegoziabile, delle proprie radici, storiche e culturali”.

D. PROGETTI PER IL FUTURO?

R. Cerco di silenziare il fanciullo, che tuttora ogni tanto s’insinua e programma vite in altri continenti e nuovi mestieri. Mentre, entro il 2025, vorrei pubblicare una raccolta di racconti che ho quasi terminato. Sono talmente belli che temo non siano pubblicabili (infatti stavo pensando di dare alla raccolta un titolo ad effetto… Tipo “Viva la mafia” o “Manuale di coprofagia” così gli editori potrebbero fiutare qualche soldo e interessarsi). Sempre quest’anno sarà pubblicata una versione ampliata del libro “Andrea Bocelli: Essergli accanto”, la biografia più completa del celebre artista (col quale collaboro ormai da quasi vent’anni). In programma, incrociando le dita, anche l’edizione in lingua inglese. Però, considerando gli anni che ho compiuto non da molto, rispondo citando un breve passaggio da “Arirang” che potrebbe riguardarmi: “In epoca Koryō, fino al quattordicesimo secolo, nei rari casi in cui un padre avesse raggiunto l’età veneranda dei sessant’anni, il primogenito lo accompagnava verso la morte in un rito di sepoltura chiamato Koryŏjang. Lo trasportava sulla schiena fino a una collina dove era stato innalzato un loculo. Al suo interno il genitore era murato, tranne una piccola breccia da cui era nutrito per qualche tempo. Quando si aveva ragionevole certezza della sua morte, la tomba veniva sigillata». Ecco.  

Ringrazio Giorgio per aver risposto alle mie domande.



In libreria e sugli store online dal 11 settembre 2024  Gruppo Albatros Il Filo

SINOSSI 

“Arirang” è molto più di una canzone. 
È un simbolo intriso di storia e cultura coreana, un inno che racchiude tra le sue note l'anima di un intero popolo. Interpretata da innumerevoli artisti, i suoi toni struggenti e pieni di passione hanno il potere di toccare il cuore, evocando ricordi di gioia e sofferenza, di amore e nostalgia. La sua melodia diventa il filo conduttore della vita di Soo Jung, una giovane nata a Seoul e che il destino, dopo lunghe sofferenze, ha portato in Italia. La sua vita è un ponte tra due culture, un continuo viaggio tra il passato e il presente: la narrazione ci accompagna attraverso la sua infanzia in Corea, tra leggende e tradizioni, fino alla scoperta della musica lirica, che diventerà la sua passione e la sua carriera. 
Attraverso la voce di Soo Jung, scopriamo una Seoul in trasformazione, sospesa tra modernità e tradizione, e un'Italia vista con gli occhi di una straniera, che riesce a coglierne le sfumature più nascoste. La prosa di Giorgio De Martino intreccia descrizioni evocative, profonde riflessioni e momenti di intensa emozione, toccando le corde più intime e personali della protagonista. Un romanzo che attraversa i confini, un viaggio tra Oriente e Occidente, tra passato e futuro.

COSA NE PENSO

L'inizio è abbastanza confusionale dal mio punto di vista e ciò crea solo confusione in chi legge.
Perché De Martino prima di iniziare a narrare la storia vera e propria della sua protagonista, Soo Jung preferisce focalizzarsi di più sull'origine della parola coreana “Arirang”,  nonostante questo termine abbia un origine poetica e al contempo musicale, si rivela una scelta indubbiamente ardua per un romanzo che volge verso un' altra direzione.
Quando il libro entra nel vivo nella storia tutto cambia, il ritmo si addolcisce la penna di De Martino assume un tono quasi paterno, intimo.
Attraverso la voce di Soo Jung, conosciamo una Seoul che muta insieme alle stagioni della vita tra tradizione e modernità.
Una figlia che ama e perdona. 
Un infanzia segnata dalla povertà, le parole mai dette a quel padre assente, ma soprattutto una figlia consapevole del fatto che nulla potrà restituirle gli anni perduti. 
In conclusione, i capitoli sono molto brevi e ben strutturati. De Martino ha saputo trasformare il dolore in poesia. Arirang, vuole essere una bussola per il lettore. Consigliato. Buona lettura!

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05 febbraio 2025

NEL LABIRINTO DI THE TURNGLASS: DIALOGO CON GARETH RUBIN.


Cari lettori,

Avete mai avuto la sensazione che il tempo non scorra in linea retta? Che ogni scelta, ogni dettaglio, possa riflettersi come in uno specchio antico, distorcendo la realtà? Oggi vi porto dentro The Turnglass – La Clessidra di Cristallo, un thriller raffinato e ingannevole firmato da Gareth Rubin.
Ho avuto il piacere di chiacchierare con l’autore, che ci racconta i retroscena del romanzo, la sua passione per la storia vittoriana e quel sottile brivido che solo certi misteri sanno dare.

Mettetevi comodi: qui si parla di tempo, illusioni e pagine che non si dimenticano.

Gareth Rubin, giornalista e scrittore, collabora con le maggiori testate inglesi. Il suo primo romanzo The Turnglass – La clessidra di cristallo (Longanesi 2023) ha riscosso un larghissimo successo di pubblico e di critica, in Italia e all’estero.


D. GARETH, COM'È NATA LA TUA PASSIONE PER LA SCRITTURA? 

R. In realtà ho studiato per fare l' attore; ma secondo mia mamma non ero molto bravo. Così ho iniziato a fare giornalismo perché era una vita interessante e differente. E da lì ho iniziato a scrivere testi di narrativa. Detesto il processo di scrittura – seduto al computer 9 ore al giorno – ma adoro scrivere “fine”.

D. QUANTO TEMPO IMPIEGHI SOLITAMENTE PER SCRIVERE UN LIBRO?

R. Circa un anno. Probabilmente sono nella media .Alcuni scrittori impiegano cinque mesi, altri cinque anni. Ho un mutuo da pagare :)

D. DA QUALE IDEA,SPUNTO, ESIGENZA O FONTE DI ISPIRAZIONE, È NATO IL TUO LIBRO “LA CLESSIDRA DI CRISTALLO”?

R . Non ho idea di come mi sia venuta in mente l'idea iniziale. Ricordo soltanto che mentre stavo cercando la storia da raccontare ho iniziato a cercare cose su questo genere di argomenti su Google ed ho trovato delle cose di cui ignoravo l'esistenza.
In realtà non ho dovuto fare molte ricerche storiche per questo libro perché questi sono periodi che conosciamo bene da altri libri/film ecc: la Londra vittoriana, Los Angeles degli anni '30.

D. QUANDO HAI SCRITTO IL TUO PRIMO LIBRO E QUANTI ANNI AVEVI? 

R. Ho scritto il mio primo romanzo circa 10 anni fa, quando avevo 38 anni. Non è stato pubblicato. Nemmeno il secondo. Il terzo è stato pubblicato. Se non fosse stato così, probabilmente avrei rinunciato. 

D. COSA TI PIACE FARE QUANDO NON SCRIVI? 

R Dormo.

D. DA BAMBINO, COSA VOLEVI FARE DA GRANDE?

R. Volevo essere uno stuntman. Non ho idea del perché. 

D. PROGETTI PER IL FUTURO?

R. Potrebbe esserci un seguito di "La clessidra di cristallo" in arrivo…

Desidero ringraziare Gareth per aver risposto alle mie domande.



Nelle librerie e sugli store online dal 5 settembre 2023 Longanesi


SINOSSI 

Inghilterra, 1881. «Turnglass House ha sempre avuto qualcosa di corrotto e maligno.» Questo è tutto ciò che il giovane medico Simeon Lee sa quando arriva a casa dello zio, il parroco Hawes, per curarlo. Una sola finestra illuminata, un orizzonte sospeso sul vuoto, una palude fangosa pronta a inghiottire i pochi che osano avventurarsi. Lo zio è convinto di essere stato avvelenato e i suoi sospetti ricadono su Florence, la cognata. Immobile, con addosso un abito di seta verde e un sorriso beffardo, Florence li fissa dalla cella di vetro in cui si trova segregata da quando, in un raptus di gelosia, ha ucciso il marito. Molti la considerano pazza, ma secondo Simeon è una figura tutta da decifrare. Come tutto da decifrare è il volumetto rosso che spicca nell'immensa biblioteca dello zio e che lei continua a indicargli. Un libro che racconta una vicenda ambientata nel futuro e che tuttavia potrebbe rivelare qualcosa sul presente. Un libro che parla di un'altra terra, la California, in un'altra epoca, il 1939, che pure ha tanti punti in comune con la storia di questa famiglia inglese. La storia di un uomo che indaga per scoprire cos'era accaduto alla madre, scomparsa vent'anni prima... California, 1939. Quella dello squattrinato Ken Kourian è una vita divisa tra provini cinematografici e lavoro in un giornale, finché incontra Oliver Tooke. Affascinante, mondano e insieme riservato, Oliver è un celebre scrittore figlio del governatore della California. Da qualche tempo appare incupito, e la pubblicazione del suo nuovo romanzo sembra angosciarlo. Una sera, arrivato a casa sua, Ken fa una scoperta sconcertante: lo trova riverso sulla scrivania, il collo lacerato da un proiettile, la pistola nella mano. La morte viene presto archiviata come suicidio, ma Ken non è convinto e decide di indagare. Le ricerche lo portano sulle tracce di una vecchia storia, quella del misterioso rapimento del fratello di Oliver e della scomparsa della madre. Una famiglia sfortunata. O forse, una famiglia che nasconde troppi segreti. Ken è convinto che per scoprire la verità dovrà decifrare gli indizi nascosti nell'ultimo libro dell'amico. 



Caterina Lucido

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