12 aprile 2022

RECENSIONE DEL LIBRO: MORTE AL FILATOIO DI OTTAVIA NICCOLI


NOTE SULL' AUTRICE

Ottavia Niccoli già docente alle università di Bologna e Trento, è autrice di saggi su Rinascimento e Riforma editi da Einaudi e Laterza, noti e tradotti a livello internazionale.
Questo è il suo esordio come romanziera.


SINOSSI

Bologna, 9 novembre 1592: don Tomasso, che dirige l'ospizio di San Biagio, viene coinvolto mentre è al Tribunale del Torrone in una denuncia per diffamazione voluta da Violante, una donna che un libello anonimo accusa di aver avvelenato il marito. Il notaio Martini, inquirente amico del prete, gli chiede in via non ufficiale di prendere informazioni da don Lucio, il sacerdote che ha proceduto al funerale e che forse è stato anche l'amante della donna. Nel frattempo, don Tomasso apprende da due ragazzini rifugiatisi all'ospizio, Ettore e Gian Andrea, che il primo ha appena visto il cadavere di una giovane donna nei sotterranei del filatoio di tal Righi. Il corpo, gettato nel canale, verrà infatti ritrovato di lì a poco. La morta risulta essere una lavorante del Righi, Caterina Pancaldi, e l'esame autoptico dichiara che ha perso da poco la verginità. Partono quindi tre processi: quello per il libello, quello per avvelenamento del marito di Violante e quello per "la putta" trovata nel canale. Mentre si svolgono gli interrogatori, don Tomasso aiutato da Gian Andrea prosegue nella ricerca di ipotesi e indizi per incastrare l'omicida


COSA NE PENSO

Uno degli elementi più importanti in questo romanzo è il contesto storico:  molto accurato,abbastanza realistico. Alcuni dei personaggi citati in quest'opera sono realmente esistiti, ovviamente, il tutto è arricchito da dettagli e fatti immaginari. 
Pagina dopo pagina ci si adentra in una storia forte ben più complessa di come appare all'inizio. 
In conclusione, la lettura risulta impegnativa una scrittura asciutta, diretta. Buona lettura!


Recensione a cura di C.L


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10 aprile 2022

QUESTIONI DI SANGUE: INTERVISTA AD ANNA VERA VIVA.


Ben ritrovati miei cari lettori!
L'ospite di questa nuova intervista è Anna Vera Viva.
Anna Vera Viva, salentina, si trasferisce a Napoli nel 1982. Scrive da molti anni ed è sceneggiatrice di docufilm e cortometraggi tra cui La consegna e Specchio delle mie brame, candidati al David di Donatello. Le sue passioni sono viaggiare e gironzolare per musei e gallerie d'arte contemporanea.
Questioni di sangue “Un’indagine nel cuore segreto di Napoli”, edito da Garzanti in libreria dal 3 marzo 2022.


D: JOËL DICKER DICEVA: “SCRIVERE UN LIBRO È COME APRIRE UNA COLONIA ESTIVA. LA  TUA VITA, IN GENERE SOLITARIA E TRANQUILLA, VIENE IMPROVVISAMENTE SCOMBUSSOLATA DA UNA MOLTITUDINE DI PERSONAGGI CHE UN GIORNO GIUNGONO SENZA PREAVVISO E TI SCONVOLGONO L'ESISTENZA”. COME È CAMBIATA LA SUA VITA SCRIVENDO?

R: È incredibile come lei abbia, casualmente, usato la frase che più rappresenta il mio modo di vivere la scrittura e che ho addirittura in primo piano nella pagina di apertura del mio sito ufficiale.Perché nei periodi in cui scrivo o nei quali progetto un nuovo romanzo è esattamente quello che mi succede. I Personaggi si appropriano di ogni spazio della mia vita, di ogni pensiero. Li vedo vivere, agire tra di loro, spio le reazioni alle prove davanti alle quali io stessa li ho messi, ne analizzo i sentimenti. E ognuno di loro pretende cure e attenzioni particolari cercando di prevaricare gli altri in una gara dove, comunque, vincono tutti. Per mesi, fino alla conclusione del romanzo,diventano le più reali delle creature che mi circondano. Poi tutto questo finisce e li lascio andare per il mondo con le proprie gambe; non le nascondo che in quel momento provo un grande sollievo.


D: DA QUALE IDEA, SPUNTO, ESIGENZA O FONTE DI ISPIRAZIONE, NASCE QUESTO SUO NUOVO ROMANZO “QUESTIONI DI SANGUE”?

R: Da una suggestione nata dalla scoperta del Rione Sanità e dalla Basilica Di Santa Maria alla Sanità. Dovevo trovare un modo, dei personaggi che mi consentissero di usare quelle ambientazioni, di parlare di quei luoghi magici. Personaggi che vivessero quella Basilica colma di storia e di fascino. E chi meglio di un Prete avrebbe potuto fare tutto questo?


D: QUANTO TEMPO HA IMPIEGATO A SCRIVERLO?

R: Un paio di mesi, se parliamo della scrittura vera e propria. Ma la parte precedente, quella di ricerca storica e sociologica, è durata più a lungo.


D: NEL LIBRO CI SONO DIVERSI PERSONAGGI, UNO PIÙ INTERESSANTE DELL' ALTRO. POI CI  SONO I DUE PROTAGONISTI PRINCIPALI. RAFFAELE IACONO E PEPPINO ANNUNZIATA.CHE TIPO D' UOMO È “PEPPINO ANNUNZIATA”? COME LO DESCRIVEREBBE?

R: Peppino è un uomo di malavita, su questo non ci sono dubbi, ed è un essere convinto di aver percorso l’unica strada percorribile e che non accetta di essere giudicato per questo. La particolarità di questo personaggio sta, a mio avviso, in un vissuto dove l’amore da cui è stato circondato, in primis dalla madre e poi dalla prima moglie, ha segnato la sua parte più profonda e questo lo rende un individuo di una complessità affascinante.


D: CON QUALI COLORI DESCRIVEREBBE I SUOI PERSONAGGI?

R: Rosso senz’altro per Raffaele, il rosso della passione che mette in ogni sua azione, quello dell’ira che lo acceca davanti alle ingiustizie e infine quello di un buon sugo che, da grande buongustaio qual è, apprezza in particolar modo.Bianco argento per Peppino, non quello della purezza ma quello del gelo, del pensiero scevro da ogni emotività, del raziocinio che gli consente di muoversi con sicurezza nelle situazioni più pericolose. Giallo arancio per Assuntina, per il calore che diffonde, per la sua allegria, e per quella saggezza che nasce da una positività dell’animo che può erroneamente essere scambiata per ingenuità.


D: QUALI AUTORI L'HANNO INFLUENZATA MAGGIORMENTE?

R: Questa è una domanda alla quale non riesco mai a rispondere. Ho letto tanto e di tutto,privilegiando da sempre i classici. Ho letto autori che ho amato e altri che non mi sono piaciuti ma mi sono sentita in dovere di conoscere e sono convinta che, ognuno di loro, ha portato il suo contributo nell’economia della mia formazione. A volte sospetto che i segni più forti li abbiano tracciati proprio gli autori che non ho amato.


D: PROGETTI PER IL FUTURO?

R: Tanti, ma non sveliamoli.


Desidero ringraziare Anna Vera Viva per la sua disponibilità nel concedermi questa intervista.



                     


SINOSSI

Il rione Sanità è un’isola. Un lungo ponte lo divide dal resto di Napoli. Qui, i vivi e i defunti convivono da secoli e non vi è posto, più di questo, in cui morte e vita siano così strettamente intrecciate. Ed è qui che, dopo quarant’anni, due fratelli si rincontrano. Raffaele, dato in adozione giovanissimo alla morte della madre, ci torna come parroco della basilica di Santa Maria alla Sanità. Peppino, invece, è il boss del quartiere. Due uomini che non potrebbero essere più diversi l’uno dall’altro. Eppure, il richiamo del sangue, ineludibile, li unisce. Un legame che è fonte di pericolo e tormento per entrambi. Quando la morte colpisce e un cadavere viene ritrovato in un appartamento del rione, le indagini, suffragate da un testimone poco affidabile, seguono un unico binario. Quell’omicidio fa tirare un sospiro di sollievo a tante persone, ma Raffaele non si lascia abbindolare. Decide di rivolgere il suo sguardo, esperto della vita, proprio tra la sua gente, anche se questo significa guardare qualcuno di molto, forse troppo, vicino a lui. Ma Raffaele non si è mai fermato davanti a nulla e non inizierà adesso. Sa bene che le sue indagini possono compromettere un equilibrio basato su regole non scritte e allo stesso tempo inderogabili, ma deve andare avanti. Perché la Sanità è un’isola e per navigare il mare che la circonda ci vogliono coraggio, passione e un concetto diverso di verità.


COSA NE PENSO

Nessun luogo incarna le contraddizioni di Napoli come il Rione Sanità. Un posto pieno di anima, ricco di teatralità.
L' arrivo del nuovo parroco della Basilica di Santa Maria della Sanità, Don Raffaele Iacono, porterà con se una ventata di vitalità a tutti gli abitanti del rione.
I personaggi sono ben caratterizzati con una personalità definita. Don Raffaele è
un uomo singolare che ha ben poco del temperamento tipico in un sacerdote. Al suo fianco troviamo la fedele e valida perpetua Assuntina,una donna capace da fare invidia anche ai migliori detective del mondo, lei con il suo fare da comare e  con le sue acute osservazioni, sarà uno dei pilastri fondamentali per l'intera durata della storia. Nel romanzo si parlerà anche del legame tra due fratelli  Peppino e Raffaele, che si consolida attraverso la narrazione, le parole, i ricordi.
Lo stile di scrittura di Anna Vera Viva  è semplice ma estremamente travolgente
che si segue con piacere. Delinea luoghi e caratteri, descrizioni e approfondimenti con naturalezza e disarmante sincerità.
In conclusione, "Questioni di Sangue” possiede tutto quello che si vuole da un giallo.
Una morte sospetta, indizi da valutare e sospettati da ascoltare ed interpretare, ma non solo nel presente, perché anche il passato porta con sé la sua dose di segreti e dolori.
Una lettura intrigante. Consigliatissimo!
Buona lettura.

Foto autrice: Roberto Della Noce


Intervista e recensione a cura di C.L


©Riproduzione riservata



03 aprile 2022

INTERVISTA A EDITH BRUCK, LA SCRITTRICE SI RACCONTA A LA FINESTRA DELLA LETTERATURA.



È stato un immenso onore oltre che piacere chiacchierare con Edith Bruck.
Una chiacchierata quasi intima, richiamando alla memoria il suo passato.
Poche persone sono capaci di pensieri ricchi di profondità, di umanità, di gentilezza come lei.


D: DURANTE IL PERIODO DI PRIGIONIA HA RACCONTATO DI UN TEDESCO CHE LE LANCIÒ UNA GAVETTA DENTRO CUI C'ERA DELLA MARMELLATA. OLTRE A  QUESTO EPISODIO HA MAI TROVATO QUALCHE SOLDATO TEDESCO “UMANO” O QUALCUNO TRA LE SS CHE AVESSE ANCORA INTATTO DENTRO DI SÉ IL SENSO DELLA DIGNITÀ UMANA E DELLA SOLIDARIETÀ?

R: No, mai, era impossibile una cosa del genere, non ho mai più rivisto nessuno, neanche i miei compagni di prigionia,mai rivisti né incontrati.


D: CI RACCONTI ALCUNI EPISODI CHE LE SONO ACCADUTI AD AUSCHWITZ E POI NEI CAMPI DI  KAUFERING, LANDSBERG, DACHAU, CHRISTIANSTADT E, BERGEN-BELSEN?

R: Prima di tutto la speranza di ritornare a casa,di ritrovare magari i miei genitori. Per esempio,ad Auschwitz un soldato tedesco si è chinato su di me e mi ha sussurrato “Vai a destra,vai a destra” durante l'ultima selezione buttò mia madre per terra e fu l'ultima volta che la vidi e poi aggredì anche me violentemente, finché non mi sono trovata a destra e solo dopo capì che in fondo mi diede una minima possibilità per sopravvivere. E poi dopo, invece l'altra speranza in quelle circostanze così incredibili accadde a Dachau, avevo portato delle patate pelate in cucina e il cuoco mi chiese “Come ti chiami?” mi parve come una voce dal cielo,non capivo com'era possibile una cosa del genere perché era assolutamente impossibile. Mi disse anche “Ho una bambina piccola come te”, mi regalò un pettinino. Lì eravamo soltanto un numero,con gli zoccoli,calvi non eravamo delle persone non eravamo assolutamente nulla ci chiamavano come i numeri che avevamo al collo perché non c'era più tempo di tatuare gli Ebrei Ungheresi che son stati deportati per ultimi. 
E poi c'è l'ultimo soldato che non mi ha sparato, perché doveva spararmi. Quindi tutti questi cinque punti,che io chiamo cinque punti di luce, secondo me,mi hanno aiutato a sopravvivere, il resto ,era tutta morte,fame, freddo,con il terrore che non ti svegli la mattina, l'essere umano spera sempre si aggrappa anche a un filo di erba pur di sopravvivere, nessuno vuole morire da nessuna parte anche in nessuna situazione, anche in situazioni estreme lotta per la propria sopravvivenza fino all'ultimo anche se sembra impossibile, la vita è più forte di qualsiasi cosa secondo me, poi si capisce soltanto quando si è in pericolo quanto è preziosa la vita, quanto è prezioso il valore di un pezzo di pane.


D: DOPO L' OLOCAUSTO ALCUNI INTELLETTUALI COME PRIMO LEVI, SI SONO INTERROGATI SULL' ESISTENZA DI DIO; ANZI PRIMO LEVI CONCLUSE DICENDO CHE , DOPO AUSCHWITZ DIO , NON POTEVA PIÙ ESISTERE. QUAL' É LA SUA OPINIONE AL RIGUARDO?

R: Furono altri a discutere dell'assenza di Dio a Auschwitz.Uno di loro fu Elie Wiesel. Con Primo Levi eravamo amici fino all'ultimo,non è che discutessimo su Dio, Primo era abbastanza laico. Io credo che bisogna lasciare fuori Dio da questi terribili misfatti che l'uomo fa giorno per giorno. Per nome di Dio o Allah hanno ammazzato milioni di persone, anche i tedeschi avevano nella cintura scritto “Dio è con noi”.Io stessa ho scritto una lettera a Dio nel libro “Pane Perduto” però sin da bambina ho dubbi sulla sua esistenza.  
Mia madre parlava più con Dio che con noi sei figli. Chiedeva a Dio tutto,dalle scarpe,al cappotto,al pane. Le dicevo “Mamma parla con noi, tanto non ti ascolta”, nel senso che non ero arrabbiata ma seccata sicuramente. Non mi piace parlare né di fede né di Dio. Secondo me il comportamento dell' essere umano è quello che conta. Non odiare nessuno al mondo,io non odio neanche i miei aguzzini. L'unica cosa che conosco è la pietà. Posso solo ringraziare a Dio solo se esiste un Dio.


D: NEL 1954, SPINTA DALL'IMPOSSIBILITÀ DI INSERIRSI E DI RICONOSCERSI NEL PAESE IMMAGINATO "DI LATTE E MIELE", GIUNGE IN ITALIA E SI STABILISCE A ROMA, DOVE ANCORA OGGI RISIEDE. PERCHÉ DOPO LA LIBERAZIONE IN MOLTI NON VI SIETE SENTITI NÉ A CASA NÉ AL SICURO IN EUROPA?

R: Non sapevo dove vivere, la nostra piccola casa era stata distrutta e nel mio paese i contadini ci hanno cacciate via me e mia sorella con l'accetta, allora abbiamo vissuto per due mesi da una sorella, poi per altri due mesi in una specie di orfanotrofio, successivamente in diversi campi di transito. Non sapevamo dove andare e quindi abbiamo incominciato ad andare in un paese all'altro con il piano di andare un giorno in Palestina, quello che era il sogno della mamma, da bambina non si cenava e prima di mettermi a dormire mi raccontava questa favola “Saremo tutti fratelli - Saremo felici lì”.Sono arrivata in Israele dove ho vissuto per due anni circa.Anche lì, non riuscivo a inserirmi. Del paradiso terrestre da lei sognato nemmeno l'ombra, non poteva esserci dopo la guerra arabo-israeliana del 1948. 
Non ci hanno accolto, né ascoltate, volevamo raccontare ma ci hanno zittite.
Volevo in qualche maniera essere accolta a braccia aperte, ma questo non è successo, eravamo totalmente smarriti in un mondo in macerie dopo la guerra. Ognuno si occupava dei propri problemi, del proprio vissuto. Eravamo soltanto una specie di avanzi di vita e basta. Ho cominciato a emigrare in un paese all'altro finché mi sono trovata per puro caso a Napoli,dove mi sentivo in qualche maniera voluta solo con gli sguardi,con i sorrisi, c'era qualcosa di familiare. Vedevo dei panni fuori che svolazzavano,la gente che parlava da una finestra all'altra. Mi piaceva molto questa cosa, mi riportava alla campagna,io vengo dalla campagna e poi alla fine sono finita a Roma e ho iniziato la vera vita qua, avevo una casa se così si può definire una stanza ammobiliata lavoravo dodici ore al giorno e ho cominciato a scrivere soltanto qui il primo libro che avevo iniziato in Ungheria nel 1946 ma l'ho dovuto buttar via perché sono uscita dal paese clandestinamente. Ho realizzato il mio sogno di scrivere, un sogno che coltivavo fin da bambina e naturalmente ho scritto un libro autobiografico che venne pubblicato nel 1959. Però, quando ho iniziato a scrivere non ho pensato “Oh Dio, sto scrivendo un libro”, io dovevo buttare fuori almeno in parte quel veleno che tenevo dentro che nessuno voleva ascoltare e quindi ho detto la carta sopporta tutto e ho incominciato quando ho imparato abbastanza bene l'italiano, ho finito questo povero libro e da allora non ho mai smesso di scrivere e pubblicare e parlare nelle scuole con i ragazzi da almeno 70 anni quasi, i ragazzi hanno bisogno di sapere.


D: NELLA SUA VASTA PRODUZIONE LETTERARIA, CHE NON SI LIMITA AI TEMI DELL'OLOCAUSTO. HA TRADOTTO, SPESSO IN COLLABORAZIONE CON NELO RISI, I PIÙ GRANDI POETI UNGHERESI, GYULA ILLYÉS, RUTH FELDMAN, ATTILA JÒZEPH E MIKLÓS RADNÓTI. A QUALE POESIA O LIBRO È PARTICOLARMENTE LEGATA? E PERCHÉ?

R: József Attila anche Radnóti, però è molto difficile scegliere tra i poeti, perché in Ungheria c'era una grande tradizione poetica, grandi traduttori anche. Io ho tradotto soltanto due libri dall'Ungherese e poi uno con mio marito, Illyés che è un'altro grande poeta. Negli ultimi anni non riesco a trovare un solo poeta che io possa tradurre, perché volevo ancora tradurre qualcosa, amo molto la poesia da sempre. Dicevo a mia madre:  “Mamma io voglio essere una poeta” 
e lei rispondeva: “Va bene,se vuoi morire di fame”. 
Quando incontrai per la prima volta mio marito Nello Risi non sapevo nulla su di lui neanche il suo nome, lo guardai e dissi ad un mio amico questo è l'uomo della mia vita e così è stato. Oltre ad essere un regista, documentarista, era un poeta anche lui. 


D: PENSA CHE CI SIA QUALCOSA RIGUARDANTE LA SHOAH CHE NON SIA ANCORA STATO DETTO?

R: Ci sono tantissime cose secondo me, credo che non si potrà mai raccontare quello che si è vissuti e visto, impossibile.
Devo dire che io sono stata in centinaia di scuole però non si può dire mai abbastanza perché è molto difficile,da una parte non puoi dire ai ragazzini di quattordici quindici anni quelle mostruosità di cui l'uomo è capace ti autocensuri quasi ti vergogni tu di quello che hai vissuto e da un'altra parte quel dolore e quel vissuto non passa mai vive con te per tutta la vita è una gabbia da cui non si esce,non è possibile uscirne in nessun modo, forse noi stessi ci mettiamo dentro non lo so. Per di più ci sono tutte queste cose che abbiamo vissuto e stiamo vivendo ogni giorno che è impossibile anche se non c'entra nulla con il passato ma diciamo che la guerra d' Ucraina è sempre una mostruosità che l'uomo fa contro il proprio simile.


D: COSA PENSA CHE DEVONO IMPARARE I GIOVANI D'OGGI DALLA VITA CHE ANCORA NON SANNO?  

R: Tante cose. Molti hanno capito, perché lo dimostrano attraverso i loro disegni,le lettere, i messaggi.Il mese scorso sono andata a Assisi c'erano mille ragazzi a questo incontro, provenivano dappertutto è stato molto bello anche se faticoso tra l'altro faceva anche freddo. 
Credo che loro hanno bisogno di sapere perché non c'è molta comunicazione tra genitori e figli, tra nonni e nipoti. Questo è un disastro perché si vive separati all'interno della famiglia forse la voce esterna viene ascoltata. Per un genitore sopravvissuto è difficile raccontare ai figli quello che ha vissuto,non c'è mai tempo di raccontare questa mostruosità anche se è importante, i ragazzi devono sapere per il loro futuro. Devono capire cosa vuol dire il razzismo, l'antisemitismo, l'odio verso il prossimo è molto importante la solidarietà tra esseri umani bisogna allontanarli da qualsiasi pregiudizio.
Per i primi vent'anni piangevo sempre perché era ancora molto fresca la ferita,ogni tanto crollo anche adesso ,questa cosa non è mai superabile dico a me stessa che finché mi sento così e finché l'altro piange (perché ho visto anche ragazzi piangere)vuol dire che sentiamo,vuol dire che siamo sensibili,non siamo diventati di legno. Il problema è che la gente diventa sempre più indifferente come se non li toccasse quello che accade. Io credo che tutto quello che accade ci riguarda anche quello che accade a duemila chilometri ci riguarda.


Desidero ringraziare Edith Bruck  per la sua disponibilità nel concedermi questa intervista.


Intervista a cura di C.L

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24 marzo 2022

RECENSIONE DEL LIBRO: MAI STATI INNOCENTI DI VALERIA GARGIULLO


NOTE SULL' AUTRICE

Valeria Gargiullo nata nel 1992 proviene da un quartiere popolare di Civitavecchia e cerca nella scrittura una forma di riscatto. Ha frequentato il Master in Tecniche della Narrazione della scuola Palomar. Attualmente vive a Roma, dove studia Lettere. 


SINOSSI

Uno stradone di un chilometro divide Civitavecchia a metà. Da una parte Santa Fermina, con le sue villette a due piani e le vie coi nomi dei fiori; dall’altra Campo dell’oro, i casermoni popolari e i fumi degli impianti industriali che corrodono l’anima delle persone. Di là, un futuro prospero, le bollette in regola, le vacanze al mare; di qua, le famiglie arrancano e i figli, abbandonati a loro stessi, sognano una fuga impossibile. È quello che fa anche Anna, che ha studiato duramente e messo i soldi da parte per potersene andare via, lontano, all’università. Poche settimane ancora e finalmente salirà su un treno, pronta a costruirsi una vita diversa. Tutto sembra andare in frantumi quando Anna vede Simone, il suo fratellino di quattordici anni, in sella a un motorino, con un martello in mano, insieme alla feroce banda criminale che controllala zona. I Sorci, li chiamano, e nei loro affari è bene non immischiarsi mai. Anna vorrebbe salvarlo, ma sa che concerta gente è impossibile trattare. Si scende a patti, semmai, fino alle estreme conseguenze.


COSA NE PENSO

Il romanzo sociale d'esordio di Valeria Gargiullo, è un testo che fornisce una visione autentica di un quartiere difficoltoso, Campo dell'oro.
L' autrice non si limita solo a narrare il lato oscuro e gli effetti negativi su chi cresce in un contesto sociale fragile, a prescindere dalla condizione personale. Un inferno, ma senza fiamme visibili. Tutto sembra rimanere uguale a prima nonostante i fatti di cronaca nera.
Ma traccia soprattutto lo squarcio interiore in ognuno dei personaggi da Anna, Simone, Livia e Lorenzo.
In conclusione,“Mai stati innocenti” è un invito a guardare quei luoghi che sono considerati distanti e diversi ma che in realtà sono semplicemente lo specchio dei difetti della società in cui viviamo.  
Consigliato.

Buona lettura!

Recensione a cura di C.L

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18 marzo 2022

RECENSIONE DEL LIBRO: “CARO PIER PAOLO” DI DACIA MARAINI



NOTE SULL' AUTRICE

Dacia Maraini, figlia dell’orientalista Fosco e di Topazia Alliata di Salaparuta, discendente da una nobile famiglia siciliana, trascorse l’infanzia in Giappone. Ritornata in Italia, dopo un periodo a Bagheria, raggiunse il padre a Roma, ormai separato dalla madre. Nel 1957 fondò insieme ad altri la rivista letteraria «Tempo della letteratura». È stata a lungo compagna di Alberto Moravia. Tutte le sue Opere sono raccolte in un Meridiano di recente pubblicazione. Con la raccolta di racconti Buio (1999) si è aggiudicata il Premio Strega. Con La lunga vita di Marianna Ucrìa (1990), tra i romanzi italiani più venduti degli ultimi decenni, ha vinto il premio Campiello.

SINOSSI

«Caro Pier Paolo, ho in mente una bellissima fotografia di te, solitario come al solito, che cammini, no forse corri, sui dossi di Sabaudia, con il vento che ti fa svolazzare un cappotto leggero sulle gambe. Il volto serio, pensoso, gli occhi accesi. Il tuo corpo esprimeva qualcosa di risoluto e di doloroso. Eri tu, in tutta la tua terribile solitudine e profondità di pensiero. Ecco io ti immagino ora cosí, in corsa sulle dune di un cielo che non ti è piú ostile». Dacia Maraini



COSA NE PENSO
 
In queste pagine del libro “Caro Pier Paolo” Dacia Maraini ci regala in forma di parole la stima e l'affetto per l'amico Pier Paolo Pasolini.
Per chi non ha mai letto le opere di Pasolini, l'autore apparteneva alla corrente neorealista, pur dando ad essa un'impronta del tutto personale. 
Usava un gergo molto dialettale, con il quale esprimeva un mondo suburbano, crudo e violento. Un poeta malinconico, silenzioso, introverso, le cui opere si possono comprendere al meglio solo se non te ne fai spaventare perché ti porta ad una conoscenza più profonda del mondo.
Attraverso la voce di Dacia Maraini conosciamo un Pasolini inedito, tra viaggi estremi in paesini sperduti dell'Africa e per il mondo,le esperienze artistiche e cinematografiche, aneddoti e sodalizi con Alberto Moravia, Maria Callas, Elsa Morante e Ninetto.
In conclusione,“Caro Pier Paolo” è un testo colmo di tenerezza,che ci giunge come per magia nel centenario dalla sua nascita. Consigliato!
Buona lettura

Recensione a cura di C.L

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14 marzo 2022

INTERVISTA A GIUSEPPINA TORREGROSSA


Cari lettori,

Oggi ho il piacere di ospitare nel mio blog Giuseppina Torregrossa,una delle scrittrici italiane più amate. L' autrice, vive tra la Sicilia e Roma, dove ha lavorato per più di vent'anni come ginecologa, occupandosi attivamente, tra le altre cose, della prevenzione e cura dei tumori al seno.
Nel 2007 ha pubblicato il suo primo romanzo, L'assaggiatrice e con il monologo teatrale Adele ha vinto nel 2008 il premio opera prima "Donne e teatro" di Roma. Tra gli altri suoi romanzi ricordiamo Il conto delle minne (Mondadori 2009), tradotto in dieci lingue, Manna e miele, Ferro e fuoco (Mondadori 2011), Panza e prisenza (Mondadori 2013), La miscela segreta di casa Olivares (Mondadori 2014), ll figlio maschio (Rizzoli 2015), Cortile nostalgia (Rizzoli 2017), Il basilico di Palazzo Galletti (Mondadori 2018), Il sanguinaccio dell'immacolata (Mondadori 2019), Al contrario (Feltrinelli 2021) e Morte accidentale di un amministratore di condominio (Marsilio, 2021). Nel 2015 è stata insignita del Premio Baccante. 

 
D: COM'È NATA LA SUA PASSIONE PER LA SCRITTURA? 

R: Forse è nella mia natura. Ho sempre scritto fin da piccola, diari, pensiero in libertà nell'infanzia, nell’adolescenza molte lettere d’amore, progetti di ricerca e infine romanzi.


D: ESORDISCE COME SCRITTRICE NEL 2007, CON IL ROMANZO L'ASSAGGIATRICE. A QUESTO PROPOSITO QUALCUNO HA STORTO IL NASO DAVANTI AL SUO ROMANZO. CHE NE PENSA? 

R: Non saprei io non ne avevo notizia che qualcuno avesse storto il naso e comunque non si può piacere a tutti.


D: NEI SUOI ROMANZI RACCONTA UNA SOCIETÀ ARCAICA, CUPA, OSCURA, NELLA QUALE IL PREGIUDIZIO SULLE DONNE SI INTRECCIA CON LA VOGLIA DI RISCATTO DI QUEST'ULTIME. SECONDO LEI, COSA SI È FATTO E COSA SI PUÒ ANCORA FARE PER NOI DONNE? 

R: Le donne hanno fatto un faticoso percorso per ottenere il giusto riconoscimento dei loro diritti, ma ancora molto c’è da fare: le donne guadagnano meno degli uomini e non fanno carriera. Ci vorrà del tempo, ma ce la faremo. Ci vuole molto impegno.


D: NEI SUOI LIBRI COMPAIONO PIATTI SIMBOLO DELLA SICILIA, UOMINI E DONNE INTENTI A PORTARE AVANTI ANTICHI RITI, RELIGIOSI, SOCIALI.QUAL È IL MESSAGGIO CHE VUOLE TRASMETTERE ATTRAVERSO I SUOI LIBRI? 

R: Nessun messaggio, io racconto storie. Piatti, riti, servono a contestualizzare la
Storia.


D: QUALI EMOZIONI LE TRASMETTE SCRIVERE E COSA PROVA QUANDO METTE LA PAROLA FINE AD UNA SUA STORIA? 

R: Scrivere serve a fare chiarezza, a capire i miei desideri profondi, a mettere ordine tra le idee. E ala fine mi sento più matura e anche più leggera 


D: CON QUALI COLORI DESCRIVEREBBE I SUOI PERSONAGGI?

R: Azzurro come il desiderio che ho di equilibrio, rosso come la passione che mi muove, verde per raccontare la natura, giallo perché ogni parola è una pepita d’oro…


D: PROGETTI PER IL FUTURO?

R: Scrivere ancora e ancora scrivere finché avrò forza.


Desidero ringraziare Giuseppina Torregrossa per la sua disponibilità nel concedermi questa intervista.


Intervista a cura di C.L

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08 marzo 2022

INTERVISTA A MAURIZIO DE GIOVANNI, TRA LIBRI E TEATRO.


I suoi romanzi sono stati tradotti in tutto il mondo e sono stati sempre in vetta alle classifiche dei libri più letti e più venduti.
Dalle indagini del “Commissario Ricciardi”, ai poliziotti dei “Bastardi di Pizzofalcone” fino alle avventure di “Mina Settembre”, tutte grandi serie di successo.
Maurizio De Giovanni, è tornato in libreria lo scorso 3 febbraio con il libro L'equazione del cuore edito da Mondadori
Un libro diverso dai suoi precedenti romanzi.



D: COSA L’HA SPINTA AD INTRAPRENDERE LA CARRIERA DI SCRITTORE?

R: Sono stato sempre un lettore bulimico. Ho letto e leggo di tutto, sin da bambino, ma non avrei mai pensato di poter cominciare a scrivere a mia volta, e incredibilmente pure con successo. Ho sempre ritenuto che lo scrittore fosse una sorta di divinità e non avrei avuto il coraggio di intraprendere un’attività che ritenevo a me assolutamente preclusa se alcuni colleghi, cui non era sfuggita, e come avrebbe potuto? la mia propensione compulsiva alla lettura, non mi avessero iscritto a mia insaputa a un concorso letterario nel lontano 2005. Come se leggere fosse sufficiente per scrivere. O forse è proprio così.
Fatto sta che vinsi inaspettatamente quel concorso, in cui incontrai per la prima volta Luigi Alfredo Ricciardi, e da allora non mi sono più fermato. Anzi, non solo non ho nulla di inedito nel cassetto, ma non trovo il tempo di scrivere tutto quello che mi viene chiesto.
In sintesi, è stato il caso, aiutato da amici che non ho mai ringraziato abbastanza, a rendermi uno scrittore. Mi fa ancora impressione definirmi così, ma pare sia proprio vero.


D: QUALI SONO I GENERI LETTERARI CHE PREFERISCE?

R: Come dicevo leggo di tutto, senza preferenze di genere. Credo che esistano libri belli e libri brutti, e che il genere serva solo a scegliere lo scaffale giusto su cui collocarli. Ovviamente, tra i miei preferiti ci sono i gialli (ritengo che Simenon, per fare un nome, sia tra i massimi scrittori del Novecento). Ma negli ultimi tempi leggo anche molta saggistica: ho bisogno di verificare l’esattezza o almeno la verosimiglianza dei fatti che racconto nei miei libri, soprattutto nei miei non contemporanei.


D: DOVE TROVA L’ISPIRAZIONE PER I SUOI LIBRI?

R: Lo dico sempre: io sono napoletano e per non scrivere, con tutti gli stimoli che la città riesce a dare in ogni momento a chiunque si fermi a guardarla, dovrei essere analfabeta.
A parte gli scherzi, le storie mi arrivano senza che io le cerchi. Mi basta immergermi nel variegato tessuto sociale, percorrendo strade e vicoli, preferibilmente in discesa, in modo da non farmi distrarre dalla fatica della salita. E il gioco è fatto.


D: CHE SENSAZIONE SI PROVA DOPO AVER SCRITTO UN LIBRO?

R: Non lo so di preciso. Immagino sollievo. Sicuramente per mia moglie è così.
Ma io non ho il tempo di assaporare la quiete dopo la tempesta: prima di finire un lavoro già trovo nei mei pensieri il seme del successivo.


D: PER LA PRIMA VOLTA NEL SUO NUOVO LIBRO, LEI VA OLTRE IL GENERE GIALLO. CHE MESSAGGIO HA VOLUTO LANCIARE CON “L'EQUAZIONE DEL CUORE”?

R: Nessun messaggio, per carità. La letteratura non ne ha, e non deve averne, soprattutto quando si parla di narrativa. Piuttosto, è una storia che viene da lontano. Quando facevo le prime ricerche per ricostruire l’ambientazione dei libri di Ricciardi mi imbattei in Paul Dirac, premio Nobel nel 1933, al cui nome è legata l’equazione più bella del mondo, quella che di solito si definisce del cuore: in soldoni, due sistemi che entrano in contatto per qualsivoglia motivo continueranno a influenzarsi l’un l’altro anche quando saranno separati nuovamente.
La cosa, a me che sono tutt’altro che un matematico, rimase impressa. Appena ho potuto, ho momentaneamente lasciato, probabilmente nemmeno del tutto, la comfort zone del noir e ho scritto qualcosa di diverso che pare stia piacendo molto al pubblico, bontà sua.


D: OLTRE AD ESSERE UNO SCRITTORE, HA SCRITTO ANCHE PER IL TEATRO, ADATTANDO "QUALCUNO VOLÒ SUL NIDO DEL CUCULO" DI KESEY E "AMERICAN BUFFALO" DI MAMET. CI RACCONTI LA SUA ESPERIENZA?

R: Per me il teatro è l’attività di maggiore soddisfazione: molto veloce, visto che si basa sui dialoghi in cui, mi dicono, sono bravino, e al contempo di grande impatto emotivo.
Le due esperienze da te citate mi hanno messo a confronto con due mostri sacri ma il risultato è stato meraviglioso, a mio modo di vedere, in entrambi i casi.
Adattando “Qualcuno volò sul nido del cuculo” ho avuto modo di cominciare la mia collaborazione con Alessandro Gassmann, regista, collaborazione che dura tuttora e andrà a intensificarsi ulteriormente. Se Ale è indubitabilmente un magnifico attore, che ha dato sangue e carne al mio Lojacono, è secondo me un regista di spessore se possibile ancora superiore, portatore di idee nuove anche dal punto di vista della scenografia.
American Buffalo ha visto invece la regia di Marco d’Amore, anche lui una sorpresa per la competenza e la professionalità dimostrate in un campo che erroneamente credevo non suo.
In entrambi gli adattamenti, non ho potuto far altro che spostare la scena da quella americana alle realtà a me più vicine, nel primo caso il manicomio criminale di Aversa al tempo del Mundial del 1982, e nel secondo caso la Napoli contemporanea.
Ma oltre e più ancora degli adattamenti, il teatro mi gratifica con le cose mie, ultima in ordine cronologico Mettici la mano, una sorta di spin off del mondo di Ricciardi che mi ha emozionato per il consenso straordinario che il pubblico gli ha riservato.


D: PROGETTI PER IL FUTURO?

R: Sto per cominciare a scrivere un nuovo episodio di Sara per i tipi di Rizzoli che, se riesco, vorrei uscisse in tempo per il Salone del Libro di Torino.
E poi continuano le fiction: oltre a quelle già in essere sto lavorando a nuovi progetti fuori da Mamma RAI.
Ma in questo periodo, ripeto, il mio cuore è per il teatro e da poco per il cinema: dopo Il Silenzio Grande, che ha fatto incetta di premi, L’equazione del cuore diventerà presto un film, sempre con la regia di Alessandro Gassmann, che dovrebbe esserne anche il protagonista. Incrociamo le dita.


Ringrazio Maurizio De Giovanni per aver risposto alle mie domande.


 

Intervista a cura di C.L


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