03 aprile 2022

INTERVISTA A EDITH BRUCK, LA SCRITTRICE SI RACCONTA A LA FINESTRA DELLA LETTERATURA.



È stato un immenso onore oltre che piacere chiacchierare con Edith Bruck.
Una chiacchierata quasi intima, richiamando alla memoria il suo passato.
Poche persone sono capaci di pensieri ricchi di profondità, di umanità, di gentilezza come lei.


D: DURANTE IL PERIODO DI PRIGIONIA HA RACCONTATO DI UN TEDESCO CHE LE LANCIÒ UNA GAVETTA DENTRO CUI C'ERA DELLA MARMELLATA. OLTRE A  QUESTO EPISODIO HA MAI TROVATO QUALCHE SOLDATO TEDESCO “UMANO” O QUALCUNO TRA LE SS CHE AVESSE ANCORA INTATTO DENTRO DI SÉ IL SENSO DELLA DIGNITÀ UMANA E DELLA SOLIDARIETÀ?

R: No, mai, era impossibile una cosa del genere, non ho mai più rivisto nessuno, neanche i miei compagni di prigionia,mai rivisti né incontrati.


D: CI RACCONTI ALCUNI EPISODI CHE LE SONO ACCADUTI AD AUSCHWITZ E POI NEI CAMPI DI  KAUFERING, LANDSBERG, DACHAU, CHRISTIANSTADT E, BERGEN-BELSEN?

R: Prima di tutto la speranza di ritornare a casa,di ritrovare magari i miei genitori. Per esempio,ad Auschwitz un soldato tedesco si è chinato su di me e mi ha sussurrato “Vai a destra,vai a destra” durante l'ultima selezione buttò mia madre per terra e fu l'ultima volta che la vidi e poi aggredì anche me violentemente, finché non mi sono trovata a destra e solo dopo capì che in fondo mi diede una minima possibilità per sopravvivere. E poi dopo, invece l'altra speranza in quelle circostanze così incredibili accadde a Dachau, avevo portato delle patate pelate in cucina e il cuoco mi chiese “Come ti chiami?” mi parve come una voce dal cielo,non capivo com'era possibile una cosa del genere perché era assolutamente impossibile. Mi disse anche “Ho una bambina piccola come te”, mi regalò un pettinino. Lì eravamo soltanto un numero,con gli zoccoli,calvi non eravamo delle persone non eravamo assolutamente nulla ci chiamavano come i numeri che avevamo al collo perché non c'era più tempo di tatuare gli Ebrei Ungheresi che son stati deportati per ultimi. 
E poi c'è l'ultimo soldato che non mi ha sparato, perché doveva spararmi. Quindi tutti questi cinque punti,che io chiamo cinque punti di luce, secondo me,mi hanno aiutato a sopravvivere, il resto ,era tutta morte,fame, freddo,con il terrore che non ti svegli la mattina, l'essere umano spera sempre si aggrappa anche a un filo di erba pur di sopravvivere, nessuno vuole morire da nessuna parte anche in nessuna situazione, anche in situazioni estreme lotta per la propria sopravvivenza fino all'ultimo anche se sembra impossibile, la vita è più forte di qualsiasi cosa secondo me, poi si capisce soltanto quando si è in pericolo quanto è preziosa la vita, quanto è prezioso il valore di un pezzo di pane.


D: DOPO L' OLOCAUSTO ALCUNI INTELLETTUALI COME PRIMO LEVI, SI SONO INTERROGATI SULL' ESISTENZA DI DIO; ANZI PRIMO LEVI CONCLUSE DICENDO CHE , DOPO AUSCHWITZ DIO , NON POTEVA PIÙ ESISTERE. QUAL' É LA SUA OPINIONE AL RIGUARDO?

R: Furono altri a discutere dell'assenza di Dio a Auschwitz.Uno di loro fu Elie Wiesel. Con Primo Levi eravamo amici fino all'ultimo,non è che discutessimo su Dio, Primo era abbastanza laico. Io credo che bisogna lasciare fuori Dio da questi terribili misfatti che l'uomo fa giorno per giorno. Per nome di Dio o Allah hanno ammazzato milioni di persone, anche i tedeschi avevano nella cintura scritto “Dio è con noi”.Io stessa ho scritto una lettera a Dio nel libro “Pane Perduto” però sin da bambina ho dubbi sulla sua esistenza.  
Mia madre parlava più con Dio che con noi sei figli. Chiedeva a Dio tutto,dalle scarpe,al cappotto,al pane. Le dicevo “Mamma parla con noi, tanto non ti ascolta”, nel senso che non ero arrabbiata ma seccata sicuramente. Non mi piace parlare né di fede né di Dio. Secondo me il comportamento dell' essere umano è quello che conta. Non odiare nessuno al mondo,io non odio neanche i miei aguzzini. L'unica cosa che conosco è la pietà. Posso solo ringraziare a Dio solo se esiste un Dio.


D: NEL 1954, SPINTA DALL'IMPOSSIBILITÀ DI INSERIRSI E DI RICONOSCERSI NEL PAESE IMMAGINATO "DI LATTE E MIELE", GIUNGE IN ITALIA E SI STABILISCE A ROMA, DOVE ANCORA OGGI RISIEDE. PERCHÉ DOPO LA LIBERAZIONE IN MOLTI NON VI SIETE SENTITI NÉ A CASA NÉ AL SICURO IN EUROPA?

R: Non sapevo dove vivere, la nostra piccola casa era stata distrutta e nel mio paese i contadini ci hanno cacciate via me e mia sorella con l'accetta, allora abbiamo vissuto per due mesi da una sorella, poi per altri due mesi in una specie di orfanotrofio, successivamente in diversi campi di transito. Non sapevamo dove andare e quindi abbiamo incominciato ad andare in un paese all'altro con il piano di andare un giorno in Palestina, quello che era il sogno della mamma, da bambina non si cenava e prima di mettermi a dormire mi raccontava questa favola “Saremo tutti fratelli - Saremo felici lì”.Sono arrivata in Israele dove ho vissuto per due anni circa.Anche lì, non riuscivo a inserirmi. Del paradiso terrestre da lei sognato nemmeno l'ombra, non poteva esserci dopo la guerra arabo-israeliana del 1948. 
Non ci hanno accolto, né ascoltate, volevamo raccontare ma ci hanno zittite.
Volevo in qualche maniera essere accolta a braccia aperte, ma questo non è successo, eravamo totalmente smarriti in un mondo in macerie dopo la guerra. Ognuno si occupava dei propri problemi, del proprio vissuto. Eravamo soltanto una specie di avanzi di vita e basta. Ho cominciato a emigrare in un paese all'altro finché mi sono trovata per puro caso a Napoli,dove mi sentivo in qualche maniera voluta solo con gli sguardi,con i sorrisi, c'era qualcosa di familiare. Vedevo dei panni fuori che svolazzavano,la gente che parlava da una finestra all'altra. Mi piaceva molto questa cosa, mi riportava alla campagna,io vengo dalla campagna e poi alla fine sono finita a Roma e ho iniziato la vera vita qua, avevo una casa se così si può definire una stanza ammobiliata lavoravo dodici ore al giorno e ho cominciato a scrivere soltanto qui il primo libro che avevo iniziato in Ungheria nel 1946 ma l'ho dovuto buttar via perché sono uscita dal paese clandestinamente. Ho realizzato il mio sogno di scrivere, un sogno che coltivavo fin da bambina e naturalmente ho scritto un libro autobiografico che venne pubblicato nel 1959. Però, quando ho iniziato a scrivere non ho pensato “Oh Dio, sto scrivendo un libro”, io dovevo buttare fuori almeno in parte quel veleno che tenevo dentro che nessuno voleva ascoltare e quindi ho detto la carta sopporta tutto e ho incominciato quando ho imparato abbastanza bene l'italiano, ho finito questo povero libro e da allora non ho mai smesso di scrivere e pubblicare e parlare nelle scuole con i ragazzi da almeno 70 anni quasi, i ragazzi hanno bisogno di sapere.


D: NELLA SUA VASTA PRODUZIONE LETTERARIA, CHE NON SI LIMITA AI TEMI DELL'OLOCAUSTO. HA TRADOTTO, SPESSO IN COLLABORAZIONE CON NELO RISI, I PIÙ GRANDI POETI UNGHERESI, GYULA ILLYÉS, RUTH FELDMAN, ATTILA JÒZEPH E MIKLÓS RADNÓTI. A QUALE POESIA O LIBRO È PARTICOLARMENTE LEGATA? E PERCHÉ?

R: József Attila anche Radnóti, però è molto difficile scegliere tra i poeti, perché in Ungheria c'era una grande tradizione poetica, grandi traduttori anche. Io ho tradotto soltanto due libri dall'Ungherese e poi uno con mio marito, Illyés che è un'altro grande poeta. Negli ultimi anni non riesco a trovare un solo poeta che io possa tradurre, perché volevo ancora tradurre qualcosa, amo molto la poesia da sempre. Dicevo a mia madre:  “Mamma io voglio essere una poeta” 
e lei rispondeva: “Va bene,se vuoi morire di fame”. 
Quando incontrai per la prima volta mio marito Nello Risi non sapevo nulla su di lui neanche il suo nome, lo guardai e dissi ad un mio amico questo è l'uomo della mia vita e così è stato. Oltre ad essere un regista, documentarista, era un poeta anche lui. 


D: PENSA CHE CI SIA QUALCOSA RIGUARDANTE LA SHOAH CHE NON SIA ANCORA STATO DETTO?

R: Ci sono tantissime cose secondo me, credo che non si potrà mai raccontare quello che si è vissuti e visto, impossibile.
Devo dire che io sono stata in centinaia di scuole però non si può dire mai abbastanza perché è molto difficile,da una parte non puoi dire ai ragazzini di quattordici quindici anni quelle mostruosità di cui l'uomo è capace ti autocensuri quasi ti vergogni tu di quello che hai vissuto e da un'altra parte quel dolore e quel vissuto non passa mai vive con te per tutta la vita è una gabbia da cui non si esce,non è possibile uscirne in nessun modo, forse noi stessi ci mettiamo dentro non lo so. Per di più ci sono tutte queste cose che abbiamo vissuto e stiamo vivendo ogni giorno che è impossibile anche se non c'entra nulla con il passato ma diciamo che la guerra d' Ucraina è sempre una mostruosità che l'uomo fa contro il proprio simile.


D: COSA PENSA CHE DEVONO IMPARARE I GIOVANI D'OGGI DALLA VITA CHE ANCORA NON SANNO?  

R: Tante cose. Molti hanno capito, perché lo dimostrano attraverso i loro disegni,le lettere, i messaggi.Il mese scorso sono andata a Assisi c'erano mille ragazzi a questo incontro, provenivano dappertutto è stato molto bello anche se faticoso tra l'altro faceva anche freddo. 
Credo che loro hanno bisogno di sapere perché non c'è molta comunicazione tra genitori e figli, tra nonni e nipoti. Questo è un disastro perché si vive separati all'interno della famiglia forse la voce esterna viene ascoltata. Per un genitore sopravvissuto è difficile raccontare ai figli quello che ha vissuto,non c'è mai tempo di raccontare questa mostruosità anche se è importante, i ragazzi devono sapere per il loro futuro. Devono capire cosa vuol dire il razzismo, l'antisemitismo, l'odio verso il prossimo è molto importante la solidarietà tra esseri umani bisogna allontanarli da qualsiasi pregiudizio.
Per i primi vent'anni piangevo sempre perché era ancora molto fresca la ferita,ogni tanto crollo anche adesso ,questa cosa non è mai superabile dico a me stessa che finché mi sento così e finché l'altro piange (perché ho visto anche ragazzi piangere)vuol dire che sentiamo,vuol dire che siamo sensibili,non siamo diventati di legno. Il problema è che la gente diventa sempre più indifferente come se non li toccasse quello che accade. Io credo che tutto quello che accade ci riguarda anche quello che accade a duemila chilometri ci riguarda.


Desidero ringraziare Edith Bruck  per la sua disponibilità nel concedermi questa intervista.


Intervista a cura di C.L

© Riproduzione riservata













24 marzo 2022

RECENSIONE DEL LIBRO: MAI STATI INNOCENTI DI VALERIA GARGIULLO


NOTE SULL' AUTRICE

Valeria Gargiullo nata nel 1992 proviene da un quartiere popolare di Civitavecchia e cerca nella scrittura una forma di riscatto. Ha frequentato il Master in Tecniche della Narrazione della scuola Palomar. Attualmente vive a Roma, dove studia Lettere. 


SINOSSI

Uno stradone di un chilometro divide Civitavecchia a metà. Da una parte Santa Fermina, con le sue villette a due piani e le vie coi nomi dei fiori; dall’altra Campo dell’oro, i casermoni popolari e i fumi degli impianti industriali che corrodono l’anima delle persone. Di là, un futuro prospero, le bollette in regola, le vacanze al mare; di qua, le famiglie arrancano e i figli, abbandonati a loro stessi, sognano una fuga impossibile. È quello che fa anche Anna, che ha studiato duramente e messo i soldi da parte per potersene andare via, lontano, all’università. Poche settimane ancora e finalmente salirà su un treno, pronta a costruirsi una vita diversa. Tutto sembra andare in frantumi quando Anna vede Simone, il suo fratellino di quattordici anni, in sella a un motorino, con un martello in mano, insieme alla feroce banda criminale che controllala zona. I Sorci, li chiamano, e nei loro affari è bene non immischiarsi mai. Anna vorrebbe salvarlo, ma sa che concerta gente è impossibile trattare. Si scende a patti, semmai, fino alle estreme conseguenze.


COSA NE PENSO

Il romanzo sociale d'esordio di Valeria Gargiullo, è un testo che fornisce una visione autentica di un quartiere difficoltoso, Campo dell'oro.
L' autrice non si limita solo a narrare il lato oscuro e gli effetti negativi su chi cresce in un contesto sociale fragile, a prescindere dalla condizione personale. Un inferno, ma senza fiamme visibili. Tutto sembra rimanere uguale a prima nonostante i fatti di cronaca nera.
Ma traccia soprattutto lo squarcio interiore in ognuno dei personaggi da Anna, Simone, Livia e Lorenzo.
In conclusione,“Mai stati innocenti” è un invito a guardare quei luoghi che sono considerati distanti e diversi ma che in realtà sono semplicemente lo specchio dei difetti della società in cui viviamo.  
Consigliato.

Buona lettura!

Recensione a cura di C.L

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18 marzo 2022

RECENSIONE DEL LIBRO: “CARO PIER PAOLO” DI DACIA MARAINI



NOTE SULL' AUTRICE

Dacia Maraini, figlia dell’orientalista Fosco e di Topazia Alliata di Salaparuta, discendente da una nobile famiglia siciliana, trascorse l’infanzia in Giappone. Ritornata in Italia, dopo un periodo a Bagheria, raggiunse il padre a Roma, ormai separato dalla madre. Nel 1957 fondò insieme ad altri la rivista letteraria «Tempo della letteratura». È stata a lungo compagna di Alberto Moravia. Tutte le sue Opere sono raccolte in un Meridiano di recente pubblicazione. Con la raccolta di racconti Buio (1999) si è aggiudicata il Premio Strega. Con La lunga vita di Marianna Ucrìa (1990), tra i romanzi italiani più venduti degli ultimi decenni, ha vinto il premio Campiello.

SINOSSI

«Caro Pier Paolo, ho in mente una bellissima fotografia di te, solitario come al solito, che cammini, no forse corri, sui dossi di Sabaudia, con il vento che ti fa svolazzare un cappotto leggero sulle gambe. Il volto serio, pensoso, gli occhi accesi. Il tuo corpo esprimeva qualcosa di risoluto e di doloroso. Eri tu, in tutta la tua terribile solitudine e profondità di pensiero. Ecco io ti immagino ora cosí, in corsa sulle dune di un cielo che non ti è piú ostile». Dacia Maraini



COSA NE PENSO
 
In queste pagine del libro “Caro Pier Paolo” Dacia Maraini ci regala in forma di parole la stima e l'affetto per l'amico Pier Paolo Pasolini.
Per chi non ha mai letto le opere di Pasolini, l'autore apparteneva alla corrente neorealista, pur dando ad essa un'impronta del tutto personale. 
Usava un gergo molto dialettale, con il quale esprimeva un mondo suburbano, crudo e violento. Un poeta malinconico, silenzioso, introverso, le cui opere si possono comprendere al meglio solo se non te ne fai spaventare perché ti porta ad una conoscenza più profonda del mondo.
Attraverso la voce di Dacia Maraini conosciamo un Pasolini inedito, tra viaggi estremi in paesini sperduti dell'Africa e per il mondo,le esperienze artistiche e cinematografiche, aneddoti e sodalizi con Alberto Moravia, Maria Callas, Elsa Morante e Ninetto.
In conclusione,“Caro Pier Paolo” è un testo colmo di tenerezza,che ci giunge come per magia nel centenario dalla sua nascita. Consigliato!
Buona lettura

Recensione a cura di C.L

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14 marzo 2022

INTERVISTA A GIUSEPPINA TORREGROSSA


Cari lettori,

Oggi ho il piacere di ospitare nel mio blog Giuseppina Torregrossa,una delle scrittrici italiane più amate. L' autrice, vive tra la Sicilia e Roma, dove ha lavorato per più di vent'anni come ginecologa, occupandosi attivamente, tra le altre cose, della prevenzione e cura dei tumori al seno.
Nel 2007 ha pubblicato il suo primo romanzo, L'assaggiatrice e con il monologo teatrale Adele ha vinto nel 2008 il premio opera prima "Donne e teatro" di Roma. Tra gli altri suoi romanzi ricordiamo Il conto delle minne (Mondadori 2009), tradotto in dieci lingue, Manna e miele, Ferro e fuoco (Mondadori 2011), Panza e prisenza (Mondadori 2013), La miscela segreta di casa Olivares (Mondadori 2014), ll figlio maschio (Rizzoli 2015), Cortile nostalgia (Rizzoli 2017), Il basilico di Palazzo Galletti (Mondadori 2018), Il sanguinaccio dell'immacolata (Mondadori 2019), Al contrario (Feltrinelli 2021) e Morte accidentale di un amministratore di condominio (Marsilio, 2021). Nel 2015 è stata insignita del Premio Baccante. 

 
D: COM'È NATA LA SUA PASSIONE PER LA SCRITTURA? 

R: Forse è nella mia natura. Ho sempre scritto fin da piccola, diari, pensiero in libertà nell'infanzia, nell’adolescenza molte lettere d’amore, progetti di ricerca e infine romanzi.


D: ESORDISCE COME SCRITTRICE NEL 2007, CON IL ROMANZO L'ASSAGGIATRICE. A QUESTO PROPOSITO QUALCUNO HA STORTO IL NASO DAVANTI AL SUO ROMANZO. CHE NE PENSA? 

R: Non saprei io non ne avevo notizia che qualcuno avesse storto il naso e comunque non si può piacere a tutti.


D: NEI SUOI ROMANZI RACCONTA UNA SOCIETÀ ARCAICA, CUPA, OSCURA, NELLA QUALE IL PREGIUDIZIO SULLE DONNE SI INTRECCIA CON LA VOGLIA DI RISCATTO DI QUEST'ULTIME. SECONDO LEI, COSA SI È FATTO E COSA SI PUÒ ANCORA FARE PER NOI DONNE? 

R: Le donne hanno fatto un faticoso percorso per ottenere il giusto riconoscimento dei loro diritti, ma ancora molto c’è da fare: le donne guadagnano meno degli uomini e non fanno carriera. Ci vorrà del tempo, ma ce la faremo. Ci vuole molto impegno.


D: NEI SUOI LIBRI COMPAIONO PIATTI SIMBOLO DELLA SICILIA, UOMINI E DONNE INTENTI A PORTARE AVANTI ANTICHI RITI, RELIGIOSI, SOCIALI.QUAL È IL MESSAGGIO CHE VUOLE TRASMETTERE ATTRAVERSO I SUOI LIBRI? 

R: Nessun messaggio, io racconto storie. Piatti, riti, servono a contestualizzare la
Storia.


D: QUALI EMOZIONI LE TRASMETTE SCRIVERE E COSA PROVA QUANDO METTE LA PAROLA FINE AD UNA SUA STORIA? 

R: Scrivere serve a fare chiarezza, a capire i miei desideri profondi, a mettere ordine tra le idee. E ala fine mi sento più matura e anche più leggera 


D: CON QUALI COLORI DESCRIVEREBBE I SUOI PERSONAGGI?

R: Azzurro come il desiderio che ho di equilibrio, rosso come la passione che mi muove, verde per raccontare la natura, giallo perché ogni parola è una pepita d’oro…


D: PROGETTI PER IL FUTURO?

R: Scrivere ancora e ancora scrivere finché avrò forza.


Desidero ringraziare Giuseppina Torregrossa per la sua disponibilità nel concedermi questa intervista.


Intervista a cura di C.L

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08 marzo 2022

INTERVISTA A MAURIZIO DE GIOVANNI, TRA LIBRI E TEATRO.


I suoi romanzi sono stati tradotti in tutto il mondo e sono stati sempre in vetta alle classifiche dei libri più letti e più venduti.
Dalle indagini del “Commissario Ricciardi”, ai poliziotti dei “Bastardi di Pizzofalcone” fino alle avventure di “Mina Settembre”, tutte grandi serie di successo.
Maurizio De Giovanni, è tornato in libreria lo scorso 3 febbraio con il libro L'equazione del cuore edito da Mondadori
Un libro diverso dai suoi precedenti romanzi.



D: COSA L’HA SPINTA AD INTRAPRENDERE LA CARRIERA DI SCRITTORE?

R: Sono stato sempre un lettore bulimico. Ho letto e leggo di tutto, sin da bambino, ma non avrei mai pensato di poter cominciare a scrivere a mia volta, e incredibilmente pure con successo. Ho sempre ritenuto che lo scrittore fosse una sorta di divinità e non avrei avuto il coraggio di intraprendere un’attività che ritenevo a me assolutamente preclusa se alcuni colleghi, cui non era sfuggita, e come avrebbe potuto? la mia propensione compulsiva alla lettura, non mi avessero iscritto a mia insaputa a un concorso letterario nel lontano 2005. Come se leggere fosse sufficiente per scrivere. O forse è proprio così.
Fatto sta che vinsi inaspettatamente quel concorso, in cui incontrai per la prima volta Luigi Alfredo Ricciardi, e da allora non mi sono più fermato. Anzi, non solo non ho nulla di inedito nel cassetto, ma non trovo il tempo di scrivere tutto quello che mi viene chiesto.
In sintesi, è stato il caso, aiutato da amici che non ho mai ringraziato abbastanza, a rendermi uno scrittore. Mi fa ancora impressione definirmi così, ma pare sia proprio vero.


D: QUALI SONO I GENERI LETTERARI CHE PREFERISCE?

R: Come dicevo leggo di tutto, senza preferenze di genere. Credo che esistano libri belli e libri brutti, e che il genere serva solo a scegliere lo scaffale giusto su cui collocarli. Ovviamente, tra i miei preferiti ci sono i gialli (ritengo che Simenon, per fare un nome, sia tra i massimi scrittori del Novecento). Ma negli ultimi tempi leggo anche molta saggistica: ho bisogno di verificare l’esattezza o almeno la verosimiglianza dei fatti che racconto nei miei libri, soprattutto nei miei non contemporanei.


D: DOVE TROVA L’ISPIRAZIONE PER I SUOI LIBRI?

R: Lo dico sempre: io sono napoletano e per non scrivere, con tutti gli stimoli che la città riesce a dare in ogni momento a chiunque si fermi a guardarla, dovrei essere analfabeta.
A parte gli scherzi, le storie mi arrivano senza che io le cerchi. Mi basta immergermi nel variegato tessuto sociale, percorrendo strade e vicoli, preferibilmente in discesa, in modo da non farmi distrarre dalla fatica della salita. E il gioco è fatto.


D: CHE SENSAZIONE SI PROVA DOPO AVER SCRITTO UN LIBRO?

R: Non lo so di preciso. Immagino sollievo. Sicuramente per mia moglie è così.
Ma io non ho il tempo di assaporare la quiete dopo la tempesta: prima di finire un lavoro già trovo nei mei pensieri il seme del successivo.


D: PER LA PRIMA VOLTA NEL SUO NUOVO LIBRO, LEI VA OLTRE IL GENERE GIALLO. CHE MESSAGGIO HA VOLUTO LANCIARE CON “L'EQUAZIONE DEL CUORE”?

R: Nessun messaggio, per carità. La letteratura non ne ha, e non deve averne, soprattutto quando si parla di narrativa. Piuttosto, è una storia che viene da lontano. Quando facevo le prime ricerche per ricostruire l’ambientazione dei libri di Ricciardi mi imbattei in Paul Dirac, premio Nobel nel 1933, al cui nome è legata l’equazione più bella del mondo, quella che di solito si definisce del cuore: in soldoni, due sistemi che entrano in contatto per qualsivoglia motivo continueranno a influenzarsi l’un l’altro anche quando saranno separati nuovamente.
La cosa, a me che sono tutt’altro che un matematico, rimase impressa. Appena ho potuto, ho momentaneamente lasciato, probabilmente nemmeno del tutto, la comfort zone del noir e ho scritto qualcosa di diverso che pare stia piacendo molto al pubblico, bontà sua.


D: OLTRE AD ESSERE UNO SCRITTORE, HA SCRITTO ANCHE PER IL TEATRO, ADATTANDO "QUALCUNO VOLÒ SUL NIDO DEL CUCULO" DI KESEY E "AMERICAN BUFFALO" DI MAMET. CI RACCONTI LA SUA ESPERIENZA?

R: Per me il teatro è l’attività di maggiore soddisfazione: molto veloce, visto che si basa sui dialoghi in cui, mi dicono, sono bravino, e al contempo di grande impatto emotivo.
Le due esperienze da te citate mi hanno messo a confronto con due mostri sacri ma il risultato è stato meraviglioso, a mio modo di vedere, in entrambi i casi.
Adattando “Qualcuno volò sul nido del cuculo” ho avuto modo di cominciare la mia collaborazione con Alessandro Gassmann, regista, collaborazione che dura tuttora e andrà a intensificarsi ulteriormente. Se Ale è indubitabilmente un magnifico attore, che ha dato sangue e carne al mio Lojacono, è secondo me un regista di spessore se possibile ancora superiore, portatore di idee nuove anche dal punto di vista della scenografia.
American Buffalo ha visto invece la regia di Marco d’Amore, anche lui una sorpresa per la competenza e la professionalità dimostrate in un campo che erroneamente credevo non suo.
In entrambi gli adattamenti, non ho potuto far altro che spostare la scena da quella americana alle realtà a me più vicine, nel primo caso il manicomio criminale di Aversa al tempo del Mundial del 1982, e nel secondo caso la Napoli contemporanea.
Ma oltre e più ancora degli adattamenti, il teatro mi gratifica con le cose mie, ultima in ordine cronologico Mettici la mano, una sorta di spin off del mondo di Ricciardi che mi ha emozionato per il consenso straordinario che il pubblico gli ha riservato.


D: PROGETTI PER IL FUTURO?

R: Sto per cominciare a scrivere un nuovo episodio di Sara per i tipi di Rizzoli che, se riesco, vorrei uscisse in tempo per il Salone del Libro di Torino.
E poi continuano le fiction: oltre a quelle già in essere sto lavorando a nuovi progetti fuori da Mamma RAI.
Ma in questo periodo, ripeto, il mio cuore è per il teatro e da poco per il cinema: dopo Il Silenzio Grande, che ha fatto incetta di premi, L’equazione del cuore diventerà presto un film, sempre con la regia di Alessandro Gassmann, che dovrebbe esserne anche il protagonista. Incrociamo le dita.


Ringrazio Maurizio De Giovanni per aver risposto alle mie domande.


 

Intervista a cura di C.L


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25 febbraio 2022

INTERVISTA A MICHELA ZANARELLA, AUTRICE DEL LIBRO “RECUPERO DELL' ESSENZIALE”


Cari lettori,

L' ospite di oggi è Michela Zanarella, giornalista, autrice di libri di narrativa e testi per il teatro, è redattrice di Periodico italiano Magazine e Laici.it. Le sue poesie sono state tradotte in inglese, francese, arabo,spagnolo, rumeno, serbo, greco, portoghese, hindi, cinese e giapponese. 
È tra gli otto co-autori del romanzo di Federico Moccia “La ragazza di Roma Nord” edito da SEM. 
Dopo il fortunato “Le parole accanto” pubblicato con Interno Poesia nel 2017, a distanza di cinque anni esatti, Michela Zanarella torna in libreria con ‘Recupero dell’essenziale’ Interno Libri, progetto editoriale di Interno Editoria, casa editrice che ha fondato e gestisce il marchio Interno Poesia Editore. ‘Recupero dell’essenziale’ prende forma dal mistero delle coincidenze. Il libro è il frutto di un recupero di poesie andate perdute, ritrovate con l’aiuto di alcuni amici dell’autrice. La raccolta, con prefazione di Dante Maffia e postfazione di Anna Santoliquido, è dedicata all’amica Marcella Continanza, voce nota della poesia contemporanea, ideatrice del Festival della Poesia Europea di Francoforte sul Meno, scomparsa il 29 aprile 2020. 


D: CI VUOI RACCONTARE CHI SEI, COSA FAI NELLA VITA?

R: Sono nata a Cittadella in provincia di Padova nel 1980. Ho vissuto fino al 2007 con la mia famiglia a Campo San Martino, piccolo paese della provincia di Padova, nel cuore della pianura padana. Per amore mi sono trasferita a Roma e dal 2010 vivo a Monteverde, quartiere in cui hanno vissuto grandi nomi della letteratura come Pier Paolo Pasolini, Gianni Rodari, Giorgio Caproni. Quando mi trovavo in Veneto lavoravo in una azienda di commercio delle carni come amministrativa. Ora mi occupo di comunicazione e relazioni internazionali, sono giornalista pubblicista e collaboro con la redazione di Periodico Italiano Magazine e Brainstorming Culturale. 


D: COM' È NATA LA TUA POESIA E COME DEFINIRESTI IL TUO STILE?

R: Ho iniziato a scrivere dopo un tragico incidente stradale al quale sono sopravvissuta. La poesia è arrivata in modo inaspettato, unico, come un dono. Molto probabilmente dovevo iniziare un percorso di conoscenza interiore e la poesia era lo strumento ideale per compiere questa esperienza. Ho iniziato a pubblicare i primi versi in alcuni blog e forum di poesia, mi sono fatta conoscere partecipando attivamente nel web e anche attraverso i concorsi letterari. Nel 2006 è arrivata la pubblicazione della mia prima raccolta “Credo” con un’associazione culturale calabrese. Da allora ho sempre continuato a scrivere e al momento ho pubblicato diciassette libri, alcuni anche all’estero. Definirei il mio stile classico, ma con una sua attualità. Sono legata alla tradizione della poesia che si nutre di metafore, similitudini, assonanze, immagini, ritmo, ma mi piace sperimentare cercando di puntare ad una scrittura riflessiva, molto meditativa. 


D: CI SONO POESIE CHE NON POTRESTI MAI FARE A MENO DI RILEGGERE?

R: Si, amo le poesie di Emily Dichinson, la rileggo spesso, perché la considero poetessa autentica, voce inimitabile. I suoi componimenti brevi e privi di punteggiatura rispecchiano il mio concetto di poesia che abbraccia il cosmo nell’essenzialità. 


D: SE DOVESSI ILLUSTRARE IL CONTENUTO DELLA RACCOLTA AD UN POTENZIALE LETTORE, COME LO RIASSUMERESTI?

R: La mia raccolta affronta molteplici tematiche di valore universale: troviamo l’amicizia, l’amore, la memoria, il tempo, la natura, l’esistenza. E’ un viaggio di esplorazione tra emozioni e sentimenti, luci ed ombre, in cui ognuno può riconoscersi. Alcune esperienze possono coincidere con il percorso di chi legge, inoltre le dediche ai poeti del passato possono diventare un modo originale per approfondire meglio le loro opere.  


D: QUALI AUTORI HANNO INDIRIZZATO E INFLUENZATO MAGGIORMENTE LA TUA
FORMAZIONE POETICA?

R: Come ho già accennato prima, sicuramente Emily Dichinson è un riferimento per la mia scrittura. Più la leggo e più mi appassiono al suo mondo, la trovo attuale e potente, le sue parole volteggiano e toccano vette altissime. Amo molto Pier Paolo Pasolini, con il suo stile critico, acuto e pungente, impegnato civilmente. Ci sono diversi autori che apprezzo come: Sandro Penna, Vittorio Sereni, Umberto Saba, e i classici Giacomo Leopardi, Giovanni Pascoli. Ognuno ha una identità poetica riconoscibile. Credo sia fondamentale leggere chi ci ha preceduto per apprendere metodo, bellezza, profondità. Riuscire ad acquisire uno stile proprio è la grande sfida. 


D: COME MAI NELLE TUE POESIE HAI DECISO DI DEDICARE DEI VERSI A ORIANA FALLACI E ALTRI AUTORI DEL PASSATO?

R: Spesso dedico versi ai poeti o agli autori che leggo e approfondisco. Mi sembra interessante fare un percorso parallelo tra le loro opere e la mia scrittura. Diventa uno stimolo per mettermi alla prova. Nel caso di Oriana Fallaci e gli altri inclusi nel volume, le poesie sono nate dopo alcuni contest dedicati, organizzati da alcune associazioni culturali, come Euterpe, di Lorenzo Spurio. Mi piaceva l’idea di recuperare gli omaggi, come feci nel 2017 con la raccolta “Le parole accanto” pubblicata da Interno Poesia. In quell’occasione il libro era diviso in due parti: la prima con gli affetti, i ricordi, le origini, la seconda parte tutta dedicata ai poeti che avevo letto e amato. 


D: HAI ALTRI LAVORI NEL CASSETTO? SE SÌ, PUOI DARCI QUALCHE ANTICIPAZIONE?

R: È appena uscita in Colombia una raccolta bilingue italiano/spagnolo “La verdad a la luz” con Papel y Lapiz, realtà editoriale diretta da Aaron Parodi. Le traduzioni in spagnolo sono a cura di Elisabetta Bagli, poeta, traduttrice, e promotrice culturale italiana, ma residente a Madrid, molto attiva nel panorama letterario internazionale. La prefazione è della docente e autrice Brunhilde Roman Ibáñez, la copertina della pittrice Tatyana Zaytseva. Ho in lavorazione anche una nuova raccolta di poesie, ma è prematuro parlarne. Credo mi dedicherò alla narrativa, avendo da anni un romanzo in sospeso. I progetti non mancano, vedremo cosa mi riserverà il futuro. Non faccio quasi mai previsioni a lungo termine, perché so che tutto può cambiare. Per ora mi dedico ai libri usciti, perché una volta pubblicati inizia il loro percorso. Spero che i lettori colgano l’invito a conoscere la mia poesia.


Ringrazio per aver reso possibile questa intervista Simona Mirabello, addetta Ufficio Stampa di Michela.



COSA NE PENSO

L' autrice nei suoi compimenti rappresenta le esperienze del vivere quotidiano e ne coglie le forti e intime emozioni che investono l'anima.
Di seguito, ho deciso di pubblicare una delle sue poesie a mio parere più significative.
 
«Ci sono notti
che s’inventano stelle sulla pelle
e vorrebbero che la luce fosse un ciliegio
che non smette mai di fiorire
se fosse facile capire che il buio
è un preludio di albe dismesse
coglieremo tutte le ombre
anche le più scompigliate.
Il sole come l’amore non scompare
si muove tra le fronde dentro gli astri
è una tenera presenza che spinge ai talloni del giorno saldo ai sogni scorre tra le curve della luna senza sapere di essere l’eco di una memoria crepuscolare.»

Buona lettura!


Intervista e recensione a cura di C.L

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23 febbraio 2022

RECENSIONE DEL LIBRO: TREMA LA NOTTE DI NADIA TERRANOVA


NOTE SULL' AUTRICE

Nadia Terranova, nata a Messina nel 1978, si è laureata in filosofia e si è dottorata in storia moderna. Per Einaudi ha scritto i romanzi "Gli anni al contrario" (2015, vincitore di numerosi premi tra cui il Bagutta Opera Prima, il Brancati e l'americano The Bridge Book Award) e "Addio fantasmi" (2018, finalista al Premio Strega, vincitore del premio Subiaco Città del libro, del premio Alassio Centolibri, del premio Nino Martoglio e del premio Mario La Cava). Ha scritto anche diversi libri per ragazzi, tra cui "Bruno il bambino che imparò a volare" (Orecchio Acerbo 2012), "Casca il mondo" (Mondadori 2016) e "Omero è stato qui" (Bompiani 2019, selezionato nella dozzina del Premio Strega Ragazzi), e un saggio sulla letteratura per ragazzi, "Un'idea di infanzia" (ItaloSvevo 2019). Le sue opere sono tradotte in tutto il mondo.


SINOSSI

28 dicembre 1908: il piú devastante terremoto mai avvenuto in Europa rade al suolo Messina e Reggio Calabria.
Nadia Terranova attinge alla storia dello Stretto, il luogo mitico della sua scrittura, per raccontarci di una ragazza e di un bambino cui una tragedia collettiva toglie tutto, eppure dona un'inattesa possibilità. Quella di erigere, sopra le macerie, un'esistenza magari sghemba, ma piú somigliante all'idea di amore che hanno sempre immaginato. Perché mentre distrugge l'apocalisse rivela, e ci mostra nudo, umanissimo, il nostro bisogno di vita che continua a pulsare, ostinatamente.

«C'è qualcosa di piú forte del dolore, ed è l'abitudine». Lo sa bene l'undicenne Nicola, che passa ogni notte in cantina legato a un catafalco, e sogna di scappare da una madre vessatoria, la moglie del piú grande produttore di bergamotto della Calabria. Dall'altra parte del mare, Barbara, arrivata in treno a Messina per assistere all'Aida, progetta, con tutta la ribellione dei suoi vent'anni, una fuga dal padre, che vuole farle sposare un uomo di cui non è innamorata. I loro desideri di libertà saranno esauditi, ma a un prezzo altissimo. La terra trema, e il mondo di Barbara e quello di Nicola si sbriciolano, letteralmente. Adesso che hanno perso tutto, entrambi rimpiangono la loro vecchia prigione. Adesso che sono soli, non possono che aggirarsi indifesi tra le rovine, in mezzo agli altri superstiti, finché il destino non li fa incontrare: per pochi istanti, ma cosí violenti che resteranno indelebili. In un modo primordiale, precosciente, i due saranno uniti per sempre.


COSA NE PENSO

Il 28 dicembre 1908, un terremoto di smisurate proporzioni colpisce Reggio Calabria, Messina e i paesini circostanti. 
È la più grave catastrofe dell'appena nato Stato italiano si trovi ad affrontare. 
Un dramma che lasciò ai vivi la consapevolezza di rinascere su di un campo di morti. 
Una Nouvelle Histoire dove le idee, assieme ai comportamenti, vengono poste all'interno delle condizioni sociali di inizio Novecento.
La protagonista è Barbara, una giovane donna forte, risoluta, indomita, è certa di quello che vale, di ciò che può raggiungere.  Il terremoto le darà la possibilità di liberarsi di tutte le costrizioni da cui era sempre stata intrappolata, di vivere la tanto agognata libertà che pagherà, purtroppo a caro prezzo.
Oltre a Barbara, conosceremo, Elvira, Rosalba e Jutta. Ma in questo romanzo non si parlerà solo di loro, ma di Nicola, un bambino “invisibile” agli occhi degli altri,un bambino emotivamente fragile e sensibile, che si riscoprirà forte e ben diverso da come appare all'inizio.
Nadia Terranova dedica anche buona parte del romanzo alla figura di un'altra figlia di Messina, Letteria Montoro, una scrittrice “dimenticata".Una donna “di spiriti liberali”.
Letteria Montoro è stata una scrittrice romantica, poetessa di manifesta ispirazione leopardiana e rara sensibilità, nello scenario letterario di metà ‘800.
In conclusione, questo romanzo colpisce molto per la trama e per come l’autrice sia stata in grado di creare dei personaggi indimenticabili, grazie ai quali riesce a dar voce a tutti coloro che lottano da sempre i pregiudizi, l' esperienza del dolore e la denuncia sociale.
Il linguaggio è chiaro, lineare e scorrevole. I dettagli sono descritti in modo accurato e preciso, incisivo e perfetto il connubio tra magia e realtà.
Consiglio vivamente la lettura di questo interessante libro.


Recensione a cura di C.L

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