04 giugno 2022

INTERVISTA A PATRIZIA SERRA, AUTRICE DEL LIBRO: IL GIORNO IN CUI DIVENTAI MIA MADRE.



Cari lettori,

L'ospite di questa nuova intervista è Patrizia Serra, nata a Cagliari ma milanese di adozione, è giornalista dal 1990 e si è occupata per anni di costume e psicologia sulle pagine di Cosmopolitan, Gioia e Donna moderna e tanti altri femminili italiani poi un trasferimento all'estero lungo quasi dieci anni e il ritorno a Milano con la voglia di ricominciare a scrivere. “Il giorno in cui diventai mia madre ” è il suo primo romanzo edito da Excogita


D: GIORNALISTA, APPASSIONATA DI LIBRI: CHI È PATRIZIA?

R: Lo sapessi… Mi sembra una persona tranquilla: una mamma che adora i suoi due figli, una che scrive per lavoro e fa traduzioni dall’italiano all’inglese. Ogni tanto però mi stupisce, specie quando si mette in testa qualcosa: la persegue finché non la realizza.


D: QUALE È STATA LA TUA SODDISFAZIONE PIÙ GRANDE DA UN PUNTO DI VISTA PROFESSIONALE?

R: La mia più grande soddisfazione dal punto di vista lavorativo, in realtà sono state tre:
la prima è stata diventare giornalista professionista a Cosmopolitan. Forse per le giovani di oggi è una rivista femminile come tante, ma in realtà è un magazine che ha fatto storia. Nato nel 1886 come rivista per la famiglia, dal 1965, diventa un femminile indirizzato a una donna moderna, single e in carriera. È stato il primo giornale a supportare l’idea che la donna dovesse godersi la sua vita e il sesso senza vergogna o sensi di colpa, come un qualsiasi uomo. Un concetto rivoluzionario all’epoca.
La seconda soddisfazione è stata la creazione, 15 anni fa, di un sito dedicato alla pronuncia corretta dei nomi stranieri, il primo in Italia. Si chiama Comesipronuncia.it ed è un dizionario enciclopedico audio che offre la pronuncia dei nomi famosi internazionali: iniziato per gioco, ora è un sito che supera i 10.000 utenti al giorno. 
La terza soddisfazione è il motivo di queste domande: la pubblicazione del mio primo romanzo, che ora partecipa al Premio Comisso 2022.


D: ESISTE UN LIBRO CHE HA AVUTO UNA GRANDE INFLUENZA NELLA TUA VITA? 

R: Ho sempre letto tanto e mi sento di dire che ogni libro ha lasciato una qualche traccia nella mia vita. Ma più che di singolo libro parlerei di autori: Doris Lessing, di cui avevo letto praticamente tutto prima dei trent’anni, mi ha fatto crescere come donna; Marquez mi ha insegnato a vedere il lato magico della realtà; Proust mi ha fatto assaporare il tempo che scorre piano, senza fretta, trasmettendomi il piacere dei ricordi. La sua “Recherche du temps perdu” mi ha fatto compagnia per due anni, il periodo che ho impiegato a leggermela tutta in francese.


D: QUALE È IL PEZZO PIÙ BELLO CHE HAI SCRITTO? 

R: Ho cominciato con articoli di costume negli anni 90: puoi immaginare quante idiozie ho scritto, col senno di poi. Il pezzo che considero il migliore è invece un reportage da Cuba nel 1991, quando visitare L’Havana non era ancora possibile per tutti. Il latte e la carne erano razionate e le donne si inventavano ricette per affrontare la fame: preparavano persino delle frittelle fatte di buccia di banana. Eppure, nonostante la miseria, si respirava contentezza.


D: C'È QUALCOS'ALTRO CHE VUOI AGGIUNGERE... CHE VORRESTI DIRE AI TUOI LETTORI?

R: Studiate, leggete tanto e seguite i vostri sogni. Sempre.


D: PROGETTI PER IL FUTURO? 

R: Per il tempo che mi avanza (considerando che sono grandicella), continuare a scrivere.





SINOSSI 

Con ironia e piglio irriverente, il romanzo di Serra penetra le sfumature psicologiche di una donna abituata a porre le figure maschili al centro del proprio sistema di valori: le parole di approvazione o dissenso di un marito completamente votato alla carriera sono l’unico specchio attraverso il quale la protagonista misura il mondo e il proprio io. Ma il “gene della servitù”, tramandato da una lunga genealogia al femminile, si sgretola progressivamente sotto il peso del rispetto verso se stessa, della passione per il giornalismo e dell’ennesimo lussuoso trasloco intercontinentale, fino a rendere visibile quello che un atavico moto perpetuo avrebbe volentieri lasciato nell’oblio.


COSA NE PENSO

Un romanzo scritto con perizia e metodo. Una prosa scorrevole, diretta.
Il libro si legge senza difficoltà e, anzi, aiuta a farsi un’idea su cosa vuol dire essere donna, moglie e madre.
Come la stessa Patrizia Serra riferisce all'inizio del romanzo,la sua fantasia si fonde perfettamente con la realtà. 
Cresciuta in un ambito familiare complesso, la protagonista di questa storia sarà costretta a crescere in fretta a causa delle continue violenze psicologiche subite all'interno delle mura domestiche.
Da adulta, dovrà fare i conti con un marito particolarmente egoista che ignora palesemente ogni sua esigenza.
Un libro dunque, che mette in luce molti aspetti interessanti della vita di coppia. In conclusione, la donna che emerge da questo libro, è quello di una donna forte. Consigliatissimo.
Buona lettura!

«Quello della madre era un mestiere che conoscevo poco e non avevo grandi esempi a cui ispirarmi, ero lasciata a me stessa.»


Ringrazio Patrizia Serra per questa intervista 


Intervista e recensioni a cura di C.L

© Riproduzione riservata 

12 maggio 2022

INTERVISTA ALLA SCRITTRICE LISA GINZBURG


Cari lettori,

Oggi ho l'onore di ospitare nel mio blog la scrittrice e saggista Lisa Ginzburg, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa.
Dopo essersi occupata della mistica francese del Seicento (si ricorda in particolare l'edizione del Commento mistico al Cantico dei cantici di Jeanne Guyon, Genova, Marietti, 1997) ha lavorato come traduttrice e collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus".Ha esordito nella narrativa nel 2002 con il romanzo “Desiderava la bufera”. Nel 2005 pubblica la biografia Anita, “Storia di Anita Garibaldi”. Nel 2006 la raccolta di racconti “Colpi d’ala”. 
Nel 2016 pubblica ben due romanzi: “Per amore” e la raccolta di racconti “Spietati i mansueti”. Nel 2018 pubblica il libro “Buongiorno mezzanotte, torno a casa”. Nel 2020 pubblica il suo ultimo romanzo “Cara pace" (ed.da Ponte alle Grazie) il quale è stato selezionato nella dozzina della LXXV edizione del Premio Strega.


D: LEI NASCE IN UNA FAMIGLIA DI FILOSOFI E SCRITTORI. SUA NONNA ERA NATALIA GINZBURG, FIGURA DI PRIMO PIANO DELLA LETTERATURA ITALIANA DEL NOVECENTO.QUANDO HA CAPITO DI ESSERE PORTATA ANCHE LEI PER LA SCRITTURA?

R: Scrivevo poesie da bambina, poi dalla tarda infanzia in avanti ho tenuto una enorme quantità di diari. A scuola brillavo nelle materie letterarie, mentre ero un assoluto disastro in quelle scientifiche. Racconti ho preso a scriverne dopo i vent’anni, ma la vera“autolegittimazione”, il momento in cui ho capito che volevo fare della scrittura il mio lavoro e che avrei combattuto contro ogni nodo psicologico pur di provarci, è arrivato dopo i vent’anni. Difficile ammetterlo in principio, data la mia origine in una famiglia dove la scrittura era ed è attività tanto predominante. Un percorso professionale che è stato un succedersi di piccole conquiste, piccole grandi epifanie distribuite negli anni e celebrate dentro di me.


D: QUALI SONO LE FONTI DI ISPIRAZIONE DI CUI SI SERVE QUANDO SCRIVE? PARTE DA ESPERIENZE REALI, AUTOBIOGRAFICHE O DALLA SUA IMMAGINAZIONE?

R: Immagino personaggi e vicende ma sono convinta che ogni immaginazione sia per uno scrittore anche il riverbero di persone e fatti della vita vera che gli succede di osservare e assorbire. Personalmente credo molto nella trasfigurazione, nella sua forza metamorfica e creativa. La cosa straordinaria dell’inventare sta proprio in questa costante commistione tra
fantasia e realtà: c’è una grande ricchezza nell’atto di trasfigurare. Me ne sono in parte occupata in un libro su Mary Shelley e il suo Frankenstein, un libro che ho intitolato “Pura invenzione”proprio perché trovo che sia nel rapporto tra immaginazione e realtà la chiave più interessante per entrare nelle fibre profonde sia degli scrittori, sia delle loro opere.


D: IL SUO LIBRO “CARA PACE”, NARRA LA STORIA DI DUE SORELLE, UNA MADRE CHE SE NE VA, E UN PADRE EMOTIVAMENTE FRAGILE E VOLUBILE. QUALI SONO STATE LE DIFFICOLTÀ DURANTE LA STESURA DI QUESTO ROMANZO?

R: Sono state varie, e tutte difficoltà di “ricostruzione psicologica” di fatti e personaggi. Avevo inventato un quadro famigliare pieno di complessità, fragilità, disfunzionalità: dovevo valutare tutti i possibili incastri, le dinamiche tra ciascuno degli “attori” di questa scena complessa. Addentrarmi in particolare nella dinamica tra le due sorelle, Nina e Maddalena,ha significato momenti di crisi nella lavorazione del testo perché talvolta non capivo in che modo restituire certi chiaroscuri della loro simbiosi. Eppure, ogni volta mi sono venute in
soccorso loro, Maddi e Nina: perché i personaggi che la nostra immaginazione partorisce non solo a volte sono così vividi nella nostra mente da diventare veri. Anche, diventano i nostri principali alleati.

D: LEI HA LAVORATO COME TRADUTTRICE TRA I SUOI LAVORI RICORDIAMO,"L' IMPERATORE GIULIANO" E "L'ARTE DELLA SCRITTURA DI ALEXANDRE KOJÉVE", (Donzelli 1998) E "PENE D'AMOR PERDUTE DI WILLIAM SHAKESPEARE"(Einaudi, 2002.). COSA RICORDA DELL' ESPERIENZA COME TRADUTTRICE?

R: Ho tradotto di nuovo l’anno scorso dopo diverso tempo che non lo facevo, e mi sono molto divertita.Trovo che la cosa più bella che possa succedere quando si traduce, è amare molto il libro che si sta traducendo: allora, davvero, trovando la voce di un altro si ha la sensazione di far risuonare anche la propria, e per chi scrive di mestiere si tratta di una sensazione molto arricchente, preziosa. Ricordo anche, nel caso della traduzione di Shakespeare, una immensa fatica: credo sia stato lo sforzo intellettuale più impegnativo che abbia affrontato.
Ma ne è valsa la pena! Senza dubbio il mio lavoro di traduttrice di cui più vado orgogliosa.


D: HA DELLE ABITUDINI PARTICOLARI DURANTE LA SCRITTURA?

R: Devo essere sola e devo sentirmi in uno stato di completa “centratura” prima di mettermi a scrivere. E deve accadere in un luogo che amo, anche se un luogo transitorio, ma un posto che amo e dove mi sento bene.


D:QUAL È LA SUA CITAZIONE PREFERITA?

R: “Quando l’anima è pronta, lo sono anche le cose” (sempre Shakespeare)


D: PROGETTI PER IL FUTURO?

R: Sto lavorando a un nuovo romanzo, quindi sto inventando ma anche assorbendo e trasfigurando. Anche, sto ultimando un testo di biografia della grande scrittrice brasiliana (ma nata in Ucraina) Clarice Lispector. E poi, il progetto per il futuro è un mondo dove la pressione dell’ansia collettiva sia meno imperante di quanto è adesso.

Ringrazio di cuore Lisa Ginzburg per aver risposto alle mie domande.


Intervista a cura di C.L


Ph. by Barbara Ledda 


© Riproduzione riservata

05 maggio 2022

INTERVISTA ESCLUSIVA A SARAH PENNER, AUTRICE DEL BESTSELLER “IL SEGRETO DELLA SPEZIALE”


Buongiorno cari lettori,

Oggi, per l’intervista, ho il piacere di ospitare Sarah Penner, autrice del bestseller “Il segreto della speziale”.
Sarah vive a St. Petersburg, Florida, insieme al marito e al loro cane, Zoe. Il segreto della speziale, è il suo primo libro, pubblicato in oltre trenta paesi nel mondo. In Italia il libro è edito da HarperCollins.
Se vi siete persi la mia recensione eccola qui!


D: NEL 2021, IL TUO ROMANZO D'ESORDIO “IL SEGRETO DELLA SPEZIALE” È STATO CANDIDATO COME MIGLIORE ROMANZO STORICO AL PREMIO GOODREADS CHOICE. COME TI È VENUTA L'ISPIRAZIONE PER SCRIVERLO? 

R: Quando mi è venuta l'idea per “Il segreto della speziale”, ho immaginato una donna, una speziale per l'appunto, che lavorava in un negozio nascosto in un vicolo buio di Londra. Ma sapevo che volevo che ci fosse qualcosa di sinistro in lei, e questo mi ha portata rapidamente sulla direzione del veleno. Mi sono aggrappata a questa visione iniziale per tutta la stesura del libro. La parola speziale è evocativa, evoca visioni di una vetrina a lume di candela con finestre saliscendi, le pareti coperte di mortaio, pestelli e innumerevoli bottiglie di vetro. C'è qualcosa di affascinante, persino incantevole, in ciò che potrebbe nascondersi in quelle bottiglie: pozioni che ci stregano, ci curano, ci uccidono. Ho puntato tutto sul mistero, per far sì che il lettore percepisse davvero la sensazione di trovarsi nel vecchio negozio della Speziale.


D: QUAL' È STATA LA PARTE PIÙ DIFFICILE DURANTE LA STESURA DEL LIBRO? 

R: La parte più difficile da scrivere era la doppia sequenza temporale,in sostanza stavo raccontando due storie (separate da duecento anni) e poi tentavo di intrecciarle insieme in modo significativo. Sebbene fosse difficile, sapevo che questo era importante per la storia. Ho scelto la doppia sequenza temporale e il multi-POV(POV è l’acronimo di Point of View "punto di vista"), per un motivo molto semplice: mi piace nascondere le informazioni al lettore e la continua alternanza tra le sequenze temporali e dei personaggi consentono a un autore di fare proprio questo. Siamo in grado di "alimentare" suspense, cambiando personaggio o sequenza temporale proprio nel momento in cui tu, come lettore, desideri saperne di più.


D: COME HAI SVILUPPATO LA TRAMA E I PERSONAGGI?

R: Il mio obiettivo principale è l'originalità. Uno dei motivi per cui ho scritto “Il segreto della speziale” era perché sapevo che non c'era niente di simile già pubblicato nella narrativa contemporanea che parlasse di serial killer donne! Dall'introduzione,
alle modifiche finali, il processo di ogni storia è diverso. Come scrittrice ho ancora tanto da imparare.


D: ASCOLTI MUSICA MENTRE SCRIVI? SE SI, QUAL È IL TUO GENERE PREFERITO? 

R: No! Ho bisogno di silenzio assoluto. Preferisco scrivere nel mio ufficio a casa. Se sono in viaggio o lontana da casa, indosso le cuffie per non ascoltare i rumori che provengono dall'esterno.


D: QUALI AUTORI O LIBRI HANNO ISPIRATO LA TUA CARRIERA DI SCRITTRICE?

R: Sono stata ispirata da “IL DISCEPOLO” di Elizabeth Kostova; così come da Ken Follett e Philippa Gregory, grandi maestri dei romanzi storici.


D: QUALI CONSIGLI TI SENTI DI DARE A COLORO CHE SI APPRESTANO A ESORDIRE NELLA SCRITTURA? 

R: Di leggere molto per imparare i metodi di scrittura utilizzati da altri autori.


D: PROGETTI PER IL FUTURO?

R: Il mio secondo libro,“THE LONDON SEANCE SOCIETY”, è stato annunciato solo poche settimane fa! Uscirà all'inizio del 2023, la storia parla di una medium nella Londra vittoriana che evoca gli spiriti delle vittime di omicidi per scoprire l'identità delle persone che le hanno uccise.
Per ulteriori informazioni, i lettori possono visitare il sito:


Desidero ringraziare Sarah Penner per la sua disponibilità nel concedermi questa intervista.


Intervista a cura di C.L

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21 aprile 2022

RECENSIONE DEL LIBRO: LE AVVENTURE DI ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE (ED. IL PALINDROMO )





NOTE SULL"AUTORE

Lewis Carroll, pseudonimo di Charles Lutwidge Dodgson (Daresbury, 27 gennaio 1832 – Guildford, 14 gennaio 1898), è stato uno scrittore, matematico, fotografo, logico e prete anglicano britannico dell'età vittoriana. È celebre soprattutto per i due romanzi Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie e Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò, opere che sono state apprezzate da una straordinaria varietà di lettori, dai bambini ai grandi scienziati e pensatori.


SINOSSI

Le Avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie è una storia fantastica, in cui Alice, la protagonista, sogna di seguire un coniglio bianco nella sua tana finendo in un mondo surreale e fantastico popolato da strane creature antropomorfe. 
Dopo una serie di incredibili avventure, Alice ritorna nel suo mondo.


COSA NE PENSO

La storia di Alice negli anni ha ispirato, opere teatrali e cartoni animati. Questo romanzo, infatti, non è un semplice racconto per bambini ma è un testo pieno di riferimenti psicologici simbolici e culturali dell'epoca vittoriana. Si ritiene da sempre che le avventure di Alice, rappresentino in realtà la lotta contro il tempo, dove razionalità e immaginazione si scontrano sempre in quello che è il cammino verso il diventare adulti.
Parallelamente a questa crescita temporale, si affianca anche una crescita interiore, dove Alice conosce sé stessa e le emozioni dell’animo umano.
Moltissimi autori italiani si sono cimentati nel tradurre il libro di Carroll. Ma ognuno di loro ne ha fatto un libro a se.
Questa edizione edito da Il Palindromo
celebra i 150 anni della prima traduzione in italiano nel 1872 a opera di Teodorico Pietrocòla Rossetti. La cui traduzione è molto fedele al manoscritto originale scritto da Lewis Carroll. Tra una frase e l'altra troviamo anche delle parole in dialetto Toscano, ciò contribuisce a rendere la storia molto più apprezzabile dal punto di vista linguistico.
Questa nuova edizione contiene anche un saggio critico di Fabio La Mantia e un approfondimento di Rosario Battiato. Inoltre, l'opera è stata impreziosita da graziosissime illustrazioni realizzate dalla brava illustratrice catanese Chiara Nott.
In conclusione, una narrazione che invoglia a scoprire aspetti insoliti della piccola Alice.
La lettura è stata indubbiamente piacevole.
Alice nel Paese delle meraviglie è un classico intramontabile che conquista proprio tutti, grandi e piccini. Consigliatissimo.
Buona lettura!

Alice intanto lo guardava, con un poco di curiosità, di sopra le spalle,e disse «Che curioso oriuolo! Indica i giorni del mese,e non già le ore del giorno!»
«Perché no?» sclamò il Cappellaio. «Che forse il suo oriuolo le dice in che anno viviamo?»
(Cap. VII, Un tè di matti)


Recensione a cura di C.L

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12 aprile 2022

RECENSIONE DEL LIBRO: MORTE AL FILATOIO DI OTTAVIA NICCOLI


NOTE SULL' AUTRICE

Ottavia Niccoli già docente alle università di Bologna e Trento, è autrice di saggi su Rinascimento e Riforma editi da Einaudi e Laterza, noti e tradotti a livello internazionale.
Questo è il suo esordio come romanziera.


SINOSSI

Bologna, 9 novembre 1592: don Tomasso, che dirige l'ospizio di San Biagio, viene coinvolto mentre è al Tribunale del Torrone in una denuncia per diffamazione voluta da Violante, una donna che un libello anonimo accusa di aver avvelenato il marito. Il notaio Martini, inquirente amico del prete, gli chiede in via non ufficiale di prendere informazioni da don Lucio, il sacerdote che ha proceduto al funerale e che forse è stato anche l'amante della donna. Nel frattempo, don Tomasso apprende da due ragazzini rifugiatisi all'ospizio, Ettore e Gian Andrea, che il primo ha appena visto il cadavere di una giovane donna nei sotterranei del filatoio di tal Righi. Il corpo, gettato nel canale, verrà infatti ritrovato di lì a poco. La morta risulta essere una lavorante del Righi, Caterina Pancaldi, e l'esame autoptico dichiara che ha perso da poco la verginità. Partono quindi tre processi: quello per il libello, quello per avvelenamento del marito di Violante e quello per "la putta" trovata nel canale. Mentre si svolgono gli interrogatori, don Tomasso aiutato da Gian Andrea prosegue nella ricerca di ipotesi e indizi per incastrare l'omicida


COSA NE PENSO

Uno degli elementi più importanti in questo romanzo è il contesto storico:  molto accurato,abbastanza realistico. Alcuni dei personaggi citati in quest'opera sono realmente esistiti, ovviamente, il tutto è arricchito da dettagli e fatti immaginari. 
Pagina dopo pagina ci si adentra in una storia forte ben più complessa di come appare all'inizio. 
In conclusione, la lettura risulta impegnativa una scrittura asciutta, diretta. Buona lettura!


Recensione a cura di C.L


© Riproduzione riservata




10 aprile 2022

QUESTIONI DI SANGUE: INTERVISTA AD ANNA VERA VIVA.


Ben ritrovati miei cari lettori!
L'ospite di questa nuova intervista è Anna Vera Viva.
Anna Vera Viva, salentina, si trasferisce a Napoli nel 1982. Scrive da molti anni ed è sceneggiatrice di docufilm e cortometraggi tra cui La consegna e Specchio delle mie brame, candidati al David di Donatello. Le sue passioni sono viaggiare e gironzolare per musei e gallerie d'arte contemporanea.
Questioni di sangue “Un’indagine nel cuore segreto di Napoli”, edito da Garzanti in libreria dal 3 marzo 2022.


D: JOËL DICKER DICEVA: “SCRIVERE UN LIBRO È COME APRIRE UNA COLONIA ESTIVA. LA  TUA VITA, IN GENERE SOLITARIA E TRANQUILLA, VIENE IMPROVVISAMENTE SCOMBUSSOLATA DA UNA MOLTITUDINE DI PERSONAGGI CHE UN GIORNO GIUNGONO SENZA PREAVVISO E TI SCONVOLGONO L'ESISTENZA”. COME È CAMBIATA LA SUA VITA SCRIVENDO?

R: È incredibile come lei abbia, casualmente, usato la frase che più rappresenta il mio modo di vivere la scrittura e che ho addirittura in primo piano nella pagina di apertura del mio sito ufficiale.Perché nei periodi in cui scrivo o nei quali progetto un nuovo romanzo è esattamente quello che mi succede. I Personaggi si appropriano di ogni spazio della mia vita, di ogni pensiero. Li vedo vivere, agire tra di loro, spio le reazioni alle prove davanti alle quali io stessa li ho messi, ne analizzo i sentimenti. E ognuno di loro pretende cure e attenzioni particolari cercando di prevaricare gli altri in una gara dove, comunque, vincono tutti. Per mesi, fino alla conclusione del romanzo,diventano le più reali delle creature che mi circondano. Poi tutto questo finisce e li lascio andare per il mondo con le proprie gambe; non le nascondo che in quel momento provo un grande sollievo.


D: DA QUALE IDEA, SPUNTO, ESIGENZA O FONTE DI ISPIRAZIONE, NASCE QUESTO SUO NUOVO ROMANZO “QUESTIONI DI SANGUE”?

R: Da una suggestione nata dalla scoperta del Rione Sanità e dalla Basilica Di Santa Maria alla Sanità. Dovevo trovare un modo, dei personaggi che mi consentissero di usare quelle ambientazioni, di parlare di quei luoghi magici. Personaggi che vivessero quella Basilica colma di storia e di fascino. E chi meglio di un Prete avrebbe potuto fare tutto questo?


D: QUANTO TEMPO HA IMPIEGATO A SCRIVERLO?

R: Un paio di mesi, se parliamo della scrittura vera e propria. Ma la parte precedente, quella di ricerca storica e sociologica, è durata più a lungo.


D: NEL LIBRO CI SONO DIVERSI PERSONAGGI, UNO PIÙ INTERESSANTE DELL' ALTRO. POI CI  SONO I DUE PROTAGONISTI PRINCIPALI. RAFFAELE IACONO E PEPPINO ANNUNZIATA.CHE TIPO D' UOMO È “PEPPINO ANNUNZIATA”? COME LO DESCRIVEREBBE?

R: Peppino è un uomo di malavita, su questo non ci sono dubbi, ed è un essere convinto di aver percorso l’unica strada percorribile e che non accetta di essere giudicato per questo. La particolarità di questo personaggio sta, a mio avviso, in un vissuto dove l’amore da cui è stato circondato, in primis dalla madre e poi dalla prima moglie, ha segnato la sua parte più profonda e questo lo rende un individuo di una complessità affascinante.


D: CON QUALI COLORI DESCRIVEREBBE I SUOI PERSONAGGI?

R: Rosso senz’altro per Raffaele, il rosso della passione che mette in ogni sua azione, quello dell’ira che lo acceca davanti alle ingiustizie e infine quello di un buon sugo che, da grande buongustaio qual è, apprezza in particolar modo.Bianco argento per Peppino, non quello della purezza ma quello del gelo, del pensiero scevro da ogni emotività, del raziocinio che gli consente di muoversi con sicurezza nelle situazioni più pericolose. Giallo arancio per Assuntina, per il calore che diffonde, per la sua allegria, e per quella saggezza che nasce da una positività dell’animo che può erroneamente essere scambiata per ingenuità.


D: QUALI AUTORI L'HANNO INFLUENZATA MAGGIORMENTE?

R: Questa è una domanda alla quale non riesco mai a rispondere. Ho letto tanto e di tutto,privilegiando da sempre i classici. Ho letto autori che ho amato e altri che non mi sono piaciuti ma mi sono sentita in dovere di conoscere e sono convinta che, ognuno di loro, ha portato il suo contributo nell’economia della mia formazione. A volte sospetto che i segni più forti li abbiano tracciati proprio gli autori che non ho amato.


D: PROGETTI PER IL FUTURO?

R: Tanti, ma non sveliamoli.


Desidero ringraziare Anna Vera Viva per la sua disponibilità nel concedermi questa intervista.



                     


SINOSSI

Il rione Sanità è un’isola. Un lungo ponte lo divide dal resto di Napoli. Qui, i vivi e i defunti convivono da secoli e non vi è posto, più di questo, in cui morte e vita siano così strettamente intrecciate. Ed è qui che, dopo quarant’anni, due fratelli si rincontrano. Raffaele, dato in adozione giovanissimo alla morte della madre, ci torna come parroco della basilica di Santa Maria alla Sanità. Peppino, invece, è il boss del quartiere. Due uomini che non potrebbero essere più diversi l’uno dall’altro. Eppure, il richiamo del sangue, ineludibile, li unisce. Un legame che è fonte di pericolo e tormento per entrambi. Quando la morte colpisce e un cadavere viene ritrovato in un appartamento del rione, le indagini, suffragate da un testimone poco affidabile, seguono un unico binario. Quell’omicidio fa tirare un sospiro di sollievo a tante persone, ma Raffaele non si lascia abbindolare. Decide di rivolgere il suo sguardo, esperto della vita, proprio tra la sua gente, anche se questo significa guardare qualcuno di molto, forse troppo, vicino a lui. Ma Raffaele non si è mai fermato davanti a nulla e non inizierà adesso. Sa bene che le sue indagini possono compromettere un equilibrio basato su regole non scritte e allo stesso tempo inderogabili, ma deve andare avanti. Perché la Sanità è un’isola e per navigare il mare che la circonda ci vogliono coraggio, passione e un concetto diverso di verità.


COSA NE PENSO

Nessun luogo incarna le contraddizioni di Napoli come il Rione Sanità. Un posto pieno di anima, ricco di teatralità.
L' arrivo del nuovo parroco della Basilica di Santa Maria della Sanità, Don Raffaele Iacono, porterà con se una ventata di vitalità a tutti gli abitanti del rione.
I personaggi sono ben caratterizzati con una personalità definita. Don Raffaele è
un uomo singolare che ha ben poco del temperamento tipico in un sacerdote. Al suo fianco troviamo la fedele e valida perpetua Assuntina,una donna capace da fare invidia anche ai migliori detective del mondo, lei con il suo fare da comare e  con le sue acute osservazioni, sarà uno dei pilastri fondamentali per l'intera durata della storia. Nel romanzo si parlerà anche del legame tra due fratelli  Peppino e Raffaele, che si consolida attraverso la narrazione, le parole, i ricordi.
Lo stile di scrittura di Anna Vera Viva  è semplice ma estremamente travolgente
che si segue con piacere. Delinea luoghi e caratteri, descrizioni e approfondimenti con naturalezza e disarmante sincerità.
In conclusione, "Questioni di Sangue” possiede tutto quello che si vuole da un giallo.
Una morte sospetta, indizi da valutare e sospettati da ascoltare ed interpretare, ma non solo nel presente, perché anche il passato porta con sé la sua dose di segreti e dolori.
Una lettura intrigante. Consigliatissimo!
Buona lettura.

Foto autrice: Roberto Della Noce


Intervista e recensione a cura di C.L


©Riproduzione riservata



03 aprile 2022

INTERVISTA A EDITH BRUCK, LA SCRITTRICE SI RACCONTA A LA FINESTRA DELLA LETTERATURA.



È stato un immenso onore oltre che piacere chiacchierare con Edith Bruck.
Una chiacchierata quasi intima, richiamando alla memoria il suo passato.
Poche persone sono capaci di pensieri ricchi di profondità, di umanità, di gentilezza come lei.


D: DURANTE IL PERIODO DI PRIGIONIA HA RACCONTATO DI UN TEDESCO CHE LE LANCIÒ UNA GAVETTA DENTRO CUI C'ERA DELLA MARMELLATA. OLTRE A  QUESTO EPISODIO HA MAI TROVATO QUALCHE SOLDATO TEDESCO “UMANO” O QUALCUNO TRA LE SS CHE AVESSE ANCORA INTATTO DENTRO DI SÉ IL SENSO DELLA DIGNITÀ UMANA E DELLA SOLIDARIETÀ?

R: No, mai, era impossibile una cosa del genere, non ho mai più rivisto nessuno, neanche i miei compagni di prigionia,mai rivisti né incontrati.


D: CI RACCONTI ALCUNI EPISODI CHE LE SONO ACCADUTI AD AUSCHWITZ E POI NEI CAMPI DI  KAUFERING, LANDSBERG, DACHAU, CHRISTIANSTADT E, BERGEN-BELSEN?

R: Prima di tutto la speranza di ritornare a casa,di ritrovare magari i miei genitori. Per esempio,ad Auschwitz un soldato tedesco si è chinato su di me e mi ha sussurrato “Vai a destra,vai a destra” durante l'ultima selezione buttò mia madre per terra e fu l'ultima volta che la vidi e poi aggredì anche me violentemente, finché non mi sono trovata a destra e solo dopo capì che in fondo mi diede una minima possibilità per sopravvivere. E poi dopo, invece l'altra speranza in quelle circostanze così incredibili accadde a Dachau, avevo portato delle patate pelate in cucina e il cuoco mi chiese “Come ti chiami?” mi parve come una voce dal cielo,non capivo com'era possibile una cosa del genere perché era assolutamente impossibile. Mi disse anche “Ho una bambina piccola come te”, mi regalò un pettinino. Lì eravamo soltanto un numero,con gli zoccoli,calvi non eravamo delle persone non eravamo assolutamente nulla ci chiamavano come i numeri che avevamo al collo perché non c'era più tempo di tatuare gli Ebrei Ungheresi che son stati deportati per ultimi. 
E poi c'è l'ultimo soldato che non mi ha sparato, perché doveva spararmi. Quindi tutti questi cinque punti,che io chiamo cinque punti di luce, secondo me,mi hanno aiutato a sopravvivere, il resto ,era tutta morte,fame, freddo,con il terrore che non ti svegli la mattina, l'essere umano spera sempre si aggrappa anche a un filo di erba pur di sopravvivere, nessuno vuole morire da nessuna parte anche in nessuna situazione, anche in situazioni estreme lotta per la propria sopravvivenza fino all'ultimo anche se sembra impossibile, la vita è più forte di qualsiasi cosa secondo me, poi si capisce soltanto quando si è in pericolo quanto è preziosa la vita, quanto è prezioso il valore di un pezzo di pane.


D: DOPO L' OLOCAUSTO ALCUNI INTELLETTUALI COME PRIMO LEVI, SI SONO INTERROGATI SULL' ESISTENZA DI DIO; ANZI PRIMO LEVI CONCLUSE DICENDO CHE , DOPO AUSCHWITZ DIO , NON POTEVA PIÙ ESISTERE. QUAL' É LA SUA OPINIONE AL RIGUARDO?

R: Furono altri a discutere dell'assenza di Dio a Auschwitz.Uno di loro fu Elie Wiesel. Con Primo Levi eravamo amici fino all'ultimo,non è che discutessimo su Dio, Primo era abbastanza laico. Io credo che bisogna lasciare fuori Dio da questi terribili misfatti che l'uomo fa giorno per giorno. Per nome di Dio o Allah hanno ammazzato milioni di persone, anche i tedeschi avevano nella cintura scritto “Dio è con noi”.Io stessa ho scritto una lettera a Dio nel libro “Pane Perduto” però sin da bambina ho dubbi sulla sua esistenza.  
Mia madre parlava più con Dio che con noi sei figli. Chiedeva a Dio tutto,dalle scarpe,al cappotto,al pane. Le dicevo “Mamma parla con noi, tanto non ti ascolta”, nel senso che non ero arrabbiata ma seccata sicuramente. Non mi piace parlare né di fede né di Dio. Secondo me il comportamento dell' essere umano è quello che conta. Non odiare nessuno al mondo,io non odio neanche i miei aguzzini. L'unica cosa che conosco è la pietà. Posso solo ringraziare a Dio solo se esiste un Dio.


D: NEL 1954, SPINTA DALL'IMPOSSIBILITÀ DI INSERIRSI E DI RICONOSCERSI NEL PAESE IMMAGINATO "DI LATTE E MIELE", GIUNGE IN ITALIA E SI STABILISCE A ROMA, DOVE ANCORA OGGI RISIEDE. PERCHÉ DOPO LA LIBERAZIONE IN MOLTI NON VI SIETE SENTITI NÉ A CASA NÉ AL SICURO IN EUROPA?

R: Non sapevo dove vivere, la nostra piccola casa era stata distrutta e nel mio paese i contadini ci hanno cacciate via me e mia sorella con l'accetta, allora abbiamo vissuto per due mesi da una sorella, poi per altri due mesi in una specie di orfanotrofio, successivamente in diversi campi di transito. Non sapevamo dove andare e quindi abbiamo incominciato ad andare in un paese all'altro con il piano di andare un giorno in Palestina, quello che era il sogno della mamma, da bambina non si cenava e prima di mettermi a dormire mi raccontava questa favola “Saremo tutti fratelli - Saremo felici lì”.Sono arrivata in Israele dove ho vissuto per due anni circa.Anche lì, non riuscivo a inserirmi. Del paradiso terrestre da lei sognato nemmeno l'ombra, non poteva esserci dopo la guerra arabo-israeliana del 1948. 
Non ci hanno accolto, né ascoltate, volevamo raccontare ma ci hanno zittite.
Volevo in qualche maniera essere accolta a braccia aperte, ma questo non è successo, eravamo totalmente smarriti in un mondo in macerie dopo la guerra. Ognuno si occupava dei propri problemi, del proprio vissuto. Eravamo soltanto una specie di avanzi di vita e basta. Ho cominciato a emigrare in un paese all'altro finché mi sono trovata per puro caso a Napoli,dove mi sentivo in qualche maniera voluta solo con gli sguardi,con i sorrisi, c'era qualcosa di familiare. Vedevo dei panni fuori che svolazzavano,la gente che parlava da una finestra all'altra. Mi piaceva molto questa cosa, mi riportava alla campagna,io vengo dalla campagna e poi alla fine sono finita a Roma e ho iniziato la vera vita qua, avevo una casa se così si può definire una stanza ammobiliata lavoravo dodici ore al giorno e ho cominciato a scrivere soltanto qui il primo libro che avevo iniziato in Ungheria nel 1946 ma l'ho dovuto buttar via perché sono uscita dal paese clandestinamente. Ho realizzato il mio sogno di scrivere, un sogno che coltivavo fin da bambina e naturalmente ho scritto un libro autobiografico che venne pubblicato nel 1959. Però, quando ho iniziato a scrivere non ho pensato “Oh Dio, sto scrivendo un libro”, io dovevo buttare fuori almeno in parte quel veleno che tenevo dentro che nessuno voleva ascoltare e quindi ho detto la carta sopporta tutto e ho incominciato quando ho imparato abbastanza bene l'italiano, ho finito questo povero libro e da allora non ho mai smesso di scrivere e pubblicare e parlare nelle scuole con i ragazzi da almeno 70 anni quasi, i ragazzi hanno bisogno di sapere.


D: NELLA SUA VASTA PRODUZIONE LETTERARIA, CHE NON SI LIMITA AI TEMI DELL'OLOCAUSTO. HA TRADOTTO, SPESSO IN COLLABORAZIONE CON NELO RISI, I PIÙ GRANDI POETI UNGHERESI, GYULA ILLYÉS, RUTH FELDMAN, ATTILA JÒZEPH E MIKLÓS RADNÓTI. A QUALE POESIA O LIBRO È PARTICOLARMENTE LEGATA? E PERCHÉ?

R: József Attila anche Radnóti, però è molto difficile scegliere tra i poeti, perché in Ungheria c'era una grande tradizione poetica, grandi traduttori anche. Io ho tradotto soltanto due libri dall'Ungherese e poi uno con mio marito, Illyés che è un'altro grande poeta. Negli ultimi anni non riesco a trovare un solo poeta che io possa tradurre, perché volevo ancora tradurre qualcosa, amo molto la poesia da sempre. Dicevo a mia madre:  “Mamma io voglio essere una poeta” 
e lei rispondeva: “Va bene,se vuoi morire di fame”. 
Quando incontrai per la prima volta mio marito Nello Risi non sapevo nulla su di lui neanche il suo nome, lo guardai e dissi ad un mio amico questo è l'uomo della mia vita e così è stato. Oltre ad essere un regista, documentarista, era un poeta anche lui. 


D: PENSA CHE CI SIA QUALCOSA RIGUARDANTE LA SHOAH CHE NON SIA ANCORA STATO DETTO?

R: Ci sono tantissime cose secondo me, credo che non si potrà mai raccontare quello che si è vissuti e visto, impossibile.
Devo dire che io sono stata in centinaia di scuole però non si può dire mai abbastanza perché è molto difficile,da una parte non puoi dire ai ragazzini di quattordici quindici anni quelle mostruosità di cui l'uomo è capace ti autocensuri quasi ti vergogni tu di quello che hai vissuto e da un'altra parte quel dolore e quel vissuto non passa mai vive con te per tutta la vita è una gabbia da cui non si esce,non è possibile uscirne in nessun modo, forse noi stessi ci mettiamo dentro non lo so. Per di più ci sono tutte queste cose che abbiamo vissuto e stiamo vivendo ogni giorno che è impossibile anche se non c'entra nulla con il passato ma diciamo che la guerra d' Ucraina è sempre una mostruosità che l'uomo fa contro il proprio simile.


D: COSA PENSA CHE DEVONO IMPARARE I GIOVANI D'OGGI DALLA VITA CHE ANCORA NON SANNO?  

R: Tante cose. Molti hanno capito, perché lo dimostrano attraverso i loro disegni,le lettere, i messaggi.Il mese scorso sono andata a Assisi c'erano mille ragazzi a questo incontro, provenivano dappertutto è stato molto bello anche se faticoso tra l'altro faceva anche freddo. 
Credo che loro hanno bisogno di sapere perché non c'è molta comunicazione tra genitori e figli, tra nonni e nipoti. Questo è un disastro perché si vive separati all'interno della famiglia forse la voce esterna viene ascoltata. Per un genitore sopravvissuto è difficile raccontare ai figli quello che ha vissuto,non c'è mai tempo di raccontare questa mostruosità anche se è importante, i ragazzi devono sapere per il loro futuro. Devono capire cosa vuol dire il razzismo, l'antisemitismo, l'odio verso il prossimo è molto importante la solidarietà tra esseri umani bisogna allontanarli da qualsiasi pregiudizio.
Per i primi vent'anni piangevo sempre perché era ancora molto fresca la ferita,ogni tanto crollo anche adesso ,questa cosa non è mai superabile dico a me stessa che finché mi sento così e finché l'altro piange (perché ho visto anche ragazzi piangere)vuol dire che sentiamo,vuol dire che siamo sensibili,non siamo diventati di legno. Il problema è che la gente diventa sempre più indifferente come se non li toccasse quello che accade. Io credo che tutto quello che accade ci riguarda anche quello che accade a duemila chilometri ci riguarda.


Desidero ringraziare Edith Bruck  per la sua disponibilità nel concedermi questa intervista.


Intervista a cura di C.L

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