27 agosto 2023

INTERVISTA A VALERIA PROVENZANO







Cari lettori,

Le vacanze estive sono ormai agli sgoccioli, perciò ho deciso di regalarvi una nuova recensione, ma prima voglio farvi conoscere meglio una nuova scrittrice. Sto parlando di Valeria Provenzano, nata a Cumaná, nei Caraibi Venezuelani, nel 1992. Ha studiato Lettere presso la Universidad Central de Venezuela, e Storytelling & Filmmaking alla Scuola Holden. Ha vagato tra Cumaná, Caracas, Toronto e Montevideo, dove ha studiato e lavorato come editor, segretaria, barista e agente telefonica. Adesso si è fermata a Torino, dove fa la traduttrice e l’insegnante di spagnolo alla luce del sole, e la scrittrice a quella della lampadina. 


D. CHI È VALERIA?

R. Sto rispondendo a questa domanda per ultima perché le cose più ovvie, quelle che sembrano più facili, a volte sono le più difficili da articolare.
Valeria è una scrittrice, una cittadina di più di un Paese, una prof, una migrante – perché mi sono spostata e mi sposto molto, una tifosa del calcio e del baseball, una femminista, un’amante della musica – soprattutto della salsa, una che adora stare con i suoi amici e che si diverte molto con la sua famiglia – niente romanticismo, siamo davvero divertenti, un’appassionata di politica, di letteratura e di cinema, e anche una che canta nel coro queer di Torino. Comunque, una molto tranquilla. Valeria sono io.

D. DA QUALE IDEA, SPUNTO, ESIGENZA O FONTE DI ISPIRAZIONE, NASCE QUESTO TUO PRIMO ROMANZO “LE MILLE STRADE PER BUENOS AIRES”?

R. Le mille strade per Buenos Aires ha vari genitori. Nasce dopo una conversazione in cui si parlava di movimenti tellurici, migrazioni e maledizioni. Nasce grazie al racconto della storia di una donna molto forte che ha deciso di non accontentarsi mai. Nasce un po’ dalla malinconia e un altro po’ della necessità di avere speranza.
Il primo spunto è arrivato a marzo del 2019, quando raccontando a un’amica delle mie erranze e spostamenti lei mi rispose che la mia somigliava un po’ alla storia di sua nonna Rosario, perché anche lei aveva vissuto in mezzo a troppi movimenti fin da piccola. Entrambe abbiamo vissuto dei terremoti che hanno marcato le nostre vite, entrambe abbiamo cambiato città e Stato, entrambe abbiamo problemi a stare ferme, diciamo.
Io quella settimana iniziai ad abbozzare questa storia, e un mese dopo ho deciso che avrei convertito quella bozza in un vero romanzo.

D. CON QUALI COLORI DESCRIVERESTI I TUOI PERSONAGGI?

R. Quando penso a Rosario mi viene in mente automaticamente la bambina, quella che è cresciuta tra San Juan e le sue vicinanze, una zona piena di montagne i cui colori variano tra tonalità di marroni, rossi e gialli e tramonti color zafferano, quindi a lei – e anche a quasi tutta la sua famiglia, darei i colori della terra. Quando penso agli Stein mi viene in mente Buenos Aires, La ciudad de la furia come la conosciamo in America Latina, e mi vengono subito in mente un bel rosso e un bel blu neon. Pilar mi dà un senso di tenerezza, anche nella sua malattia, che l’avvicina al celeste più chiaro, e Raúl lo associo all’arancione, un colore che dipende tantissimo dalla tonalità. Troppo ti può far vedere le cose molto belle, ma troppo poco è proprio inguardabile. A Nicolás concedo il verde, anche perché lo associo molto con Montevideo. Nel tono giusto, magari caldo, ti va di fissarlo tutto il giorno. Nel tono sbagliato può essere, invece, un po’ triste. 

D. UNA SCENA DEL LIBRO CHE TI PIACE PARTICOLARMENTE?

R. Mi piace molto quel momento in cui la Rosario bambina, piena di forza e speranza, pianifica la sua prima scappata dalla fattoria. Mi piace come fa l’attrice davanti al vecchio Moshé per non fargli avere sospetti, mi piace come trasgredisce le regole ed entra in casa nonostante il divieto di farlo, e mi piace, o meglio, mi fa sentire bene come si sente quando è nascosta dietro il sedile. 
Naturalmente mi dispiace che non ci riesca, però il processo, il tentativo, mi è molto piaciuto. 

D. HAI DELLE ABITUDINI PARTICOLARI DURANTE LA SCRITTURA?

R. Innanzitutto, il silenzio: il motivo per cui di solito scrivo di notte si deve al fatto che è il momento in cui c’è più silenzio. 
Normalmente, costruisco una mappa della storia che voglio raccontare, diciamo che abbozzo un punto di partenza, una strada da percorrere e un punto di arrivo. Poi tutto questo cambia, certamente, perché il processo di scrittura è come la vita: le cose vanno come devono andare e non come le pianifichi. E forse questa è la cosa che mi piace di più dello scrivere: che a un certo punto la storia prende vita e non sono solo io a manipolarla, ma sono anche le regole intrinseche di quello che c’è già scritto a regolarla.
Poi lascio macerare delle scene, dei capitoli interi e torno dopo un po’, assaggio e correggo il sale.

D. UN LIBRO CHE HA AVUTO UNA GRANDE INFLUENZA NELLA TUA VITA?

R. Ho sempre avuto il gravissimo problema di non avere cose preferite nella vita: né colori, né cibo, né libri, per cui parlare di un solo libro mi viene difficilissimo, ma proverò a essere concisa.
I libri che mi hanno reso lettrice sono stati El Rey Mocho di Carmen Berenguer, una scrittrice cilena, e El sapo distraído di Javier Rondón, uno scrittore venezuelano. Sono due storie per bambini che leggevo in continuazione da piccola, così tanto che a 10 anni dissi a mia madre: mi voglio tatuare el rey es mocho, no tiene oreja, por eso usa peluca vieja, una citazione di El rey mocho. Forse da quel momento si è capito che prendevo molto sul serio quello che leggevo. Da adolescente ho letto La isla de los amores infinitos, di Daína Chaviano, una scrittrice cubana, che è e sarà per sempre il romanzo che avrei voluto scrivere, per la sua forza, per la sua sabrosura – il suo sapore così fresco. Si tratta di un romanzo di realismo magico che parla di migrazioni, di famiglie, di storia, di una Cuba molto viva e molto eterogenea. E poi non posso non parlare di come Paula, di Isabel Allende, è uno di quei libri che non potrò rileggere mai più nella mia vita per quanto mi ha fatta piangere: bellissimo, tristissimo, meraviglioso.

D. PROGETTI PER IL FUTURO?

R. Continuare a fare le cose che mi rendono felice: scrivere, insegnare, cantare, camminare e mangiare il gelato.


Desidero ringraziare Valeria Provenzano per aver risposto alle mie domande



In libreria e sugli store online dal 23 maggio 2023 Garzanti


SINOSSI

San Juan. «Ormai sei grande. Sei forte e non hai paura di niente.» Sono queste le ultime parole che la dodicenne Rosario sente pronunciare da sua madre prima di salire su una macchina che la porta per sempre lontano da casa. Arrivata alla fattoria, Rosario riceve un nuovo nome, perché, a sua insaputa, è stata venduta dalla famiglia, costretta dalla povertà, a una coppia che ha bisogno di manovalanza. Da quel momento non fa che lavorare seguendo il ciclo del sole che sorge e che tramonta. Di notte, però, Rosario cerca di mantenere viva la fiamma del ricordo dei genitori e dei fratelli. Una fiamma sempre più labile che è però vitale per lei, per non sentire la solitudine. Fino al giorno in cui un terribile terremoto sconvolge il suo destino. Rosario riesce a fuggire dalla fattoria, ma non è più sola: aspetta una bambina, anche se l’uomo che ama non vuole seguirla. Nella testa ha un solo desiderio: ritornare a casa. Ma quello che vi trova è un altro rifiuto. Un altro abbandono. Questa volta perché è incinta e senza un marito. Così Rosario capisce di poter contare solo su sé stessa, che lei e sua figlia sono l’unica cosa davvero importante. Parte per Buenos Aires dove, tra relazioni appassionate che le riempiono o le spezzano il cuore e l’amore incondizionato per i figli che la fanno sentire viva, Rosario combatte e si adatta, sempre in cerca del coraggio che sua madre le ha sussurrato all’orecchio quel giorno. Perché se una parte di lei è fiera dell’indipendenza conquistata, un’altra piccola parte è ancora la ragazzina che si sente rifiutata da chi avrebbe dovuto amarla.
L’esordio di un’autrice di talento. La storia di un abbandono e di una fuga. La storia di un rifiuto e di una rinascita. La storia di un ritorno e di un’accettazione. La storia di una donna respinta e di una madre senza paura. 



COSA NE PENSO

La narrazione di “Le mille strade per Buenos Aires” inizia dal giorno in cui Rosario, una ragazzina poco più che tredicenne viene tristemente portata via dalla sua famiglia da una donna sconosciuta e austera. L’abbandono improvviso e la perdita di fiducia accompagnerà Rosario per tutta la vita, nonostante la sua nuova vita e gli amici.
Questo romanzo traccia una condizione triste e reale sulla schiavitù a cui erano costretti moltissimi bambini e bambine nei paesi più poveri dell'America Latina. 
In conclusione, da queste queste pagine traspare l'amore incondizionato di una madre,di quanto forte, disperato, potente sia questo sentimento.

«Fu un piacere vederli crescere, prendere nuove strade, divenire indipendenti.
Li vidi andare via di casa per spostarsi in altre città, e ogni volta li aspettai con del mate e uno spuntino per ascoltare le loro storie.»

Un libro incisivo, emozionante, velatamente malinconico.
Consigliato. Buona lettura!


©Foto:Raymond Crepsac

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24 luglio 2023

LE PAROLE CHE RESTANO: DIALOGO CON HARRY WHITTAKER , CUSTODE DELLʼEREDITÀ RILEY




Cari amici e care amiche, 

È un'onore, oltre che un piacere ospitare nel mio blog Harry Whittaker,figlio di Lucinda Riley, è un pluripremiato presentatore radiofonico della BBC nonché membro di una delle più rinomate compagnie di improvvisazione del Regno Unito. Insieme hanno scritto la serie per bambini My Angels. Dopo la morte di Lucinda nel 2021, Harry ha completato la stesura di Atlas,“la storia di Pa'Salt", l'ultimo capitolo della serie delle Sette Sorelle.


D. COSA TI HA INSEGNATO IL LIBRO “ATLAS: LA STORIA DI PA’ SALT”?

R. Ho imparato soprattutto che si può scrivere ovunque, quando è davvero necessario. La tranquillità assoluta o panorami mozzafiato non sono indispensabili. Di fatto, ho scritto Atlas durante il tour nazionale del mio spettacolo di improvvisazione comica: questo significava mettere giù pagine sui treni, nei camerini e negli hotel autostradali più squallidi che si possano immaginare.
Dal punto di vista del processo creativo, ho scoperto quanto possa essere utile una scadenza. Mi sono imposto di scrivere dieci pagine al giorno, circa 3.000 parole. Era un concetto nuovo e terrificante per me: prima di Atlas avevo scritto solo libri per bambini, e non era raro che passassi un’intera mattina a sistemare una singola frase. Qui non potevo permettermi quel lusso.
Alcuni giorni erano una salita infinita, e riuscivo a tirare fuori solo 200 parole utili. Altri invece scorrevano come il vino, e alla fine aggiungevo anche un migliaio di parole in più. Così il romanzo è cresciuto, fino a quando, sei mesi dopo, è comparsa una prima bozza quasi… miracolosamente.
All’inizio ho fatto un grande sforzo per scrivere “come Lucinda Riley” (sono certo di non esserci riuscito: nessuno scrive come mia madre). Ma dopo le prime cento pagine la storia ha iniziato a camminare da sola, e non ci ho più pensato. Spero davvero che i lettori sentano di aver tra le mani un romanzo “alla Lucinda Riley”: ne sarei immensamente orgoglioso.
Mi chiedono spesso se le abbia “parlato” mentre scrivevo. La risposta è un inequivocabile sì. Nella mia mente discutevamo spesso della trama e del destino dei personaggi. Ma in realtà avevamo già parlato così tanto della serie negli anni che, quando formulavo una domanda, conoscevo già la risposta.

D. QUAL È IL TUO CAPITOLO PREFERITO (O IL PIÙ DIFFICILE) CHE TU ABBIA MAI SCRITTO?

R. Direi più “preferito” che “più difficile”. Senza rivelare nulla, gli ultimi due capitoli della serie Le sette sorelle hanno rappresentato una grande sfida professionale: dovevo creare un impatto emotivo, soddisfare il lettore e gestire una ventina di personaggi. Ma ne sono molto orgoglioso.

D. DOVE TROVI L’ISPIRAZIONE PER SCRIVERE?

R. Penso che la maggior parte degli scrittori trovi l’ispirazione semplicemente vivendo, giorno dopo giorno. Se cerchi di afferrarla, ti sfuggirà. È molto più probabile che arrivi quando bevi una tazza di tè in giardino o passeggi senza pensieri lungo una spiaggia.

D. HAI DELLE ABITUDINI PARTICOLARI QUANDO SCRIVI?

R. Ho sviluppato un acufene cronico quando avevo sedici anni, quindi non posso scrivere nel silenzio assoluto. Di solito ascolto musica classica in cuffia, oppure il suono della pioggia che cade.

D. QUAL È IL TUO AUTORE PREFERITO E PERCHÉ?

R. Prima di tutto, Lucinda Riley. Era la migliore narratrice del mondo: univa una dedizione straordinaria alla ricerca a una passione autentica per le storie dimenticate di donne forti. Ammiro molto anche F. Scott Fitzgerald: i suoi romanzi sono affascinanti e riescono sempre a trasportarmi indietro nel tempo.

D. COSA TI PIACE FARE QUANDO NON SCRIVI?

R. Oltre a scrivere, sono presentatore radiofonico per la BBC e gestisco una compagnia di improvvisazione in tournée: il tempo libero non abbonda! Quando riesco, però, cerco di camminare spesso e di ascoltare podcast.

D. QUALI SONO I TUOI PROGETTI FUTURI?

R. Sto per iniziare a lavorare al mio primo romanzo indipendente: sarà contemporaneo, umoristico e molto… britannico, nello stile di Nick Hornby o David Nicholls. La commedia è la mia dimensione più naturale, e non vedo l’ora di dedicarmici.
Inoltre, ho tre romanzi di Lucinda Edmonds (Riley) da rieditare e ripubblicare, come già fatto con La ragazza italiana, L’angelo di Marchmont Hall e La lettera d’amore.



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07 luglio 2023

TRA IRONIA E INDAGINI: CONVERSAZIONE CON SANDRA BONZI.



Cari amici lettori,

L' ospite di questa nuova intervista è
Sandra Bonzi, nata e cresciuta a Bolzano, da oltre trent’anni vive a Milano. Giornalista, ha lavorato nell’ambito della televisione (Fininvest Comunicazioni, Telepiù, Disney Channel) e del cinema (Colorado, Albachiara Produzioni) e ha firmato numerose rubriche su periodici e quotidiani (da «Topolino» alla «Repubblica»). Con Garzanti ha pubblicato anche Nove giorni e mezzo (2022) e Il mio nome è due di picche (2023).Posso dirvi che entrambi i libri sono molto piacevoli, un mix davvero ben costruito di commedia e giallo. Consigliatissimi!

D. COME È NATA LA TUA PASSIONE PER LA SCRITTURA?

R. Ho amato scrivere fin dalle elementari. Devo ringraziare il mio maestro che come compiti delle vacanze estive ci ha sempre e solo attribuito la lettura di qualche libro a nostra scelta e la scrittura di un diario, che ogni anno poteva assumere forma diversa: raccolta di racconti, di interviste, di disegni e fumetti… Credo sia nata così la passione per la lettura e la scrittura.

D. PARLACI DELLE INFLUENZE LETTERARIE CHE HAI AVUTO, DEGLI SCRITTORI CHE AMI.

R. Aiuto! Questa è una domanda molto difficile perché sono una lettrice onnivora, ho avuto molte passioni a seconda delle diverse fasi della vita e gli scrittori che amo sono tanti, italiani e non, classici e contemporanei… Quindi che faccio? Provo a tracciare un veloce percorso, citando solo alcuni autori, dal mio primo amore Louise May Alcott (ero in prima media e ricordo di aver finto una terribile indisposizione per poter rimanere a letto e finire di leggere “Piccole Donne”) alle mie ultime scoperte, Gabriel Tallent (che in “Mio assoluto amore” riesce a narrare l’inenarrabile) e Ayelet Gundar-Goshen (che nei suoi libri si addentra con maestria unica nella psicologia dei personaggi). In mezzo ci sono state le letture dell’adolescenza (Jane Austen, Elizabeth Von Armin e Wilkie Collins, controbilanciati da Erica Jong, Simone de Beauvoir e Dacia Maraini), poi la fissa dei centro e sudamericani (da Garcia Marquez a Manuel Scorza, da Gioconda Belli a Isabel Allende). I russi li ho frequentati poco ma conto di recuperare (anche se “Delitto e castigo” e “Anna Karenina” credo di averli riletti almeno cinque o sei volte). E poi così alla rinfusa, Bukowsky e Auster, Roman Gary e Daniel Pennac (la saga Malaussene, che meraviglia!), Kent Haruf, Jonathan Coe e John R. Lansdale, Fred Vargas, Doris Lessing, Stefan Zweig, Doroty Parker e Annie Ernaux. Non ho citato gli italiani? Troppi. Solo gli ultimi in ordine di tempo: Elena Ferrante, Francesco Piccolo, Erri De Luca, Fabio Bartolomei, Paolo Giordano.

D.HAI DELLE ABITUDINI PARTICOLARI DURANTE LA SCRITTURA?

R. Mentre scrivo ascolto musica. Mi affido alle playlist di AppleMusic…

D.CON QUALI PERSONAGGI TI RELAZIONI FACILMENTE IN “NOVE GIORNI E MEZZO” E IN “IL MIO NOME È DUE DI PICCHE”? PERCHÉ?

R. Margherita e le sorelle Giuffrida sono i personaggi che mi diverto più a scrivere. Mario, invece, è quello che mi intenerisce e mi sorprende di più.

D.UNA SCENA DI “IL MIO NOME È DUE DI PICCHE” CHE TI PIACE PARTICOLARMENTE?

R.Non ho dubbi: il primo incontro tra Elena l’esimio Prof. Montebelli, un professionista impeccabile ma totalmente sprovvisto di quella qualità tipicamente umana che è l’empatia: è così concentrato sull’anca di Ettore da non rendersi minimamente conto di quanto lui sia dolorante e atterrito. Per fortuna è un prodotto della mia fantasia e non circola nei nostri ospedali… o no?

D. QUALI COLORI POTREBBERO RIASSUMERE LE PERSONALITÀ DEI PROTAGONISTI?

R.Per Ettore è il verde, per Margherita e Claudia è il rosso, per LaCarlina è il rosa, per LaDaria è il viola, per Capelli è il blu, per Russo è il bianco e per Cardone è il marrone. E per Elena?
Per lei ci vogliono i colori della primavera!

D.PROGETTI PER IL FUTURO?

R. Iscrivermi a un corso di ballo (il tango? anche…), trovare il tempo per dipingere e continuare a scrivere (la prossima avventura di Elena? Eccccccccerto!!)

Desidero ringraziare Sandra Bonzi per aver risposto alle mie domande


Il mio nome è due di picche in libreria e sugli store online dal 25 aprile 2023 Garzanti


Nove giorni e mezzo in libreria e sugli store online dal 28 aprile 2022 Garzanti



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02 luglio 2023

RECENSIONE DEL LIBRO: LEONARDO SCIASCIA NEGLI OCCHI DELLE DONNE -“TESSERE DI UN MOSAICO AL FEMMINILE” DI ROSSANA CAVALIERE




In libreria e sugli store online dal 26 maggio 2023 Vallecchi




NOTE SULL’ AUTRICE

Rossana Cavaliere ha dedicato una significativa parte dei suoi studi a Leonardo Sciascia,a partire dalla tesi di Dottorato in studi di Pisa,dove si è specializzata in percorsi dalla Letteratura al Cinema.
Nello specifico, è autrice del saggio “Leonardo Sciascia e le immagini della scrittura.” “Il poliziesco di mafia dalla letteratura al cinema”, (Felici, 2015), adottato in ambito universitario. Ha curato la rubrica “Leonardo Sciascia e il femminile” per Todomodo - Rivista internazionale di studi sciasciani,(Leo Olschki), sia nel 2021 che nel 2022.
Nell'anno del centenario,ha partecipato alle Lezioni sciasciane, seminari internazionali sull'opera di Leonardo Sciascia,promosse dal Comitato nazionale, dall'Università per stranieri di Perugia e dall'Istituto Treccani (2021),al Festival sciasciano e alla Maratona “Cento voci per i Cento anni di Leonardo Sciascia.” 
Ha deciso di indagare più a fondo sulla personalità del suo autore di culto, presentando un ritratto, nuovo e imperdibile,dello scrittore siciliano, finalmente attraverso punti di vista solo femminili.

COSA NE PENSO

In “LEONARDO SCIASCIA NEGLI OCCHI DELLE DONNE” sono stati raccolti in questo libro intervista i momenti più significativi e personali della vita dello scrittore racalmutese.
Considerato una delle più grandi figure letterarie del Novecento italiano ed europeo.
A rispondere alle domande incalzanti e spesso pungenti di Rossana Cavaliere, autrice di questa avvincente antologia, sono state figure femminili di spicco del giornalismo e della letteratura. 
Elisabetta Sgarbi, Francesca Scopelliti, quest'ultima ex giornalista e ultima compagna di vita di Enzo Tortora.
In conclusione, vi consiglio la lettura di questo libro. Buona lettura!


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21 giugno 2023

INTERVISTA A GIANFRANCO VERGONI AUTORE DEL ROMANZO: “IL CIELO D'ERBA”





Cari amici lettori,

Bentrovati! L' ospite di questa nuova intervista è Gianfranco Vergoni. Perugino trapiantato a Roma, è stato ballerino, cantante, attore. In più di trent’anni di teatro – con oltre cinquanta titoli al suo attivo – ha tradotto e adattato copioni e canzoni, curato regie e coreografie, scritto e messo in scena sei recital, quattro monologhi, due commedie e sei commedie musicali, vincendo il Broadway World Award per il miglior testo. Grandissimo lettore da sempre, con Il cielo d’erba esordisce come scrittore di romanzi. 
Il romanzo di Gianfranco Vergoni è un esordio potente e di grande impatto emotivo. Non è un libro sull’omosessualità, è un libro sull’identità e sull'amore.
Consigliatissimo!


D. SEI STATO BALLERINO, CANTANTE, ATTORE, HAI TRADOTTO E ADATTATO COPIONI E CANZONI, CURATO REGIE E COREOGRAFIE, SCRITTO E MESSO IN SCENA SEI RECITAL, QUATTRO MONOLOGHI, DUE COMMEDIE E SEI COMMEDIE MUSICALI, VINCENDO IL BROADWAY WORLD AWARD PER IL MIGLIOR TESTO. COSA TI HA SPINTO A DIVENTARE UNO SCRITTORE?

R. In un certo senso lo sono sempre stato. Ero un bambino pigro e sedentario, passavo i pomeriggi a leggere fumetti, e mi veniva naturale, facendo i compiti, riproporre il dinamismo di quei dialoghi nei temi e nei riassunti. Ho scoperto presto che quello che scrivevo sorprendeva e divertiva gli insegnanti, e fin dalla seconda elementare sono stato incoraggiato a scrivere dei brevi brani che poi a fine anno venivano messi in scena in un teatro vero e proprio, lo storico “Morlacchi” di Perugia, in occasione del famoso “saggio” di giugno. Incredibile ma vero, negli anni ’70 ci abituavano alla pratica del teatro, in una scuola comunale che non navigava certo nell’oro. E grazie ai miei monologhi, mentre tutti i miei compagni di classe facevano in pratica da coro e corpo di ballo, io interpretavo il presentatore, e recitavo a memoria al centro del palco, davanti a un microfono che ricordo altissimo ed enorme. Per l’occasione la mamma mi faceva fare un completo su misura da un sarto amico di famiglia. Se ci ripenso! Nemmeno noi navigavamo nell’oro. Galleggiavamo appena, per così dire. Ma lei era così fiera. Poi negli anni la passione per la danza ha avuto il sopravvento. Ma non ho mai smesso di leggere e nemmeno di scrivere, poesie satiriche, diari, lettere, scenette comiche in inglese… 


D. COSA HA ISPIRATO IL TITOLO DEL TUO LIBRO “IL CIELO D' ERBA”?

R. Volevo una sfida, un incontro che dichiarasse subito differenze di approccio alla vita tra i due personaggi principali, visioni del mondo inizialmente inconciliabili. Ho sentito che Viola doveva essere atletica, e Francesco un nerd. Un ex bambino pigro e sedentario, ecco. E siccome è da qualche anno che pratico lo yoga, e ho scoperto che adoro le posizioni in equilibrio sulle mani, sugli avambracci, e a testa in giù, mi è venuto in mente che Viola potesse condividere questo piacere. Tra l’altro lei ha movenze e spirito che ricordano a Francesco quelli di un gatto, e anche i gatti a volte si sdraiano sulla schiena per guardarti sottosopra. Per alcuni ex ginnasti tornare in verticale è ritrovare un contatto con la parte di sé abituata a volare, è un rimettersi al centro, ridiscutere i punti di riferimento, e dal momento che la scena che avevo in mente si svolge in un parco, mettersi in verticale comporta che al posto del cielo vedi il prato, vedi un cielo d’erba. E ho pensato che fosse una bella immagine, e un simbolo adeguato.


D. QUAL È STATA LA SCENA PIÙ DIFFICILE DEL ROMANZO?

R. C’è un momento molto drammatico, che non anticipo, in cui la mente di Francesco si inabissa in un gorgo di pensieri nefasti, e si imbeve di controinformazione di natura transfobica. Lo fa non perché abbia un animo violento o intollerante, ma perché da un certo punto in poi vive la transizione della persona che ama come qualcosa che gliela porta via, la cancella dalla sua vista, la sostituisce con un maschio sconosciuto e indesiderato che lui considera “il peggior rivale in amore che si possa immaginare: l’uomo che sta prendendo il posto di tua moglie”. Lì ho sofferto davvero, perché sono pensieri che non solo non mi appartengono, ma che nella vita avverso e combatto. Ma ho voluto, dovuto accompagnare Francesco in una vera e propria discesa agli inferi intellettuale ed emotiva. E la sofferenza non passa. Certe pagine, se le rileggo, mi fanno ancora stare male. 


D. COSA TI AIUTA A CONCENTRARTI MENTRE SCRIVI?

R. Dopo una corsa al parco o mezz’ora di yoga e una doccia fresca, è come se tutte le idee che ho in mente venissero lavate, pettinate e messe in ordine ad asciugare. Allungare muscoli e tendini mi dà, a posteriori, la sensazione di ragionare meglio, come se anche la psiche avesse fatto esercizi di elasticità. Mantenere la capacità di eseguire la spaccata per me è una forma rituale di dedizione a tante cose, a me stesso, al mio passato, a un’idea superiore di umiltà e disciplina, alla tutela del benessere del corpo che poi si riflette sull’anima. È un’esperienza che mi piace trasmettere quando ho l’occasione di proporre dei corsi di teatro musicale o di preparazione alla scena, attività che mi piace tantissimo, purché a piccole dosi e in ambiti molto seri. 


D. ESISTE UN LIBRO CHE HA AVUTO UNA GRANDE INFLUENZA NELLA TUA VITA? 

R. Oh sì, assolutamente. “La morte della bellezza” di Giuseppe Patroni Griffi. Lessi questo romanzo e rimasi senza fiato. Vedevo tutto, sentivo tutto, i rumori, i sapori. E soprattutto mi resi conto che la mia vita intima era un disastro: non mi concedevo nulla, nemmeno i desideri. Da quel momento in poi decisi che non avrei più fatto a meno di vivere le mie esperienze con l’intensità e la libertà che per via di tanti condizionamenti non mi ero mai concesse. E questo dopo aver letto un libro! Non dopo aver incontrato l’amante dei sogni. Non dopo aver studiato trattati sulla vita di coppia. Non dopo essermi fatto una fantasiosa cultura sui film porno. Dopo aver letto un libro. Per la prima volta ho percepito quanto potere e quanto fascino possa esercitare la parola scritta, e a quali livelli di profondità riesca ad agire, ad attivare risoluzioni. Il libro giusto al momento giusto la vita te la cambia, altro che chiacchiere.


D. C'È QUALCOS'ALTRO CHE VUOI AGGIUNGERE... CHE VORRESTI DIRE AI TUOI LETTORI?

R. Sì. Se avete una paura istintiva di qualcuno che tutto sommato non conoscete, ma che fa parte di un gruppo del quale vi hanno detto o avete letto peste e corna, provate a parlarci, per pochi minuti, e a farvi spiegare le sue ragioni. Male che vada resterete con le idee che avevate prima. Oppure, chissà, vi si potrebbe aprire una nuova prospettiva, grazie alla quale posare uno sguardo nuovo, più ampio e sereno, sul mondo e sulle persone. Potrebbe essere la scoperta del vostro personale cielo d’erba.


D. PROGETTI PER IL FUTURO? 

R. Continuare a scrivere, imparare a farlo meglio, e a non lasciarmi sopraffare dalla timidezza che a volte mi blocca quando è proprio il momento giusto per presentarmi e propormi. Magari mi ci vuole solo un completo nuovo fatto da un sarto…

Desidero ringraziare Gianfranco Vergoni per aver risposto alle mie domande

In libreria e sugli store online dal 25 aprile 2023 Longanesi


SINOSSI 

Francesco è un giovane disoccupato, spesso prigioniero delle proprie fragilità. Viola per lui è una rivelazione. Gli dà forza e fiducia in se stesso e lui la adora, adora tutto di lei. E anche Viola impara ad amarlo e ad aprirsi con lui, nonostante la propria natura un po' da gatto e un po' da istrice. È soltanto grazie a lei che Francesco ha imparato a guardare il mondo da una nuova prospettiva, capovolta. Le cose non sono come sembrano, e non devono per forza andar sempre male. Così le loro vite – lui che trova finalmente un impiego in un mercatino dell'usato, lei che lavora nel bar dei genitori – si uniscono in modo indissolubile. L'innamoramento porta alla convivenza e poi al matrimonio. Ma l'idillio dura poco, perché Francesco si accorge che Viola è sempre più cupa e scontrosa, c'è qualcosa che la tormenta e la divora da dentro. Il ragazzo decide di affrontarla e, sulla scorta di un terribile sospetto, le chiede se ci sia un altro uomo. E un altro uomo, in effetti, c'è: è Viola stessa. Viola che non è mai stata a suo agio dentro il corpo di una donna, dentro quell'identità. Viola che ha deciso di ascoltarsi, finalmente, e avviare il processo di transizione di genere. L'amore che prova per Francesco non è messo in discussione e lui, sospinto da un sentimento assoluto e incrollabile, cerca con tutto se stesso di accettare la situazione e di sostenere la moglie. Ma l'amore, il vero amore, può davvero resistere a tutto? Nessun aspetto viene nascosto al lettore, né sentimentale né fisico o sessuale, in un percorso che sfida le convenzioni raccontando l'amore come non è mai stato raccontato prima. Una narrazione matura, energica e allo stesso tempo delicata, che supera con coraggio gli stereotipi e trascina il lettore nei meandri più profondi dell'animo umano.


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13 giugno 2023

“.. CHIACCHIERATA CON ARIANNA MORTELLITI, AUTRICE DEL ROMANZO: QUELLA VOLTA CHE MIA MOGLIE HA CUCINATO I PEPERONI”





Cari lettori,

L'ospite di oggi è Arianna Mortelliti, nata a Roma nel 1987, si è laureata in Scienze Biologiche e lavora come insegnante nella scuola.


D: QUANDO HAI CAPITO DI ESSERE PORTATA PER LA SCRITTURA?

R: Ho sempre amato scrivere. Lettere, diari, pensieri. Lo faccio fin da quando sono bambina. Un romanzo, però, è qualcosa di diverso. Dentro di me sapevo che prima o poi mi sarebbe piaciuto intraprendere questo percorso, ma non trovavo mai il coraggio di cominciare. Tra il 2018 e il 2019 ho supportato nella scrittura mio nonno, diventato ormai cieco. Ricordo quell’anno come il più felice della mia vita, forse perché finalmente avevo trovato la mia dimensione: mattina “scienziata”, pomeriggio scrittrice. A dicembre del 2019 mi è stato chiesto di raccontare la mia esperienza lavorativa con nonno, da quel momento mio padre non ha fatto che spronarmi a scrivere un romanzo. È stato lui ad avere così tanta fiducia in me da farmi trovare finalmente il coraggio. E così, tra fine agosto e inizio settembre 2020, ho buttato giù la storia di Arturo e della sua famiglia.

D: DOVE HAI TROVATO L’IDEA PER QUESTO LIBRO E COSA TI HA INSEGNATO?

R: L’idea del romanzo è nata mentre cercavo di metabolizzare la perdita di nonno. Prima di lasciarci, è stato in coma per un mese, dal 17 giugno al 17 luglio 2019. Situazioni di questo tipo lasciano un’impronta emotiva molto forte. La persona cara è davanti a te, respira, vive, esiste. Eppure sembra altrove. Non risponde, non reagisce. Nessuno sa se abbia percezione di sé e dell’ambiente intorno. Io gli parlavo, sapendolo cieco temevo potesse impaurirsi e cercavo di tranquillizzarlo raccontandogli dove fosse e perché. Scrivere la storia di Arturo, un anno dopo questa esperienza, mi ha aiutato a lasciarmi alle spalle il dolore. Alla fine la scrittura è diventata l’unica terapia utile per ricordare nonno con il sorriso. 
Prima di questo romanzo, a causa della mia impostazione scientifica, cercavo risposte nella ragione. Dado, il fratello di Arturo, mi ha insegnato che l’immaginazione, certe volte, può salvarci la vita.

D: COME COSTRUISCI I TUOI PERSONAGGI E LA TRAMA?

R: Mi piace raccontare più storie in un unico romanzo, scrivere di come si mescolino le vite delle persone, di come un singolo incontro possa cambiare il percorso di ciascuno. Della vita dei miei personaggi si sa poco, di alcuni nemmeno che lavoro facciano. Preferisco lasciare spazio alle loro emozioni, ai loro turbamenti interiori. Racconto del loro animo, della loro coscienza. Non li delineo in maniera precisa prima di scrivere, solitamente vengono fuori a mano a mano che la storia procede. La trama di “Quella volta che mia moglie ha cucinato i peperoni” l’ho pensata in macchina, bloccata nel traffico di Roma. 

D: CI SONO PERSONAGGI NEL TUO LIBRO “QUELLA VOLTA CHE MIA MOGLIE HA CUCINATO I PEPERONI”CHE HANNO SOMIGLIANZE CON TE O PERSONE CHE CONOSCI?

R: La mia famiglia, come quella del romanzo, è matriarcale. Non ci sono personaggi femminili direttamente riconducibili a un elemento della famiglia, ma in ognuno di loro c’è un po’ di tutte noi. Sfaccettature del carattere e modi di fare. Nella figura di Nina, una delle nipoti di Arturo, rivedo parte di me e della complicità che rendeva unico il legame con mio nonno. 

D: QUALE PARTE DEL TUO PROCESSO DI SCRITTURA È LA PIÙ DIFFICILE?

R: Ho deciso di scrivere senza un narratore esterno, ma sempre dal punto di vista del protagonista. Questa scelta ha reso difficili alcuni passaggi del libro, perché ogni fatto raccontato doveva essere stato necessariamente visto o sentito dal protagonista. La parte più difficile dunque è stata svelare i segreti della famiglia solo attraverso i dettagli conosciuti da Arturo.

D: PUOI RACCONTARCI UN ANEDDOTO LEGATO A TUO NONNO IL GRANDE ANDREA CAMILLERI?

R: L’ho avuto accanto per 32 anni, difficile scegliere un aneddoto in particolare. Adoro ripensare al periodo in cui ho lavorato con lui, perché abbiamo trascorso moltissime ore da soli e questo ci ha permesso di legarci ancora di più. Siamo sempre stati complici, ho preso molto del suo carattere, ma rispetto all’infanzia in quella fase ho vissuto il rapporto con maggiore consapevolezza. Abbiamo smesso di considerarci nonno e nipote e ci siamo scoperti ottimi amici e confidenti. Quello che ci siamo detti lo conserverò sempre nel cuore.

D: PROGETTI PER IL FUTURO?

R: Continuare a fare l’insegnante di scienze, perché adoro il contatto con i ragazzi, amo la mia materia e ritengo sia importante cercare di far capire agli altri come funzioniamo noi e l’ambiente in cui viviamo. La scrittura è una nuova strada che mi si è aperta davanti, spero le due cose possano andare in parallelo senza scontrarsi mai. Il secondo romanzo è già pronto.

Ringrazio Arianna Mortelliti per aver risposto alle mie domande.



Nelle librerie e sugli store online dal 4 aprile 2023 Mondadori


SINOSSI

Arturo Baldi, novantacinque anni, viene portato d'urgenza in ospedale, dove scivola in un coma profondo. A dispetto dei neurologi, che lo escludono categoricamente, la coscienza di Arturo è ancora vigile. In questo misterioso tempo sospeso Arturo riesce a sentire, uno per uno, tutti i componenti della famiglia che vengono a fargli visita in una incessante sequenza di confessioni, sfoghi, preghiere. In quei meandri della coscienza, domina il faccia a faccia con Dado, il fratello inquieto, il pittore talentuoso, il ribelle che manca da anni dentro il teatro famigliare. In questa sorta di popolata immobilità, Arturo risale dall'infanzia fino alla costruzione della grande famiglia che ora, intorno al suo letto, stilla parole e memoria. Così seguiamo l'amore che lo lega a Carolina da tutta una vita, le figlie Dori e Fiore, le nipoti Margherita e Nina, prossima alle nozze, e la pronipote Anna, che ha ereditato dal prozio mai conosciuto l'occhio e la mano da pittrice. Dado è lo specchio per tornare indietro nel tempo, nel formicolio di segreti che alligna là dove la famiglia sembra più salda. Arianna Mortelliti, alla sua prima prova narrativa ma cresciuta alla scuola del nonno Andrea Camilleri, scrive un romanzo decisamente intrigante, calibrando suspense e informazioni all'interno di una struttura a dialoghi che, progressivamente, scioglie nodi e ambiguità.


COSA NE PENSO

Ci troviamo di fronte a due fratelli alquanto diversi tra loro, Dado e Arturo Baldi.
Diversi come lo sono il sole e la luna, ma uniti nel cuore.
Il romanzo si focalizza principalmente sugli ultimi giorni di vita di Arturo,ormai ultra novantenne e in coma.

“È tutto confuso adesso,mi sembra quasi di sognare... Non capisco nemmeno se è un incubo o un bel sogno.”
Pensieri negativi e ricordi felici si intrecciano in un unica immagine.
“ Sai cosa mi ricorda tutto questo?”
“Cosa?”
“Mi sembra uno di quegli incubi che faccio dopo aver mangiato i peperoni al forno di Carolina.”

La sensazione che mi ha lasciato questo romanzo a fine lettura, e che la nostra morte sarà ciò che è stata la nostra vita.Noi reagiamo di fronte alla nostra transizione nello stesso modo in cui abbiamo reagito davanti a tutti i grandi avvenimenti prodottisi durante la nostra esistenza. E tutto questo lo scopriremo grazie ad Arturo che visto dall’esterno, può sembrare immerso in un sonno profondo, una condizione caratterizzata dall’inconsapevolezza 
di sé e dell’ambiente.
Ma di fatto non è così perché lui ascolta. Il suo stato di incoscienza gli permette infatti di sentire, forse per la prima volta quello che hanno da dirgli le donne della sua vita, da sua moglie Carolina, alle sue figlie fino alle sue nipoti, tutte riunitesi al suo capezzale, mentre lui rimane avvolto nel torpore della sua mente che viaggia inesorabile avanti e indietro nel tempo.
In conclusione,lo stile curato e preciso dell'autrice dà linfa e consistenza alla storia.
Una sorta di piccola preghiera muta che Arianna rivolge al suo amato e compianto nonno Andrea Camilleri.
Lettura consigliata!




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02 giugno 2023

GIUSY SCIACCA: INTERVISTA ALLA SCRITTRICE DEL ROMANZO “D’AMORE E DI RABBIA ”

Cari lettori e cari lettrici,

Bentrovati! L'ospite di questa nuova intervista è Giusy Sciacca. 
Giusy Sciacca, nata a Lentini (SR), vive oggi tra Roma e Siracusa.
Dopo aver conseguito a Catania la laurea in Lingue e Letterature Straniere, è autrice di narrativa e testi teatrali. Nel 2021 ha pubblicato Virità, femminile singolare-plurale (Edizioni Kalòs), dando voce a venti donne siciliane della mitologia e storia mediterranea. Scrive di libri e cultura per varie testate giornalistiche.
 

D. GIUSY PARLAMI DI TE E DEL TUO INCONTRO CON LA LETTERATURA…

R. In tutta sincerità non saprei da dove cominciare! Dovrei veramente guardarmi indietro, molto indietro, e ripensare al mio percorso da lettrice, da autrice, da ricercatrice anche. Non è semplice individuare un solo momento. Il mio incontro con la “pagina scritta” avviene sicuramente in tenera età, ho sempre letto e ho iniziato con “I ragazzi della via Pal” di Molnàr e “Piccole donne” di Louisa May Alcott. Leggevo anche in inglese perché è una lingua che sentivo (anche per motivi familiari) e parlavo già da ragazzina. La folgorazione è poi avvenuta negli anni con la letteratura siciliana, che mi ha nutrita nell’amore per la letteratura e la mia terra, e ancora nella letteratura straniera, anglo-americana e tedesca soprattutto, perché è il percorso di studi universitari che ho scelto. A quegli anni farei risalire l’inizio della mia passione per la ricerca storica e genealogica. Mai svolta in ambito accademico, ma per curiosità e passione, indagando soprattutto l’esperienza femminile nella storia mediterranea. Come autrice, credo che il mio incontro con la “pagina bianca” sia avvenuto invece davanti alla macchina da scrivere di mio padre, una vecchia Olivetti Lettera 32, che ho fatto restaurare e che ho su una mensola del mio salotto di casa. Lì, su quei tasti durissimi, ho cominciato a esercitare la fantasia con piccole storie sui fogli protocollo. Dopo molti anni, ho ritrovato anche quelli. 

D. ATTRAVERSO QUALI FASI PASSA LA SCRITTURA DI UN ROMANZO STORICO?

R. Il romanzo storico non può prescindere dalla ricerca, che è una fase propedeutica imprescindibile secondo me. Le autrici e gli autori di romanzi storici hanno una responsabilità nei confronti del pubblico: con la storia non si scherza. Si può reinterpretare, rileggere, ma non si può negare o reinventare. I fatti e i contesti devono essere rispettati, studiati per poter davvero offrire alle lettrici e ai lettori un’esperienza di lettura che è anche viaggio nel tempo per “atterrare” – volendo usare un termine che mi appartiene altrettanto per professione – riflettendo sul presente. Tutto questo utilizzando una lingua vicina ai contemporanei, sempre nel rispetto dei registri e delle ambientazioni. Non è facile, è molto sfidante davvero e la speranza è quella di riuscirci in qualche modo. Tutto questo lo faccio perché mi ascolto, risponde a una mia urgenza e mi appaga. Tornando a me, posso dire che finora la ricerca è sempre stata un’attività appassionante, avvincente, dalla quale poi è quasi difficile staccarsi. Tuttavia, giunge un momento in cui è giusto uscire dagli archivi e iniziare a scrivere per tessere quella trama di vissuto e di emozioni che molti documenti (a parte gli epistolari o altro tipo di documentazione personale) non riescono a renderci. A un certo punto la realtà e il rigore della ricostruzione storica cedono il passo all’immaginazione e alla finzione per fondersi insieme in armonia.

D. QUALI SONO STATE LE FONTI DI ISPIRAZIONE PER LA REALIZZAZIONE DI “D'AMORE E DI RABBIA”? 

R. Nel parlare di fonti potrei specificare delle differenze: fonti storiche, fonti letterarie, fonti affettive. Il romanzo trae spunto da un fatto di cronaca realmente accaduto, per cui direi che la storia è stata ed è sempre fonte di ispirazione e occasione di riflessione. Per le fonti letterarie, mi ripeterò, ma la grande tradizione letteraria siciliana, Verga soprattutto, checché se ne dica viste le recenti polemiche in riferimento ai programmi scolastici. Verga non si tocca, non si deve e non si può toccare. Ma anche la letteratura nazionale del Novecento, senza dubbio, anche se non ho mai smesso di guardarmi attorno e sbirciare la letteratura straniera. Esiste poi quello che definisco un patrimonio bibliografico immateriale che è il mio vissuto, quello della mia famiglia e il nostro passato. Non a caso, personaggi come Marianna Prato mi appartengono più di altri: era la mia trisavola per parte di mamma, la Locanda Prato è davvero esistita e il racconto mi è giunto attraverso i ricordi delle nonne e delle mie zie.

D. QUANTO TEMPO È STATO NECESSARIO PER LA REALIZZAZIONE DEL LIBRO?

R. In realtà si comincia a scrivere un libro ben prima di prendere la penna in mano. I miei scritti prendono forma quando comincia a delinearsi l’idea, quando – all’alba ancora assonnata o al semaforo bloccata nel traffico! – rifletto su come costruire una trama o che volto dare ai personaggi. E al tema che voglio sondare, che mi prende personalmente e che voglio portare all’attenzione del lettore. C’è un tempo per la ricerca delle fonti, dei documenti, e per lo studio di ogni aspetto dalla storia al costume, dall’arte alla gastronomia, la moda, la toponomastica. Tutto questo è necessario per me per immergermi completamente in un mondo distante dal mio. E poi si scrive sul serio. Per fare tutto questo e scrivere “D’amore e di rabbia” ho impiegato all’incirca due anni. 

D. ESISTE UN LIBRO CHE HA AVUTO UNA GRANDE INFLUENZA NELLA TUA VITA?

R. Ce ne sono stati molti. Sarei ingiusta a individuarne solo uno. Ho già citato Verga, “I Malavoglia” e le sue novelle, i capolavori della letteratura siciliana firmati da maestri come Tomasi di Lampedusa, Pirandello, Sciascia, Bufalino, Vittorini. Fino alla letteratura siciliana contemporanea, che è femmina e profuma di zagara, come qualcuno ha già fatto notare ipotizzando un vero e proprio filone. Inoltre, come dicevo, ho sempre guardato alla letteratura straniera. Per me “Orlando” di Virginia Woolf e “Le affinità elettive” di Goethe, la scrittura di Flannery O’Connor e “Stoner” di Williams sono state delle svolte nella mia vita come lettrice. E forse anche come autrice. 

D. C'È QUALCOS'ALTRO CHE VUOI AGGIUNGERE... CHE VORRESTI DIRE AI TUOI LETTORI?

R. Non smetto mai di ringraziare. Lo faccio sempre. Nel diluvio della produzione letteraria che inonda le librerie, nell’abbondanza dell’offerta, essere scelti è un privilegio. Dunque, grazie. 

D. PROGETTI PER IL FUTURO?

R. Scrivere. Come accennavo poc’anzi, la genesi di un romanzo non coincide con la prima parola nero su bianco. C’è quella di certo e ci sono già un paio di progetti in corso che impegnano le mie albe e le mie lunghe attese ai semafori del traffico romano. 

Ringrazio Giusy Sciacca per aver risposto alle mie domande.

Nelle librerie e sugli store online dal 21 marzo 2023 Neri Pozza


SINOSSI

Sicilia, luglio 1922. A Lentini, centro agricolo della provincia siracusana sotto il fiato dell’Etna, avviene un sanguinoso fatto di cronaca, poi sepolto dalla polvere. Tra i protagonisti anche Maria Giudice, fervente sindacalista di origine lombarda e madre della scrittrice Goliarda Sapienza. Alla vigilia della prepotente affermazione fascista, nella cittadina si consuma un’accesa lotta di classe tra la decadente nobiltà latifondista, arroccata nel palazzo baronale dei Beneventano della Corte, e i braccianti. In mezzo, sul confine di quei due mondi, c’è Amelia Di Stefano, una donna fuori posto. Un proverbio popolare siciliano recita che un uccello in gabbia non canta per amore ma per rabbia. Amelia è una donna in trappola. Catanese di nobili origini, ha pagato duramente un errore commesso da giovane. Ora, tradita dalla famiglia e dagli amici della Catania dei salotti, si ritrova in esilio a Lentini, dove oscilla tra la relazione clandestina che la vincola a Francesco, primogenito del potente barone Beneventano della Corte, e il carisma della fiamma ideologica di Mariano Fortunato, personalità di spicco del sindacalismo locale. Attorno a lei, il popolino, la putía di Santina, i dammusi umidi, i colori e le voci del mercato, le corse dei devoti a piedi scalzi, le vanedde strette, la Grotta dei Santi e i suoi miracoli. A confortarla saranno l’affetto di Enza, capociurma di campagna dalla forte personalità, il sorriso imperfetto di Tanino, l’amico artigiano, o ancora la presenza di Ciccio lo sciancato, ultimo tra gli invisibili, che c’è sempre. I due universi convivono, si intrecciano. E Amelia sempre in mezzo, sempre in bilico. Fino a quando non si imporrà l’imperativo di una scelta. E allora nulla sarà come prima.

COSA NE PENSO

Nel suo romanzo “D’amore e di rabbia” Giusy Sciacca trae spunto da episodi realmente accaduti nel luglio del 1922 a Lentini, in provincia di Siracusa, durante un comizio di Maria Giudice, (giornalista e attivista, madre della scrittrice Goliarda Sapienza) In cui la polizia e alcuni nobili latifondisti dai balconi sparano sulla folla uccidendo alcuni popolani due donne. Intervengono squadre armate di agrari e combattenti nazionalfascisti, comandate da un proprietario terriero le cui terre erano state occupate dai contadini nei mesi precedenti. Sin dalle prime pagine, l’autrice riesce ad ammaliare i lettori grazie a una narrazione avvincente e alla scrittura scorrevole. In questo romanzo, tra finzione e realtà, prevale il senso di rivalsa che arde prepotentemente nelle vene in ogni singolo personaggio. Da Santina, Alfio, Rosario, Tanino, Mariano Fortunato, Enza e Carmela, Eleonora, i baroni Beneventano fino alla protagonista principale Amelia Di Stefano. Una donna intrigante, riservata, tenace, determinata, dal passato turbolento convinta delle proprie idee e pronta a battagliare per esse, e con un'indiscussa carica umana. In conclusione, D’amore e di rabbia è decisamente un libro che vale la pena di leggere e che consiglio a tutti.


Intervista e recensione a cura di C.L

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