05 marzo 2025

IL RACCONTO DI SÉ NELLA VOCE DI CHIARA BONI




E' un'onore, oltre che un piacere ospitare nel mio blog una delle più note stiliste italiane nel mondo, Chiara Boni, creatrice del marchio Chiara Boni (La Petite Robe). Ha anche disegnato costumi teatrali e lavorato con i più grandi fotografi. Appassionata di arte, ha sempre considerato la moda come libera forma di espressione.
Ha collaborato in qualità di conduttrice ed autrice alla produzione de Il Dilemma, programma di Giovanni Minoli, al fianco dell'ex marito Vittorio Maschietto.Cura una rubrica all'interno del rotocalco televisivo Domenica In, nelle edizioni curate da Gianni Boncompagni. Nell'autunno 2006 partecipa come concorrente alla terza edizione del talent show di Rai Uno Ballando con le stelle, condotta da Milly Carlucci, al fianco del ballerino professionista Samuel Peron: il duo Boni-Peron ottiene il dodicesimo posto, su 14 coppie in gara. È stata assessore alla Comunicazione e Informazione della Regione Toscana.
Nel 2023 pubblica per Baldini+Castoldi la sua autobiografia Io che nasco immaginaria a cura di Fedi Daniela milanese, città in cui vive quando non è in giro per seguire moda, bellezza, società e costume. Ne scrive dal 1980. E adora farlo.

D. CHIARA COME NASCE “IO CHE NASCO IMMAGINARIA?

R. Nasce perché casualmente un giorno raccontavo un pezzo di vita alla mia amica Elisabetta Sgarbi e lei ha deciso che doveva diventare un libro. Ha considerato la mia vita un attraversamento di un pezzo di storia del nostro paese, visto non soltanto attraverso l’occhio della moda.

D. CHE COSA TI FA STARE BENE?

R. Mi fanno stare bene le cose che amo.

D. HAI UNA FRASE PREFERITA,CHE TI RIPETI SPESSO?

R. Assolutamente non ho nessuna frase preferita che mi ripeto spesso, l’unica costante della mia vita ma che non ho bisogno di ripetere a me stessa è di raggiungere i miei obiettivi. 

D. COM'È CAMBIATA LA MODA DAI TUOI INIZI?

R. La moda dagli anni 70 ad oggi ha avuto moltissime rivoluzioni e fasi diverse che hanno sempre un po’ rispecchiato i cambiamenti della società. Ho scritto anche nel mio libro che la moda è un bel buco nella serratura per capire certi momenti storici. Oggi tende un po’ a ripetersi, non vedo attorno a me degli stili così precisi, se non i pantaloni portati anche da tutte le donne e i piumini d’oca.

D. COSA SIGNIFICA OGGI FEMMINILITÀ?

R. Per me la femminilità è sempre la stessa una cosa molto sottile e molto percepibile perché la gente si volta anche se sei vestita con un saio.

D. DI TUTTI I RICONOSCIMENTI CHE HAI RICEVUTO, QUALE TI HA RESO PIÙ FELICE?

R. Forse dico una cosa ovvia, ma ovviamente la nomina di Cavaliere del Lavoro ricevuta dalle mani del Presidente Mattarella mi ha molto commossa e resa anche fiera.

D. CHE LIBRO HAI SUL COMODINO?

R. Dipende dai periodi. In questo momento ho Processi (su Franz Kafka) di Elias Canetti.

D. QUALI SONO I TUOI PROGETTI PER IL FUTURO?

R. Talmente tanti e confusi in questo momento che non saprei da che parte cominciare. Ve ne racconto solo uno: a giugno sto organizzando una sfilata con “Corri la Vita” nel salone del 500 a Palazzo Strozzi con vestiti di archivio di grandissimi stilisti. 


Desidero ringraziare Chiara per aver risposto alle mie domande


In libreria e sugli store online dal 21 novembre 2023 Baldini+Castoldi

SINOSSI

A Chiara le donne piacciono davvero quando sanno fare squadra.» Non è l'incipit della storia di questa donna eclettica e resiliente, ma le donne, di certo, occupano un posto importante nella vita della stilista toscana. Le amiche sono al suo fianco sin dall'inizio, quando seguiva la mamma in sartoria a Firenze, dove quest'ultima provava modelli e lei, bambina, già imparava i trucchi del mestiere. Poi nella stagione dei balli, o quando Chiara, appena diciottenne, parte per Londra, la città che le insegna a vestirsi libera da qualsiasi condizionamento. Anni dopo, in Italia, l'incontro con Titti, il suo primo marito, la politica, un figlio. Le prime «cose» create e vendute, l'avanguardia architettonica degli UFO - di cui Titti era ideatore - l'influenza dell'arte, del cinema, della musica. E poi la Milano degli anni Ottanta, quando è una giovane donna separata alle prese con una carriera in ascesa. La sperimentazione con il Collettivo Moda Nostra e il successo che arriva quando il suo marchio entra nel GFT, il Gruppo Finanziario Tessile, e lei sceglie di usare un unico tessuto, un jersey elastico, e un unico colore, il nero. Nasce così la sua petite robe, un abito adatto a tutte, che si può ripiegare in una bustina e che rappresenta la sua concezione della moda e della bellezza: un vestito che possa farsi interpretare da ogni corpo, dando a ogni donna la possibilità di esprimersi. Tante persone attraversano la sua vita privata e lavorativa, e amori appassionati - da Cesare Romiti ad Angelo Rovati, a Fabrizio Rindi. E, ancora, il sogno americano, con lo sbarco negli Stati Uniti, seguendo un itinerario funambolico di Stato in Stato, e una vita che mai si ferma, riservandole anche prove dolorose. Questa autobiografia, scritta con Daniela Fedi, si snoda parallela al racconto di un'Italia che cresce e cambia nelle vicissitudini politiche, negli scontri generazionali, nella trasformazione dei costumi. Chiara Boni si svela come donna e come stilista, lasciando che le pieghe più intime del proprio vissuto esprimano sempre un'idea della moda che da quel vissuto origina, rilanciandone un invincibile senso di gioiosa libertà. 


Caterina Lucido

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14 febbraio 2025

TRA MUSICA E PENSIERO. CONVERSAZIONE CON GIORGIO DE MARTINO.


Buongiorno miei cari amici lettori,

L'ospite di questa nuova intervista è Giorgio De Martino. 
Giorgio è uno scrittore e pianista. La sua firma è comparsa continuativamente sul quotidiano
“Il Secolo XIX” per oltre vent’anni. Per la Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova, dal 1993 al 2018, ha tenuto centinaia di conferenze. 
Ha pubblicato saggi e volumi di narrativa. Tra i suoi ultimi libri, La gloria e la prova (Baldini+Castoldi, 2022, scritto con Totò Cascio) e Andrea Bocelli – Essergli accanto (Gruppo Albatros Il Filo, 2023).

 

D. CHI È GIORGIO?

R. I primi trent’anni, era un ragazzo irrequieto e con una dote speciale nel dissipare ogni proprio talento. Il guaio è che sulla carta si dovrebbe dismettere l’infanzia intorno ai diciotto anni, mentre nel mio caso, per la mole di disvalori e di sciocchezze di cui la mia generazione (e temo quelle successive) si è cibata (io, in prima fila), pervenire all’età adulta è un traguardo che rischia di non essere conquistato. Ed è tragico, perché i bambini-adulti hanno solo bisogni e sono, in una parola, il flagello dell’umanità. Nei miei secondi trent’anni ho cercato di mettere ordine (e di fare esperienza di un’esistenza non filiale ma adulta e per quanto possibile responsabile, meno nevrotica, meno narcisistica). Ho trovato – all’altro lato del mondo – la mia compagna per la vita, ho messo da parte uno strumento pericoloso che frequentavo quasi professionalmente (il pianoforte), ho messo da parte un’attività che ritengo disonorevole (critico musicale per un noto quotidiano) e nella collaborazione con un celebre cantante – sia lirico che pop – ho trovato il mio posto sulla terra e anche un modo di pagare le bollette. Quanto al cielo, ho i voli che mi permette la scrittura, ho un figlio più intelligente di me e pure una cagnetta “diversamente intelligente”, da portare a fare pipì.

D. QUANDO HAI COMINCIATO A SCRIVERE E PERCHÉ? 

R. Scrivo da quando ero bambino. Alternavo la parola e la musica, forse perché mi trovavo tanto a disagio nel contesto borghese obiettivamente scialbo in cui sono cresciuto. Diciamo che per ribellarmi, avevo le armi ma disgraziatamente non le pallottole. Ho scritto al liceo, ho scritto sui giornali (il primo a cui ho collaborato era “L’eco di Genova” e avevo forse 17 anni), su riviste specializzate musicali, ho scritto libri e magazine vari. In particolare mi sono trovato a “volere” – dapprima inconsciamente, poi consciamente – occuparmi delle vite degli altri, scrivendone. Forse per pudore ho messo da parte la mia (e altre di fantasia, che sono sempre la mia, riflessa). Mi piacerebbe poter dire che scrivo per me. In realtà no, sono ancora nella fase in cui dipendo emotivamente dal fatto che persone che non conosco e che se conoscessi magari non stimerei, sfoglino o meno il mio libro distrattamente (o se ne innamorino, è uguale). Mentre una parte di me capisce che non c’è aspettativa più stupida, e che si scrive solo ed unicamente per se stessi (ai miei tempi senza accento, adesso con l’accento pure se è seguito da stessi). Si scrive per fare un po’ di conversazione con lo status d’essere in vita, prima di sparire. Da quattro anni ho un agente che (quando ha tempo) si occupa della selezione dell’editore. Come libero battitore ho pubblicato anche per case “di prima fascia”, come De Agostini, Mondadori e Sperling & Kupfer (collaborando a due progetti realizzati insieme al M° Bocelli), poi attraverso l’agenzia ho scritto per Baldini + Castoldi e per il Gruppo Albatros il Filo.

D. DOVENDO RIASSUMERE IN POCHE RIGHE IL SENSO DEL TUO NUOVO LIBRO ARIRANG, COSA DIRESTI?

R. “Arirang” è il nome del brano musicale più popolare e antico della tradizione coreana. Ed è un termine intraducibile, legato comunque ad una sofferenza, a un dolore spirituale che diventa fisico. Titolando il libro “Arirang” ho voluto omaggiare questo straordinario popolo, le cui tradizioni e la cui visione della vita ho cercato di raccontare. Ed anche perché la musica – sia popolare, sia classica – percorre molte pagine di questo romanzo. Si tratta di un progetto che covavo da oltre un ventennio. Anzi, proprio vent’anni fa iniziai a scriverne una trentina di cartelle. Il libro corre su un doppio binario: da un lato c’è il filo rosso della storia di una giovane vita, quella di Soo Jung, cantante lirica, narrata in prima persona, dalla prima infanzia fino all’età adulta, dall’altro ho cercato di offrire uno spaccato della cultura e degli usi di un paese, la Repubblica di Corea, che frequento da un quarto di secolo e che oggi desta un interesse esponenzialmente crescente, anche in Italia. La “prima vita” della protagonista è quella vissuta in una nazione ancora sotto un malcelato regime militare e con i postumi di una frattura lacerante che, a seguito appunto della Guerra di Corea, ha separato violentemente nord e sud della penisola. La sua infanzia si muove in una realtà – gli anni ’70 e ’80 – che ai nostri occhi pare quasi ottocentesca. Ma sono anni cruciali in cui il Paese del calmo mattino, pur se sfibrato da decenni di conquista giapponese e poi dalla guerra, ha la forza di rialzarsi e di crescere fino a diventare una delle tigri asiatiche.

D. CON QUALI COLORI DESCRIVERESTI I PERSONAGGI?

R. Il bianco, colore del lutto per gli orientali? Il rosa pastello dei ciliegi in fiore (perché: non solo in Giappone!)? Il nero delle foto monocromatiche degli anni ’70? Il beige traslucido della fibra di carta di riso facente funzione dei vetri nelle case tradizionali, ancora negli anni ’80? Anche questo, ma purtroppo nulla di tutto questo… Penso che nel caso di “Arirang” i colori siano quelli, estremamente variopinti e per ciascuno diversi, delle emozioni nel seguire una storia, una vita, e con essa la cultura di un paese. Ma se entro nei dettagli, cercando soluzioni ad effetto, replicherei con delle sciocchezze e renderei banale, senza appello, certo la risposta, e forse pure la domanda. 

D. PARLACI DELLE INFLUENZE LETTERARIE CHE HAI AVUTO, DEGLI SCRITTORI CHE AMI.

R. Sono un lettore discontinuo, spesso leggo più libri contemporaneamente, usufruendo parallelamente anche di audiolibri. Non ho modelli. Posso dire ciò che di recente ho apprezzato: “L’età fragile” di Donatella Pietrantonio, la “Trilogia della pianura”di Kent Haruf, molti titoli di Cormac. E poi, “Il libro dell’inquietudine” di Pessoa e “L’uomo senza qualità” di Musil, che sono aperti sul comodino e procedono di pari passo, insieme al libro “La gioia di scrivere” che contiene tutte le poesie di Wislawa Szymborska (in questo caso, di solito apro una pagina a caso). Ho ripreso da poco “La danza della realtà” di Alejandro Jodorowsky (genio che sono orgoglioso di avere incontrato, tanti anni fa) e sto leggendo un bel libro – “Compagno don Mario” – di un caro amico che oltre ad essere scrittore è un rinomatissimo oculista e chirurgo, Andrea Marabotti. Mi piace infine ricordare “Anam Cara” di John-O-Donohue, perché è un libro che da molti anni periodicamente rileggo. 

D. QUALE È IL MESSAGGIO CHE VORRESTI TRASMETTERE AI LETTORI CHE HANNO LETTO O LEGGERANNO IL TUO ROMANZO?

R. La Corea del sud è molto di più, rispetto a ciò che filtra (anche in Italia) attraverso il suo cinema, pur di gran pregio, le sue astute e ben congeniate serie televisive, la musica divertente e seducente del K-Pop che sforna “Lolite” e “Loliti” (sempre meno sessuati) che ballano e cantano canzoncine carine… La Corea ha una propria cultura di gran peso, seppure pare sia stata sepolta per decenni dal consumismo sfrenato importato dagli Stati Uniti e dal Cristianesimo che ha fatto, del luogo, terra di conquista, soprattutto a partire dal primo Novecento. Credo sia una nazione da scoprire, al di là dei suoi cosmetici, dei suoi cellulari e anche della macchina formidabile dello showbusiness che è in grado di montare. È un paese bello e poetico, fatto di persone che amano la poesia ed il canto (anche quello lirico), fatto di splendide tradizioni millenarie e di una filosofia da cui si può imparare molto. Parente (come tutto l’oriente) della Cina, la Corea ne è allo stesso tempo lontanissima. La terra del re Tan’gun, dei regni di Koguryô, Paekche e Silla, la stirpe dei pronipoti Altai dei mongoli, dei principi degli Urali, è molto altro. Il messaggio del libro è quello che riporto nelle ultime parole del libro. Eccole: “Al Paese del calmo mattino devo quasi tutto, perché ha generato colei che è la protagonista di questo romanzo e della parte migliore della mia vita. A questa straordinaria terra che è la Corea, auguro che la Storia restituisca l’originaria unità. Spero inoltre che tra i suoi abitanti si faccia strada una coscienza sempre più capillarmente salda e diffusa dello splendore, irrinunciabile e innegoziabile, delle proprie radici, storiche e culturali”.

D. PROGETTI PER IL FUTURO?

R. Cerco di silenziare il fanciullo, che tuttora ogni tanto s’insinua e programma vite in altri continenti e nuovi mestieri. Mentre, entro il 2025, vorrei pubblicare una raccolta di racconti che ho quasi terminato. Sono talmente belli che temo non siano pubblicabili (infatti stavo pensando di dare alla raccolta un titolo ad effetto… Tipo “Viva la mafia” o “Manuale di coprofagia” così gli editori potrebbero fiutare qualche soldo e interessarsi). Sempre quest’anno sarà pubblicata una versione ampliata del libro “Andrea Bocelli: Essergli accanto”, la biografia più completa del celebre artista (col quale collaboro ormai da quasi vent’anni). In programma, incrociando le dita, anche l’edizione in lingua inglese. Però, considerando gli anni che ho compiuto non da molto, rispondo citando un breve passaggio da “Arirang” che potrebbe riguardarmi: “In epoca Koryō, fino al quattordicesimo secolo, nei rari casi in cui un padre avesse raggiunto l’età veneranda dei sessant’anni, il primogenito lo accompagnava verso la morte in un rito di sepoltura chiamato Koryŏjang. Lo trasportava sulla schiena fino a una collina dove era stato innalzato un loculo. Al suo interno il genitore era murato, tranne una piccola breccia da cui era nutrito per qualche tempo. Quando si aveva ragionevole certezza della sua morte, la tomba veniva sigillata». Ecco.  

Ringrazio Giorgio per aver risposto alle mie domande.



In libreria e sugli store online dal 11 settembre 2024  Gruppo Albatros Il Filo

SINOSSI 

“Arirang” è molto più di una canzone. 
È un simbolo intriso di storia e cultura coreana, un inno che racchiude tra le sue note l'anima di un intero popolo. Interpretata da innumerevoli artisti, i suoi toni struggenti e pieni di passione hanno il potere di toccare il cuore, evocando ricordi di gioia e sofferenza, di amore e nostalgia. La sua melodia diventa il filo conduttore della vita di Soo Jung, una giovane nata a Seoul e che il destino, dopo lunghe sofferenze, ha portato in Italia. La sua vita è un ponte tra due culture, un continuo viaggio tra il passato e il presente: la narrazione ci accompagna attraverso la sua infanzia in Corea, tra leggende e tradizioni, fino alla scoperta della musica lirica, che diventerà la sua passione e la sua carriera. 
Attraverso la voce di Soo Jung, scopriamo una Seoul in trasformazione, sospesa tra modernità e tradizione, e un'Italia vista con gli occhi di una straniera, che riesce a coglierne le sfumature più nascoste. La prosa di Giorgio De Martino intreccia descrizioni evocative, profonde riflessioni e momenti di intensa emozione, toccando le corde più intime e personali della protagonista. Un romanzo che attraversa i confini, un viaggio tra Oriente e Occidente, tra passato e futuro.

COSA NE PENSO

L'inizio è abbastanza confusionale dal mio punto di vista e ciò crea solo confusione in chi legge.
Perché De Martino prima di iniziare a narrare la storia vera e propria della sua protagonista, Soo Jung preferisce focalizzarsi di più sull'origine della parola coreana “Arirang”,  nonostante questo termine abbia un origine poetica e al contempo musicale, si rivela una scelta indubbiamente ardua per un romanzo che volge verso un' altra direzione.
Quando il libro entra nel vivo nella storia tutto cambia, il ritmo si addolcisce la penna di De Martino assume un tono quasi paterno, intimo.
Attraverso la voce di Soo Jung, conosciamo una Seoul che muta insieme alle stagioni della vita tra tradizione e modernità.
Una figlia che ama e perdona. 
Un infanzia segnata dalla povertà, le parole mai dette a quel padre assente, ma soprattutto una figlia consapevole del fatto che nulla potrà restituirle gli anni perduti. 
In conclusione, i capitoli sono molto brevi e ben strutturati. De Martino ha saputo trasformare il dolore in poesia. Arirang, vuole essere una bussola per il lettore. Consigliato. Buona lettura!

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05 febbraio 2025

NEL LABIRINTO DI THE TURNGLASS: DIALOGO CON GARETH RUBIN.


Cari lettori,

Avete mai avuto la sensazione che il tempo non scorra in linea retta? Che ogni scelta, ogni dettaglio, possa riflettersi come in uno specchio antico, distorcendo la realtà? Oggi vi porto dentro The Turnglass – La Clessidra di Cristallo, un thriller raffinato e ingannevole firmato da Gareth Rubin.
Ho avuto il piacere di chiacchierare con l’autore, che ci racconta i retroscena del romanzo, la sua passione per la storia vittoriana e quel sottile brivido che solo certi misteri sanno dare.

Mettetevi comodi: qui si parla di tempo, illusioni e pagine che non si dimenticano.

Gareth Rubin, giornalista e scrittore, collabora con le maggiori testate inglesi. Il suo primo romanzo The Turnglass – La clessidra di cristallo (Longanesi 2023) ha riscosso un larghissimo successo di pubblico e di critica, in Italia e all’estero.


D. GARETH, COM'È NATA LA TUA PASSIONE PER LA SCRITTURA? 

R. In realtà ho studiato per fare l' attore; ma secondo mia mamma non ero molto bravo. Così ho iniziato a fare giornalismo perché era una vita interessante e differente. E da lì ho iniziato a scrivere testi di narrativa. Detesto il processo di scrittura – seduto al computer 9 ore al giorno – ma adoro scrivere “fine”.

D. QUANTO TEMPO IMPIEGHI SOLITAMENTE PER SCRIVERE UN LIBRO?

R. Circa un anno. Probabilmente sono nella media .Alcuni scrittori impiegano cinque mesi, altri cinque anni. Ho un mutuo da pagare :)

D. DA QUALE IDEA,SPUNTO, ESIGENZA O FONTE DI ISPIRAZIONE, È NATO IL TUO LIBRO “LA CLESSIDRA DI CRISTALLO”?

R . Non ho idea di come mi sia venuta in mente l'idea iniziale. Ricordo soltanto che mentre stavo cercando la storia da raccontare ho iniziato a cercare cose su questo genere di argomenti su Google ed ho trovato delle cose di cui ignoravo l'esistenza.
In realtà non ho dovuto fare molte ricerche storiche per questo libro perché questi sono periodi che conosciamo bene da altri libri/film ecc: la Londra vittoriana, Los Angeles degli anni '30.

D. QUANDO HAI SCRITTO IL TUO PRIMO LIBRO E QUANTI ANNI AVEVI? 

R. Ho scritto il mio primo romanzo circa 10 anni fa, quando avevo 38 anni. Non è stato pubblicato. Nemmeno il secondo. Il terzo è stato pubblicato. Se non fosse stato così, probabilmente avrei rinunciato. 

D. COSA TI PIACE FARE QUANDO NON SCRIVI? 

R Dormo.

D. DA BAMBINO, COSA VOLEVI FARE DA GRANDE?

R. Volevo essere uno stuntman. Non ho idea del perché. 

D. PROGETTI PER IL FUTURO?

R. Potrebbe esserci un seguito di "La clessidra di cristallo" in arrivo…

Desidero ringraziare Gareth per aver risposto alle mie domande.



Nelle librerie e sugli store online dal 5 settembre 2023 Longanesi


SINOSSI 

Inghilterra, 1881. «Turnglass House ha sempre avuto qualcosa di corrotto e maligno.» Questo è tutto ciò che il giovane medico Simeon Lee sa quando arriva a casa dello zio, il parroco Hawes, per curarlo. Una sola finestra illuminata, un orizzonte sospeso sul vuoto, una palude fangosa pronta a inghiottire i pochi che osano avventurarsi. Lo zio è convinto di essere stato avvelenato e i suoi sospetti ricadono su Florence, la cognata. Immobile, con addosso un abito di seta verde e un sorriso beffardo, Florence li fissa dalla cella di vetro in cui si trova segregata da quando, in un raptus di gelosia, ha ucciso il marito. Molti la considerano pazza, ma secondo Simeon è una figura tutta da decifrare. Come tutto da decifrare è il volumetto rosso che spicca nell'immensa biblioteca dello zio e che lei continua a indicargli. Un libro che racconta una vicenda ambientata nel futuro e che tuttavia potrebbe rivelare qualcosa sul presente. Un libro che parla di un'altra terra, la California, in un'altra epoca, il 1939, che pure ha tanti punti in comune con la storia di questa famiglia inglese. La storia di un uomo che indaga per scoprire cos'era accaduto alla madre, scomparsa vent'anni prima... California, 1939. Quella dello squattrinato Ken Kourian è una vita divisa tra provini cinematografici e lavoro in un giornale, finché incontra Oliver Tooke. Affascinante, mondano e insieme riservato, Oliver è un celebre scrittore figlio del governatore della California. Da qualche tempo appare incupito, e la pubblicazione del suo nuovo romanzo sembra angosciarlo. Una sera, arrivato a casa sua, Ken fa una scoperta sconcertante: lo trova riverso sulla scrivania, il collo lacerato da un proiettile, la pistola nella mano. La morte viene presto archiviata come suicidio, ma Ken non è convinto e decide di indagare. Le ricerche lo portano sulle tracce di una vecchia storia, quella del misterioso rapimento del fratello di Oliver e della scomparsa della madre. Una famiglia sfortunata. O forse, una famiglia che nasconde troppi segreti. Ken è convinto che per scoprire la verità dovrà decifrare gli indizi nascosti nell'ultimo libro dell'amico. 



Caterina Lucido

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04 febbraio 2025

RECENSIONE DEL LIBRO: “QUELLO CHE SO DI TE” DI NADIA TERRANOVA


In libreria e sugli store online dal 14 gennaio 2025 Guanda

NOTE SULL' AUTRICE 

Nadia Terranova è nata a Messina e vive a Roma. Ha pubblicato i romanzi Gli anni al contrario (2015, vincitore di numerosi premi tra cui il Bagutta Opera Prima, il Brancati e l’americano The Bridge Book Award), Addio fantasmi (2018, finalista al Premio Strega, Premio Alassio Centolibri) e Trema la notte (2022, Premio Elio Vittorini, Premio Internazionale del mare Piero Ottone). Collabora con le pagine culturali della Repubblica e della Stampa ed è la curatrice della rivista letteraria K edita da Linkiesta. È tradotta in tutto il mondo.

SINOSSI 

C’è una donna in questa storia che, di fronte alla figlia appena nata, ha una sola certezza: da ora non potrà mai più permettersi di impazzire. La follia nella sua famiglia non è solo un pensiero astratto ma ha un nome, e quel nome è Venera. Una bisnonna che ha sempre avuto un posto speciale nei suoi sogni. Ma chi era Venera? Qual è stato l’evento che l’ha portata a varcare la soglia del Mandalari, il manicomio di Messina, in un giorno di marzo? Per scoprirlo, è fondamentale interrogare la Mitologia Familiare, che però forse mente, forse sbaglia, trasfigura ogni episodio con dettagli inattendibili. Questa non è solo una storia di donne, ma anche di uomini. Di padri che hanno spalle larghe e braccia lunghe, buone per lanciare granate in guerra. Di padri che possono spaventarsi, fuggire, perdersi. Per raccontare le donne e gli uomini di questa famiglia, le loro cadute e il loro ostinato coraggio, non resta altro che accettare la sfida: non basta sognare il passato, bisogna andarselo a prendere. Ritornare a Messina, ritornare fra le mura dove Venera è stata internata e cercare un varco fra le memorie (o le bugie?) tramandate, fra l’invenzione e la realtà, fra i responsi della psichiatria e quelli dei racconti familiari.

COSA NE PENSO

Le mie prime sensazioni a caldo dopo aver terminato la lettura di questo romanzo sono tante, e tutte contrastanti e al contempo struggenti.
Quello che so di te, ci conduce in un binario sconosciuto,due linee parallele che si incontrano e poi si dividono, tra passato e presente.
Venera che dall' oltretomba vuole riscattarsi e chiede "aiuto"alla pronipote Nadia tra sogno e realtà, per se e per tutte quelle donne prima e dopo di lei che nascono, vivono,soffrono e amano allo stesso modo,“Io sono una come tante” sembra dire con fermezza e dignità, perché noi donne siamo madri ma soprattutto donne con un corpo e un anima, un aspetto spesso trascurato dal egoismo altrui.
Nadia Terranova, ne delinea i contorni rendendola reale la sua Venera, così reale che sentiamo le sue fragilità, il suo delirio , l'urlo straziante di un anima in pena, il corpo e la mente di una madre morta seppur non fisicamente insieme alla sua bambina ancora nel grembo. E lei, Giovanna spettro che si fa carne, sogno spezzato che non smette di vivere dentro lo stesso "pianeta" di sua madre.
Una donna può risorgere luminosa dalle proprie ceneri dopo aver incontrato la propria “morte” interiore un'esperienza intensa sia sul piano fisico che mentale.
Per un breve lasso di tempo, "Mussu cuciutu" muso cucito, così come viene nominata dalla sua famiglia Venera, diventa voce di tutte le altre donne, un tempo rinchiuse dentro i Manicomi e spesso abbandonate al loro tragico destino. 
La mente è assai pericolosa e può rivelarsi nostra nemica, un labirinto infido, persecutorio c'è chi si lascia trascinare in quel enorme vortice di paure ed inganni. 

«Se tutto quello che ami scomparisse, sapresti ancora chi sei?»

In conclusione, all'inizio prima ancora di addentrarmi dentro la storia di “Quello che so di te” mi ha colpita la frase scelta da Nadia di Virginia Woolf: «C'è,nella maternità,uno strano potere.»
Vero? Falso? Una frase ad effetto che dà il via ad uno dei romanzi più intensi della Terranova.
Adoro la sensibilità di Nadia, perché ci racconta a cuore aperto la sua esperienza personale di donna e madre, un libro di sorellanza,di supporto e di grande sensibilità.
Consigliatissimo. Buona lettura!


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01 febbraio 2025

FEBBRAIO, IL MESE DELL' AMORE: PAROLE ETERNE CHE ACCENDENDO I CUORI


C'è un mese, tra i dodici, che più di ogni altro sembra scritto con l’inchiostro dei sentimenti: febbraio. Breve, a volte gelido, ma pieno di attesa e di promesse. San Valentino, nel cuore di questo mese, ci ricorda che l’amore – in tutte le sue forme – è ancora la storia più bella da raccontare. Nel tempo, scrittori e poeti hanno provato a definire l'amore. Alcuni lo hanno cantato con dolcezza, altri lo hanno urlato con passione, altri ancora lo hanno vissuto come tormento o salvezza. Eppure, ogni parola che ci hanno lasciato ha contribuito a rendere questo sentimento universale e magico. Pablo Neruda, con i suoi versi intrisi di desiderio e nostalgia, scriveva: "Ti amo come si amano certe cose oscure, segretamente, tra l’ombra e l’anima." Un amore che si insinua nei silenzi, che si nutre di intimità e mistero. Emily Dickinson, nella sua apparente timidezza, ci ha regalato una verità profonda: "Che l’amore è tutto, è tutto ciò che sappiamo dell’amore." Poche parole, come un soffio, ma così dense da lasciare un’impronta eterna. E che dire di Victor Hugo, che nell’amore vedeva una rivoluzione del cuore? "La suprema felicità della vita è essere amati per quello che si è, o meglio, essere amati a dispetto di quello che si è." Anche la letteratura italiana ha reso omaggio all’amore. Dante, nel suo viaggio ultraterreno, ci ricorda che l'amore può essere guida e dannazione, ma soprattutto redenzione: "Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende…" E più vicino a noi, Cesare Pavese ci sussurra l’altra faccia dell’amore: l’attesa, la mancanza, l’illusione che si fa poesia. Febbraio ci invita a leggere (o rileggere) queste voci, a cercare nei libri quella scintilla che ci fa credere – ancora – nel potere trasformativo dell’amore. Che sia romantico, fraterno, nostalgico, idealizzato, l’amore che abita la letteratura ci aiuta a riconoscere quello che pulsa dentro di noi. E allora, in questo mese di cuori e parole, lasciamoci ispirare. Magari con un libro sul comodino, una poesia sottolineata, o una frase che ci ha fatto tremare il cuore. Perché in fondo, come scriveva Rainer Maria Rilke:

"L’amore consiste in questo: che due solitudini si proteggano, si tocchino, si salutino." 

Buon febbraio, e buona lettura con il cuore. 

Hai un autore del cuore che ti ha fatto innamorare dell’amore? Scrivilo nei commenti: il mese è corto, ma le emozioni no.

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30 gennaio 2025

“QUATTRO CHIACCHIERE CON ALESSANDRO PAGANI”


Cari lettori,

L'ospite di questa nuova intervista è Alessandro Pagani.
Alessandro è nato a Firenze nel 1964, dove vive e lavora presso l'Azienda Sanitaria.
Durante gli anni '80 ha partecipato al movimento underground fiorentino Pat Pat Recorder. Nel 1988 inizia un percorso come musicista con svariati gruppi tra cui Stropharia Merdaria, Parce Qu'Il Est Triste, Hypersonics (con cui ha partecipato ad Arezzo Wave nel 1990), Subterraneans, Malastrana e successivamente Valvola (assieme a Giuseppe Barone e Gianni Antonino, con i quali fonda l'etichetta discografica indipendente Shado Records attiva fino al 2007). 
Attualmente è batterista del gruppo rock EST? e ideatore della pagina ironica “Meme o non meme” su Facebook, nonchè autore di libri umoristici:
- in ordine di pubblicazione:
2015: "Le Domande improponibili" - libretto pubblicato in proprio
2016: "Perchè non cento?" - edito da AlterEgo e Augh edizioni
2018: "Io mi libro" - edito da Rue De La Fontaine (una frase del libro è apparsa sull'agenda Comix 2018/2019)
2019: "500 chicche di riso" - edito da Rue De La Fontaine 
2024: "I Punkinari" - edito da Nepturanus Editore

I suoi canali social








D. CHI È ALESSANDRO?

R. È  sempre difficile parlare di se quando contano i fatti piuttosto che le citazioni; In ogni caso mi descriverei un menestrello 'Punk' della parola, continuamente diviso tra letteratura e musica, immerso nell' arte stravagante della scrittura umoristica e appassionato di ritmi e suoni - che provengano da una batteria o da un sintetizzatore  - continuamente in cerca di novità e proiettato con le idee verso il futuro. L'immagine che più mi rappresenta potrebbe essere un caleidoscopio continuamente in movimento, l'alleato che invece mi porto sempre dietro è il sorriso,che nasce prima in me e che poi cerco di far scaturire negli altri.

D. TRE AGGETTIVI PER DEFINIRTI?

R. Brillante, Eclettico, Impulsivo.

D. QUANTO TEMPO E’ STATO NECESSARIO PER LA REALIZZAZIONE DEL LIBRO “I PUNKINARI”?

R. Abbastanza, prima di tutto perché far combaciare i tempi di tutti coloro che hanno partecipato alla realizzazione(Nepturanus Editore , Massimiliano Zatini, Matteo Cialdella, Antonio Mazzolli e Laura Venturi, oltre a Stefano Manca di Pino e gli Anticorpi che ha curato la prefazione) Non è stato semplice;in più riuscire a coordinare le immagini con le frasi ha richiesto attenzione e scrupolosità. Comunque , dall'inizio dell' idea,tolti i tempi tecnici,direi sei mesi circa. 

D. UN LIBRO CHE NON TI STANCHERAI MAI DI RILEGGERE?

R. I miei :-) ... A parte gli scherzi, mi piace sempre rileggere “Esercizi di stile” di Raymond Queneau,
"Novantanove versioni della stessa semplice storia  (Ciò che succede durante un tragitto tra i passeggeri su un autobus a Parigi) Rielaborate in stile letterario diverso, dall' anagramma alle metafore, dal sonetto ai linguaggi settoriali,dai cambi di lettere ai Tanka (Brevi componimenti Giapponesi). Questo libro dimostra quanto la fantasia si possa evolvere sino a raggiungere lo svago intelligente. Anche per me giocare con le parole è pratica stimolante e la lingua Italiana in questo si presta benissimo: Gag, doppi sensi, bisticci,cambi di lettera,paronimie, relativamente al lungo,al tempo e alle persone che lo/mi circondano ,sono il mio pane quotidiano. 

D. C'È QUALCHE ANEDDOTO PARTICOLARE DELLA TUA CARRIERA DI SCRITTORE O MUSICISTA CHE VUOI CONDIVIDERE CON NOI?

R. Poco tempo fa, durante un'intervista, a Conor Curley (Chitarrista dei Fontaines D.C.), è stato chiesto se avesse avuto una canzone Italiana preferita. Con sorpresa , soprattutto per i componenti del gruppo,la risposta è stata non una canzone singola, ma tutto tutto il disco dei Valvola, la mia ex band!Ha detto che in un piccolo negozio aveva scoperto per caso, incuriosito dalla copertina,il nostro album d'esordio “Teenagers filmed their own life” del 1997 e una volta a casa,dopo l'ascolto, l'aveva trovato un disco Psych Fenomenale,una cosa molto speciale... riguardo la scrittura, invece, vorrei ricordare la bellissima disamina del mio modo di scrivere di Giovannantonio Forabosco, membro dell' International society for Humour studies,del board of consulting editors di Humounor nonché componente dell' International Journal of Humour Research. Nella sua analisi di uno dei miei libri ha ricordato una delle frasi più riuscite: “Perché la morte ti fa bella? Perché la vita cessa”, trovandola citazionale,con distanza semantica e vicinanza di senso, oltre che gioco di decrittazione a base polisemica, elegantemente volgare e chicca di umorismo filosofico.

D. C'È QUALCOS'ALTRO CHE VUOI AGGIUNGERE... CHE VORRESTI DIRE AI TUOI LETTORI?

R. In questo momento d'incertezza nel mondo è importante che ognuno di noi allontani le negatività e si riavvicini a se stesso e gli altri. Per questo riuscire a Ri-scoprirsi leggeri può aiutare a sentire meno opprimente il peso delle cose, o perlomeno,a vederle da un altro punto di vista,meno faticoso e più costruttivo. Io mi ritengo un portatore sano di sorrisi, sarebbe bello lo fossimo un po' più tutti. 

D. PROGETTI PER IL FUTURO?

R. A fine aprile parteciperò assieme a Massimiliano Zatini al festival "Lucca città di carta” dove presenteremo “I Punkinari”. Inoltre , continua la continua la collaborazione con Nepturanus attraverso la collana “Chicche di riso” con i prossimi due libri,che sono già in lavorazione sul versante musica, inizierò la stesura del nuovo album di Puah (Piccola Unità Anti Hi-fi), il mio progetto elettronico che ha debuttato a febbraio 2024 con il disco"Due Acca Hho". Il nuovo album sarà strumentale ed avrà atmosfere più cinematiche.


Desidero ringraziare Alessandro per essere stato mio ospite.

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23 gennaio 2025

INTERVISTA A SASHA VASILYUK AUTRICE DEL LIBRO “IL VENTO È UN IMPOSTORE”


Cari lettori,

Bentrovati! L'ospite di questa nuova intervista è Sasha Vasilyuk
Sasha è cresciuta in Ucraina e Russia ma ora vive con la famiglia a San Francisco. È una giornalista e opinionista per le principali testate giornalistiche americane. I suoi articoli sono stati pubblicati, tra gli altri, sul «New York Times», su «Time» e sul «Telegraph». Ha conseguito due lauree e studiato italiano. Il suo primo romanzo, Il vento è un impostore, è ispirato alla storia del nonno, che è sopravvissuto alla Seconda guerra mondiale.


D. COSA TI HA ISPIRATO A SCRIVERE QUESTO LIBRO? 

R. Il romanzo è ispirato alla storia dei miei nonni, sopravvissuti alla seconda guerra mondiale. 
Il personaggio principale, Yefim, è  basato su mio nonno, un veterano di guerra ebreo che nascose la sua identità quando fu catturato in Germania e poi nascose la sua esperienza di sopravvivenza quando tornò in URSS. Abbiamo scoperto la verità su di lui solo dopo la sua morte, quando abbiamo trovato la sua lettera di confessione indirizzata al KGB. Apprendere la sua storia traumatica e il silenzio che deve averlo divorato per decenni mi ha fatto venire voglia di esplorare questa esperienza unica in forma romanzata.

D. PUOI CONDIVIDERE CON NOI UN MOMENTO DELLA TUA VITA PERSONALE CHE HA ISPIRATO UNA SCENA O UN PERSONAGGIO DEL LIBRO? 

R. Nel 2016, mentre andavo a trovare mia nonna di 92 anni nel Donbass, diventato zona di guerra, uscii con mio fratello , c'era la legge marziale, quindi dovevamo tornare a casa entro il coprifuoco per evitare di essere arrestati. Stavamo tornando indietro attraverso il centro di Donetsk.
All'improvviso ci fu un boato terrificante. Mi sono abbassata. 
Era il rumore dei bombardamenti alla periferia della città è stata la prima cosa che abbia mai vissuto da così vicino sulla guerra. Non mi sono mai spaventata così tanto in vita mia. Ho mantenuto quella paura per scrivere i due capitoli principali del libro sulla guerra.

D. DOVE HAI PRESO L'IDEA O LO SPUNTO PER IL TITOLO DEL TUO LIBRO?

R. Il titolo in inglese è “Your Presence Is Mandatory”,  fa riferimento alla convocazione del KGB. Mi piace quel titolo perché riassume cosa vuol dire vivere in un regime totalitario, dove non ti viene chiesto, ma detto. Il titolo in italiano, Il "Vento è un Impostore", ha un'atmosfera molto diversa, che adoro anche perché è poetico e va al centro del dilemma del personaggio principale di mantenere un segreto e sopravvivere contro ogni previsione.

D. COSA HAI SCOPERTO DI INTERESSANTE DURANTE LE TUE RICERCHE PER LA REALIZZAZIONE DEL TUO LIBRO?

R. La mia ricerca si è concentrata sul destino dei prigionieri di guerra sovietici, dei lavoritori (civili sovietici, spesso ragazze, deportati in Germania) e dei soldati ebrei. Ciò che mi ha sorpresa è stato quanto poco sapessi di questa parte della storia, nonostante abbia interessato oltre 9 milioni di persone. La ricerca mi ha fatto capire che mio nonno non era l’unico a nascondere il suo passato. La maggior parte di queste persone hanno trascorso tutta la vita senza parlare della guerra e hanno portato la loro storia nella tomba, come mio nonno, o hanno rivelato i loro segreti sul letto di morte. La sfida era tradurre quella cultura della segretezza e della vergogna per un pubblico occidentale al quale quella psicologia è del tutto estranea.

D. QUAL È STATO IL MOMENTO PIÙ SIGNIFICATIVO DURANTE IL PROCESSO DI SCRITTURA? 

R. La prima volta che ho letto una bozza e ho pensato: “Non è poi così male”.

D. QUANTE ORE AL GIORNO SCRIVI? 

R. Ho avuto due figli da quando ho iniziato a scrivere questo romanzo, quindi il mio programma non è mai stato molto prevedibile. Scrivevo quando potevo e le idee migliori di solito mi venivano mentre ero sotto la doccia.

D. QUALI SONO I TUOI PROGETTI PER IL FUTURO? 

R. Sto lavorando a un romanzo su una giovane donna idealista che ritorna nel suo paese nativo in Russia, dove è costretta a decidere fino a che punto è disposta a spingersi per rivendicare la sua identità.

Desidero ringraziare Sasha per aver risposto alle mie domande.

SINOSSI 

Si può costruire un'intera vita su una bugia? Yefim lo ha fatto. E lo rifarebbe mille volte, perché della sua vita non cambierebbe nulla. Ha una moglie che lo tiene ancora per mano. Dei figli orgogliosi delle loro radici. Dei nipoti che credono che il nonno sia un eroe, perché tornato dalla guerra. Eppure, Yefim si domanda cosa farebbero i suoi famigliari se sapessero del segreto che nasconde da anni. Un segreto celato in una valigia che ora, all'insaputa di tutti, Yefim sta bruciando perché non ne rimanga traccia. Nessuno deve conoscere la storia del giovane, pieno di sogni e speranze, costretto a indossare un'uniforme e combattere i nazisti. Nessuno deve sapere del filo spinato, della fame, del freddo. Soprattutto, nessuno deve sapere del giorno in cui ha dovuto compiere una scelta impossibile: fingere di non essere ebreo per sopravvivere. Quel giorno terribile in cui ha iniziato la sua esistenza controvento, rinnegando sé stesso. Una condizione da cui è scappato con un'altra bugia, pur di tornare a casa. Ma, adesso, è proprio in casa sua che questi segreti stanno per essere riportati alla luce. Yefim avverte nell'aria lo stesso odore di tempesta dei cieli solcati dagli aerei. Ma la storia non può essere cancellata dalle fiamme. Perché quei periodi bui devono essere raccontati, anche quando è difficile. Soltanto così i sommersi non saranno solo polvere portata dal vento. Un romanzo ispirato a una storia vera, che interroga il lettore su cosa voglia dire essere un «salvato», come spiegava Primo Levi. Un libro che racconta un aspetto poco noto della tragedia della Seconda guerra mondiale. In quel passato, ci sono le domande e le risposte che oggi, forse più che mai, non vanno dimenticate.

Nelle librerie e sugli store online dal 17 Settembre 2024 Garzanti


COSA NE PENSO

Il Vento è un impostore è un esordio significativo perché destinato a lasciare un segno indelebile nel lettore.
La penna di Sasha riesce ad emozionarci perché ci scuote interamente e internamente.
In conclusione, consiglio la lettura di questo libro non solo agli appassionati della storia del secondo conflitto mondiale, ma soprattutto a chi, non ha mai letto nulla al riguardo. 
E per finire desidero aggiungere una bellissima frase tratta dal brano, "La Storia" di Francesco De Gregorio che trovo perfetta per questo libro.

“La storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso” 


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