“... CHIACCHIERATA CON ANGELO CAROTENUTO.”




Cari amici lettori,

L'ospite di questa nuova intervista è Angelo Carotenuto.
Nato nel 1966, giornalista, si è occupato di calcio, libri, musica, cinema. Ha pubblicato i romanzi: Dove le strade non hanno nome (Ad est dell’equatore, 2013) e La grammatica del bianco (Rizzoli, 2014), ambientato durante il torneo di tennis a Wimbledon nel 1980, e vincitore del Premio Selezione Bancarella Sport, e, con Sellerio, Le canaglie (2020) e Viva il lupo (2024). Ha scritto e diretto il documentario C’era una volta Gioânn - 100 anni di Gianni Brera (Sky Arte, 2019).

D. ANGELO, COM'È NATA LA TUA PASSIONE PER LA SCRITTURA?

R. Non saprei dire se la passione per la scrittura è nata subito in questa forma oppure se questa forma è diventata l’anello finale di una catena di cose. Inizialmente, intendo proprio da bambino, c’è stata una passione soprattutto fisica per la scrittura, voglio dire per la scrittura a mano. Una specie di dipendenza dal gesto. Riempivo quaderni e quaderni di cose, quasi sempre formazioni e risultati di partite di calcio, arrivi di corse di ciclismo, gare di atletica leggera. Quando non c’era niente da scrivere, ricalcavo. Sono stato un bambino al quale non sapevano cosa regalare, così succedeva nelle ricorrenze di ricevere o una penna o un libro. Mio zio lavorava in ferrovia, per un certo periodo abbiamo vissuto insieme. Rientrava a casa con certi quadernoni che oggi ricordo enormi, ma saranno stati di normalissime dimensioni, di quelli su cui in ferrovia segnavano forse orari, transiti, merci scaricate, chi lo sa. Erano fatti di una carta bellissima, con le righe, i quadratoni, una copertina marroncina un po’ più rigida. Sto parlando degli anni Settanta, di certe infanzie pre-digitali. Altri blocchi aziendali li metteva in palio il padre di un mio amico che faceva il rappresentante di prodotti di bellezza. Veniva il sabato fuori scuola e organizzava una corsa fra noi bambini nello spiazzale. Chi vinceva, portava a casa questo oggetto che era come una medaglia d’oro. Aveva la copertina di cuoio ed era alto così, non meno di 200 pagine. Non ho mai saputo disegnare, allora ho cominciato a riempirli di tutte le frasi che mi piacevano, frasi sentite in televisione, alla radio, nelle commedie di Eduardo, frasi lette in giro. Certe mie giornate finivano con il polpastrello dell’indice destro deformato per le ore passate con la penna in mano. Una volta sentii dire a Enzo Biagi in un’intervista che per fare il giornalista bisognava leggere tutto, anche le etichette dell’acqua minerale. Così cominciai a copiare pure le etichette dell’acqua. Perché quello credevo di voler fare, il giornalista. In realtà, ricostruisco oggi, forse volevo solo impugnare una penna e non conoscevo un altro mestiere che mi consentisse di farlo. 

D. QUAL È IL MESSAGGIO CHE VUOI TRASMETTERE CON VIVA IL LUPO ?

R. Nessuno. Da lettore sarei molto infastidito alla scoperta che un romanzo è stato scritto per trasmettere un messaggio. Lo troverei un atto presuntuoso, un atto violento. Nella letteratura, al cinema, nelle opere teatrali, mi piacciono le autrici e gli autori che raccontano storie, esistenze, e con quelle storie si fanno delle domande, con quelle domande spingono noi lettori, lettrici, spettatrici, spettatori a farcene insieme a loro. Mi piace la narrativa che fa vivere esperienze simulate, la narrativa che coinvolge, accoglie, chiama in causa, mon semblable, mon frère, dice Baudelaire al suo lettore. Mi piace il lettore che scopre in un libro qualcosa che l’autore non sapeva, qualcosa che non si aspettava di aver scritto: tutto il contrario della volontà di lasciare un messaggio. 

D. QUALE PARTE DEL LIBRO TI HA CREATO MAGGIORI DIFFICOLTÀ? 

R. La scelta delle canzoni che i ragazzi portano al talent show. Le ho cambiate molte volte, fino all’ultimo momento prima della consegna. Tutte servono a dire qualcosa dei personaggi o a indirizzare verso un umore la storia. Dovevano essere tutte esatte, necessarie. 

D. CON QUALI COLORI DESCRIVERESTI I PERSONAGGI?

R. Questa storia è un cammino, un cammino alla ricerca prima del buio e poi della luce, un cammino di metamorfosi, sia per i personaggi adulti sia per gli adolescenti – che con la metamorfosi ci fanno i conti per definizione, per natura. Forse il colore di questa storia è il colore dei capelli della ragazza in copertina, con quei riflessi in cui pare ci siano l’argilla, le fiamme. 

D. COSA TI AIUTA A CONCENTRARTI MENTRE SCRIVI? 

R. Per molti anni ho fatto il mio lavoro in postazioni di fortuna, su un treno, un vaporetto, in un bar, oppure in ambienti rumorosi come uno stadio durante una partita di calcio. Ho fatto in tempo a conoscere stanze in cui non c’erano ancora i computer e si usavano le macchine per scrivere: ogni volta che si andava a capo il carrello suonava un campanello, e suonava a te, al collega di fianco, a quello di fronte, a quello dietro. Un’orchestra di gente che scriveva insieme. Oggi mi piace molto scrivere quando la casa tace, al mattino presto o di notte. Se ho bisogno di isolarmi, attacco la cuffia al computer e metto Morricone. 

D. COSA VORRESTI CHE I TUOI LETTORI SAPESSERO? 

R. Ah, io sono molto affascinato dai lettori e dalle lettrici che chiedono di sapere se nella storia raccontata c’è qualcosa di autobiografico. E’ proprio una curiosità che mi conquista: tutto questo bisogno di realtà, di verità, di confessioni, di autofiction. E’ incredibile perché in fondo, se ci pensi, quando inventi una storia, quando inventi tutto, stai donando la parte più intima di te: le tue fantasie. Più di quello, che altro c’è da sapere? 

D. PROGETTI PER IL FUTURO?

R. Ridere. Ridere molto. 

Ringrazio Angelo per la sua disponibilità nel rispondere alle mie domande

In libreria e sugli store online dal 27 agosto 2024 Sellerio Editore


SINOSSI

Un mercoledì di fine luglio Gabriele Purotti si sveglia senza voce. Ha poco più di cinquant’anni ed è il leader dei Dorita, uno dei gruppi rock più in vista della scena indie italiana. Tutti lo conoscono come Puro, è diventato davvero famoso grazie alla televisione, ogni settimana gli passano davanti le giovani speranze della musica italiana e lui è il loro giudice, nel talent show musicale di maggior successo, «Viva il lupo». Adesso il suo futuro di cantante è a rischio, i medici non sanno darsi spiegazioni, lui sì. La voce si è spenta appena saputo della morte di Tete, una ragazzina sedicenne. È stata travolta da un treno mentre attraversava in monopattino un passaggio a livello, con le cuffie alle orecchie e la musica alta. Due giorni prima, alle audizioni del programma, aveva dimostrato un grande talento. Però era stata rifiutata con il voto decisivo del Puro. Forse – sospetta la Procura – potrebbe essere stato un gesto volontario. Gabriele sprofonda nell’abisso del rimorso e comincia una doppia ricerca, dentro e fuori di sé. Vuol sapere tutto di Tete, ricostruire i suoi sogni e quel mondo che sente d’aver spezzato. Poi ha l’urgenza di rintracciare le altre ragazze e i ragazzi da lui bocciati negli anni, di verificare se si è lasciato dietro una scia di dolore e disperazione. Mentre la gara televisiva prosegue inarrestabile senza di lui, macinando rivalità e rancori, vincitori e sconfitti, Puro riesce a entrare in contatto con la famiglia della ragazzina, scoprendo una nonna straordinaria e un fratello stralunato e geniale. Un doppio incontro che cambierà il senso della sua ricerca e il corso della vita di ognuno di loro.
Un romanzo che racconta il presente nei desideri e nelle sconfitte, nella violenza della competizione e nella dolcezza dell’amicizia, capace di rappresentare lo smarrimento della vecchiaia che incombe, lo struggimento di un’adolescenza che pare non aver fine, il disagio di una società di adulti fragili, convinti che invece la fragilità sia dei giovani.

COSA NE PENSI 

Viva il lupo rappresenta quelli che sono i nostri veri sentimenti dettati dall' inconscio davanti ad un rifiuto. Carotenuto ne delinea i tratti più significativi, li rielabora e ce li restituisce attraverso Puro, un noto cantante e giudice di un talent canoro e della giovane aspirante cantante Tete. Questo libro è uno specchio sulla fragilità umana senza età.

«C'è un grosso imbuto di infelicità,una tristezza diffusa che ispira molte richieste in più di aiuto,sono trasversali,sai»

Le nostre fragilità hanno dunque a che fare con l'empatia, con la nostra capacità di immedesimarci nell'altro o meglio di "sperimentare i sentimenti di qualcuno",facendoli nostri è quello che fa Puro nella maggior parte del racconto.
In conclusione,in parallelo, in questa storia c'è un elemento altrettanto significativo " la necessità d'ascolto" da parte dei giovani , il calore genera ancora calore in questo libro e lo vediamo con Puro e Ardo. 
Lettura consigliata!

Intervista e recensione a cura di C.L

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